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Diocesi Massa M.ttima: la Veglia di Pentecoste con il vescovo Ciattini
“Ci fermiamo in attesa del dono formidabile dello Spirito Santo”
L’uomo, ha detto monsignor Ciattini “nella sua miopia ha sempre creduto per poter sfidare il cielo, ma proprio in questa sua illusione sperimenta il suo più grande fallimento”
I seguito le parole del vescovo
Carissimi fratelli e sorelle,
mentre nel mondo si alzano muri e barriere tra gli uomini e tra i popoli, organizzando false solidarietà, offrendosi gli uni agli altri con falsi aiuti creando divisioni più forti e più profondi (infatti non si cercano intese di pace, ma intese nei gruppi contrapposti, dunque intese che attizzano sempre più il conflitto e le ostilità), noi ci fermiamo in attesa del dono formidabile dello Spirito Santo.
Attesa di un dono grande, il dono dell’unità che restituisce all’uomo la pace del cuore, un dono che sentiamo ancor più necessario in questi nostri giorni ove più intensamente si avverte la contraddizione che ha da sempre attraversato la storia: Babele – Pentecoste.
L’uomo nella sua miopia ha sempre creduto di poter sfidare il cielo, ma proprio in questa sua illusione sperimenta il suo più grande fallimento: divenendo sempre più un uomo frantumato, oserei dire disumanizzato, senza più la capacità di capirsi, di lavorare insieme, di decidersi per un cammino in comune.
Oggi scienza e tecnica stanno camminando a gran carriera. Si dominano le forze della natura, si manipolano gli elementi fino a fabbricare degli esseri viventi, eppure l’uomo è sempre più solo, l’uomo sta perdendo la capacità di comunicare, di essere per l’altro, di capire e di capirsi, addirittura vive una paura, una diffidenza, una sorta di timore fino a non confidarsi più l’un l’altro, e così parla nel nascondimento, abusa dell’altro giocando sulle sue fragilità, invece di soccorrerle; gioca sui limiti dell’altro, invece di cercare di renderlo più forte.
La veglia sabato 18 maggio alla chiesa Madonna della neve di Piombino
La conoscenza così usata diviene strumento per quasi impadronirsi dell’altro in una maniera sempre più inedita, nuova. Uno spadroneggiare, uno sfruttamento non solo della forza di lavoro dell’altro, ma ancora peggio: un abusare dell’altro, nella sua totalità, indebolendolo con raffinate tattiche, dandogliela «a bere», «ad intendere», fino a fargli credere di essere per lui. Un tale atteggiamento non fa altro che alimentare in modo sempre più esponenziale il caos, la divisione per eccellenza come lo stiamo notando nei nostri giorni. Le relazioni non si possono più chiamare tali, tutto è dequalificato, una sorta di poltiglia. Assistiamo allo spettacolo di malintenzionati che tentano una grande ammucchiata.
Eppure siamo consapevoli tutti che non ci può essere comunione senza distinzione; una distinzione che è per il servizio e che ci responsabilizza, ci colloca, ci fa crescere e ci aiuta ad accogliere l’altro nella sua diversità. Sogniamo tutti questa comunione; una comunità che educa veramente, che ci fa crescere nel possederci, un possederci che ci distingue senza separarci dall’altro, ma piuttosto ci riporta all’altro per la vera comunione evitando la confusione di una novella Babele.
Nella solennità di Pentecoste, il dono grande dello Spirito Santo è dato a noi per camminare, per uscire da una mentalità angustia, da un ripiegamento su noi stessi.
San Paolo elenca le opere della carne, i peccati di egoismo e di violenza, inimicizia, discordia, gelosia, di dissensi, che non fanno vivere in modo cristiano, e che vengono come mortificate, superate e vinte in un progetto d’amore che ci conduce verso la vita nuova, la vita bella. Un cammino che ci fa raggiungere le altezze di Dio fino a pregustare la vita divina.
L’Apostolo scrive infatti: «Il frutto dello Spirito è amore gioia e pace» (Gal 5,22). In queste due affermazioni di s. Paolo, si fa evidente come egli usi il plurale per descrivere le opere della carne che provocano la dispersione dell’essere umano, mentre usa il singolare per definire l’azione dello Spirito. Parla di frutto, di un’operazione che unifica, come alla dispersione di Israele a Babele, si contrappone l’unità della Pentecoste. (Cfr BENEDETTO XVI, Omelia, 27.V .2012) La contrapposizione tra Babele e Pentecoste balza ai nostri occhi e ci invita, ci indirizza a ricercare l’aiuto di Dio e del suo Santo Spirito e così discernere per incamminarsi sulla via dell’unità. A Babele tutti parlano la stessa lingua e, a un certo punto, nessuno più capisce l’altro, nasce la confusione delle lingue; a Pentecoste, ognuno parla una lingua diversa e tutti si capiscono. Come mai?
«Per scoprirlo basta osservare di che cosa parlano i costruttori di Babele e di che cosa parlano gli apostoli a Pentecoste. I primi si dicono tra loro: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome per non disperderci su tutta la faccia della terra” (Genesi 11, 4). Questi uomini sono animati da volontà di potenza, vogliono “farsi un nome”, ricercano la loro gloria. A Pentecoste, gli apostoli proclamano invece “le grandi opere di Dio”. Non pensano a farsi un nome, ma a farlo a Dio; non cercano la loro affermazione personale, ma quella di Dio. Per questo tutti li comprendono. Dio è tornato a essere al centro; alla volontà di potenza, si è sostituita la volontà di servizio, alla legge dell’egoismo, quella dell’amore. In ciò è contenuto un messaggio di vitale importanza per il mondo d’oggi» (R. CANTALAMESSA, Babele e Pentecoste).
A Babele, si cerca il cantiere della propria affermazione, a Pentecoste, si cerca quello della gloria di Dio e dell’avvento del suo Regno. Mentre la prima scelta genererà ancora l’incomprensione e la disunione, la seconda potrà generare una profonda unità.
La Gerusalemme dello Spirito continua a intessere relazioni con pazienza dentro la storia, e d’ora in avanti la chiesa, anche se giungerà a parlare le mille lingue degli uomini, proclamerà sempre un unico linguaggio, quello di Cristo e dell’amore, quello suscitato dallo Spirito. Se lo Spirito Santo, il dono della nuova creazione penetra nella persona o no, se questa le fa spazio o no, non lo si può vedere né dimostrare esteriormente. Apparentemente non ha importanza. Tuttavia questo fatto apre una nuova dimensione della vita umana, dalla quale, in ultima analisi, dipende tutto.
Perciò il senso della Pentecoste non è quello di farci sognare mondi migliori per il futuro, né tanto meno quello di fare di noi degli strateghi del futuro, che sacrificano alla leggera il presente alla chimera di ciò che sarà. Il senso di questo giorno è piuttosto, al contrario, quello di destarci all’oggi, alla silenziosa forza della bontà divina che bussa alla nostra esistenza e vorrebbe trasformarla. (Cfr. J. RATZINGER, Cercate le cose di lassù. Cap. I La festa dello Spirito, § 1. Risvegliarsi alla forza che viene dal silenzio, Milano 1986, pp. 51-57).
E gli unici araldi autentici, e perciò credibili, sono i santi.
«Il vero trionfo del Vangelo consiste in ciò: nell’elevare al di sopra di sé e al di sopra della natura umana uomini di ogni condizione di vita, nel creare questa cooperazione misteriosa della volontà alla Grazia […] I san ti: ecco la creazione autentica del Vangelo e della Chiesa» (John Henry NEWMAN, in P. GULISANO, J. H. Newman, profilo di un cercatore di verità, Milano 2010, p. 150).