Firenze
Nuovo arcivescovo di Firenze: padre Vailati, “la Chiesa del Ciad esulta”
Padre Marco Vailati, provinciale dei comboniani nella capitale africana N’Djamena, ricorda gli incontri con don Gherardo Gambelli in Africa
“La Chiesa del Ciad esulta”. Lo dice padre Marco Vailati, provinciale dei comboniani nella capitale africana N’Djamena. Con l’agenzia Dire ricorda gli incontri con don Gherardo Gambelli, il nuovo arcivescovo di Firenze, per 11 anni missionario nel Paese del Sahel, anche come cappellano nelle carceri e al servizio dei profughi in arrivo dal Sudan.
“Una volta ci vedemmo nella prigione centrale di N’Djamena, alla vigilia di una sua partenza per l’Italia”, ricorda padre Vailati. “Allora lo sostituivo come cappellano: lui venne per salutare tutti i detenuti, con i quali aveva trascorso anni”.
Il primo incontro risale invece al 2015. “Io ero appena tornato in Ciad e lui era ancora a N’Djamena. Si era reso disponibile per andare nel vicariato apostolico di Mongo, che era appena nato nell’est, al confine con il Sudan e la regione del Darfur: mancavano sacerdoti e serviva il suo aiuto”.
Don Gambelli aveva chiesto di partire dall’Italia nel 2011, come sacerdote “fidei donum”. Nel corso degli anni, fino al 2022, in Ciad è stato parroco alla Sainte Josephine Bakhita nell’arcidiocesi di N’Djamena, professore al seminario e responsabile della pastorale vocazionale. Tra le sue esperienze quella di cappellano sia nel carcere della capitale che a Mongo.
“Bravo papa Francesco, ottima scelta – dice padre Vailati -. Don Gherardo è una persona molto intelligente e molto umile; in Ciad ha fatto sempre bene ed è apprezzato sia dal clero diocesano locale che da tutti i missionari: sarà senz’altro un ottimo vescovo”.
Il comboniano continua: “Come direbbe Papa Francesco, ha ‘l’odore delle pecore’; e io aggiungo che ha anche il profumo di Cristo e che per questo porterà tanto bene alla Chiesa di Firenze e alla Chiesa universale”.
Padre Vailati si sofferma ancora sull’esperienza nel vicariato apostolico di Mongo. “In quegli anni don Gherardo ha lavorato anche con i rifugiati, in una regione vastissima ma dove i cristiani sono appena 6mila; con vero spirito missionario ha intessuto un dialogo con l’islam e le religioni locali”.