Perché Gesù chiama i discepoli «servi inutili»?
"Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili". Perché Gesù dice questo ai discepoli?
In Luca 17,7-10 vediamo che Gesù alla fine della parabola del servo che va ad arare i campi dice chiaramente ai suoi discepoli: «una volta fatto ciò che dovevate fare dite siamo servi inutili». Cosa intendeva dire Gesù con questa affermazione anche se abbiamo agito nel bene?
Marco Giraldi
Risponde don Stefano Tarocchi, docente di Sacra Scrittura e Preside della Facoltà Teologica dell’Italia Centrale
Quella richiamata dal lettore è una vera e propria parabola, introdotta ed elaborata attraverso una serie serrata di domande: «chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”» (Lc 17,1-10).
Il materiale che compone questa parabola appartiene sicuramente alla «fonte dei detti» (conosciuta anche come Q), rielaborata dall’evangelista, l’unico a raccontarla. Interessante è soprattutto il cambio di prospettiva: all’inizio gli ascoltatori della parabola erano i padroni di un campo, che avevano a che fare con i loro servitori. Successivamente la parabola si rivolge a questi ultimi, rovesciando totalmente la prospettiva, fino ad arrivare al cuore imprevisto dell’insegnamento evangelico. Gli specialisti pensano così a uno sviluppo che va oltre la parabola primitiva, in una sorta di colpo d’ali che a un tempo sconcerta e apre a prospettive inattese.
La prima domanda («chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge…» aspetta certamente una risposta negativa: nessuno si comporta così. Non è nell’ordine delle cose.
La seconda domanda («non gli dirà piuttosto: “prepara da mangiare”»…) si rifà all’esperienza dei destinatari della parabola e si richiama all’esperienza comune.
La terza domanda («avrà forse gratitudine verso quel servo?…») viene a dire che un padrone non ha una particolare attenzione, né tantomeno gratitudine, nei confronti dello schiavo che compie il proprio dovere. Soprattutto è certo che la giornata di lavoro dello schiavo non termina nei campi ma a casa del suo padrone lo stesso servo deve preparare e servire la cena.
Un potente di qualunque genere, e non solo in tempi lontani, difficilmente chiama a mangiare alla propria mensa coloro che lo servono: i servi erano considerati utili per i loro padroni in base al lavoro che svolgevano. Tuttavia, non avevano diritto a una retribuzione o a benefici, poiché erano visti come proprietà piuttosto che come individui con diritti. Non sono certo che tutto questo avvenga solo al passato…
Davvero interessante però l’ultimo versetto della parabola, che ne diventa il culmine: «anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili”». Abbiamo fatto quanto dovevamo fare, con quell’aggettivo particolare tradotto «inutile» dalla versione italiana del Vangelo, in greco achréios, che va senza dubbio precisato. La parola si ritrova solo in Mt 25,30, al termine della parabola dei talenti: «il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”». Nella lettera ai Romani troviamo il verbo che ne deriva: «tutti hanno smarrito la via, insieme si sono corrotti» (Rom 3,12).
Il significato dell’aggettivo dei Vangeli può variare da «inutile» a «inutilizzabile» a «buono a nulla», fino a «senza valore», ovvero «non necessario». Altri, forse meglio, intendono i servi della parabola piuttosto come «indegni o non remunerativi che inutili; i servi infatti sono utili al padrone per quello che fanno ma non possono pretendere nulla».
C’è però un altro aspetto da notare: il sostantivo usato, ossia «servo», «schiavo» (greco doulos) può indicare l’incarico assegnato a un ministro della Chiesa, colui che ha l’incarico di «servire» (greco diakonéin). Si parla peraltro anche di «mangiare» e «bere», che hanno fatto pensare gli interpreti anche all’eucarestia. Una lettura allegorica potrebbe vedere anche significati nel termine «campo» e nel verbo «arare», in riferimento alla missione della Chiesa di diffondere la parola.
In sostanza, l’espressione «“prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”» (Lc 18,7), si richiama a un altro passo del terzo Vangelo: «beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli» (Lc 12,37).
In conclusione, aggiungo il commento particolarmente incisivo di François Bovon: «Luca si aspetta dai responsabili nella chiesa che adempiano il loro compito con zelo e fedeltà, senza attendersi qualche lode o ricompensa particolare. Dio ha bisogno degli uomini e delle donne, ma reputa inutili coloro che si credono particolarmente indispensabili».