Toscana

Mons. Ristori: card. Betori, lascia ricca testimonianza di come il ministero di un prete si realizzi pienamente solo nell’adesione piena alla Chiesa

Questo il testo dell’omelia pronunciata dall’arcivescovo  

Di fronte alla morte, l’uomo si volge indietro per non perdere la memoria di chi ci lascia; il cristiano, invece, proietta il suo sguardo in  avanti, nel mistero di cui chi ci lascia inizia a far parte. Questo spiega come, pur nel dolore, nella sofferenza per il distacco, il cristiano non cede alla disperazione, ma rafforza piuttosto la speranza. È la virtù dei figli di Dio, che sanno di non essere mai abbandonati dal Padre, neanche nella morte, che diventa il passaggio alla partecipazione della gloria di Cristo, come ci ha ricordato san Paolo. Per questo motivo la celebrazione delle esequie, soprattutto delle esequie di un sacerdote è anzitutto occasione di conferma della fede nella risurrezione, una spinta a guardare oltre il tempo, verso quell’eternità che è la nostra vera vita, la vita piena a cui tutti dobbiamo aspirare. Lo sguardo colmo di speranza cui guardiamo oltre la morte non è un vuoto desiderio, ma una parola ben fondata. È uno sguardo che proietta nel futuro un evento accaduto nel passato, che ha cambiato per sempre la storia: la Pasqua del Signore, la sua morte e risurrezione. Siamo al centro del Vangelo, della parola di salvezza affidata al ministero di ogni sacerdote perché lo condivida con i fratelli. Di questo servizio siamo oggi qui a esprimere la nostra gratitudine al caro mons. Paolo Ristori. Nella sua parola e nella sua vita egli è stato testimone del Vangelo di Gesù, cioè di come il Figlio stesso di Dio abbia voluto condividere l’esperienza umana della morte, svelando che la morte non è un nemico invincibile per l’uomo, perché chi con Gesù la vive come consegna di sé in un atto d’amore, la sconfigge con la potenza della risurrezione. Vivere la vita come atto d’amore per gli altri significa entrare nel potere con cui Dio trasforma la nostra povera vita umana in vita divina e quindi destinata all’eternità. Figli di Dio e quindi suoi eredi, come ci ha ricordato San Paolo, «eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria» (Rm 8,17). E qui attingo alle parole del testamento spirituale di Mons. Ristori: «Che conforto grande credere e sperare fermamente, oltre le gioie brevi e le delusioni terrene, in una città celeste e perenne dove il Signore crocifisso e risorto ci ha preparato un posto e nella quale sono sconosciute lacrime, lutto e dolore! Che immensa gioia, un giorno, immergerci in quel Regno di Dio che abbiamo sospirato, invocato, sognato senza mai vederlo in pienezza!». Le parole di Mons. Ristori dicono bene quello che in ogni celebrazione esequiale occorre riaffermare: la fede nella risurrezione e nella vita eterna. La pienezza della vita è il compimento del progetto di amore che Dio ha per l’umanità e che, come ricorda Gesù nel vangelo, ha la sua radice nell’amore con cui il Padre ama il Figlio dall’eternità, «prima della creazione del mondo» (Gv 17,24). Questo il Figlio è venuto a far conoscere, cioè che Dio è amore e ne fa partecipi tutti coloro che credono in lui: «Io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro» (Gv 17,26). Il frutto di questa conoscenza, cioè di questa esperienza di Dio, è che noi stessi entriamo nel mistero d’amore che Dio è, e la nostra vita diventa partecipe della vita del Figlio suo, facendo anche noi suoi figli. Non siamo l’esito del caso, un errare senza senso, ma il frutto di un progetto d’amore. Annunciare questa verità è il compito dei discepoli di Gesù, in particolare dei sacerdoti, servitori della parola di Dio. Di questo ministero di verità vogliamo esprimere il nostro grazie al Signore per come è stato vissuto in mezzo a noi da mons. Ristori. Per la sua fedeltà generosa, siamo certi che valgano per lui le parole di Gesù nel vangelo: «Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato» (Gv 17,24). Parole belle e colme di consolazione, ma anche di profonda responsabilità, perché quel Gesù che vuole i suoi accanto a sé, dove sta lui, è in quel momento in procinto di entrare nella sua Passione e, per giungere alla sua gloria deve passare attraverso la sofferenza della croce. 

Essere una cosa sola con Cristo è il mistero stesso della Chiesa, qui sulla terra e poi nel cielo. E il mistero della Chiesa è stato vissuto in un modo tutto particolare da mons. Ristori, che ci lascia una ricca testimonianza di come il ministero di un prete si realizzi pienamente solo nell’adesione piena alla Chiesa. Questo, in particolare, perché il Signore gli ha riservato di vivere il suo ministero accanto a due soggetti fondamentali della realtà della Chiesa: il vescovo e la cattedrale. Conosciamo tutti il fedele servizio da lui compiuto accanto al vescovo. E qui mi affido ancora alle parole del suo testamento: «Considero una grazia particolare del Signore l’aver avuto più diretto quotidiano contatto con due arcivescovi di Firenze che ho venerato e amato come veri uomini di Dio: il Servo di Dio card. Elia Dalla Costa, della cui vita di preghiera e di fede fui immediato testimone dal 1955 al 1961, ed il card. Ermenegildo Florit, che per tanti anni mi ha tenuto accanto a sé con indulgenza paziente, benevola e paterna e col quale ho potuto condividere, ammirandone la fede non sempre compresa, gioie e dolori. Rinnovo al mio vescovo attuale sincera e affettuosa riverenza». Conosciamo tutti di quante asperità furono colmi quegli anni e qui vogliamo rendere grazie a mons. Ristori per come in quei giorni fu accanto ai pastori della nostra Chiesa, ma anche per quanto egli, pur nella riservatezza che ne caratterizzava il ruolo e la persona, ha poi contribuito a fare luce su eventi assai complessi, per rendere giustizia a frettolosi e ingenerosi giudizi che cadevano sulla Chiesa e sui pastori fiorentini, mostrando come fossero altrove le responsabilità di alcune tensioni che fecero soffrire non pochi. E da ultimo il suo servizio alla cattedrale, luogo per eccellenza del culto della comunità diocesana, della cui custodia, promozione ed esaltazione della bellezza fu solerte servitore. Mi piace qui ricordare come egli qui mi accolse nuovo vescovo e mi accompagnò nell’entrare nella tradizione della Chiesa fiorentina, di cui fu attento custode. Questa dimensione ecclesiale dello stare con il Signore è un’eredità preziosa che mons. Ristori ci lascia e il suo compimento nella Chiesa del cielo è quanto invochiamo dal Signore per questo suo servo fedele.