Il digiuno: un modo per creare un vuoto
Il modo giusto di vivere il digiuno e l’astinenza, in particolare in tempo di Quaresima
Vedo che nei giorni di Quaresima a volte si parla di «digiuno», altre volte di «astinenza». Che differenza c’è? Qual è il modo giusto di usare queste pratiche durante la Quaresima?
Fiammetta Fiori
Risponde don Gianni Cioli, docente di Teologia morale
Nella tradizione cattolica il digiuno e l’astinenza sono due pratiche che, collegate spesso fra loro, definiscono l’impegno del fedele a modulare l’assunzione di cibo, per ragioni ascetiche e, soprattutto, penitenziali. Il digiuno consiste essenzialmente nel limitare in maniera consistente, generalmente in particolari giorni stabiliti, la quantità di cibo; l’astinenza riguarda, piuttosto, la modulazione della qualità dei cibi e delle bevande, con la rinuncia, sempre in giorni o periodi stabiliti, all’uso delle carni o di altri cibi o bevande.
Nelle disposizioni normative della Nota pastorale dell’episcopato italiano, Il senso cristiano del digiuno e dell’astinenza, del 21 ottobre 1994, si danno indicazioni precise sugli obblighi relativi al digiuno e all’astinenza, in applicazione di quanto richiesto dal Diritto canonico (cf. canoni 249, 251 e 253):
«1) La legge del digiuno “obbliga a fare un unico pasto durante la giornata, ma non proibisce di prendere un po’ di cibo al mattino e alla sera, attenendosi, per la quantità e la qualità, alle consuetudini locali approvate”.
2) La legge dell’astinenza proibisce l’uso delle carni, come pure dei cibi e delle bevande che, a un prudente giudizio, sono da considerarsi come particolarmente ricercati e costosi.
3) Il digiuno e l’astinenza, nel senso sopra precisato, devono essere osservati il Mercoledì delle Ceneri (o il primo venerdì di Quaresima per il rito ambrosiano) e il Venerdì della Passione e Morte del Signore Nostro Gesù Cristo; sono consigliati il Sabato Santo sino alla Veglia pasquale.
4) L’astinenza deve essere osservata in tutti e singoli i venerdì di Quaresima, a meno che coincidano con un giorno annoverato tra le solennità (come il 19 o il 25 marzo). In tutti gli altri venerdì dell’anno, a meno che coincidano con un giorno annoverato tra le solennità, si deve osservare l’astinenza nel senso detto oppure si deve compiere qualche altra opera di penitenza, di preghiera, di carità.
5) Alla legge del digiuno sono tenuti tutti i maggiorenni fino al 60° anno iniziato; alla legge dell’astinenza coloro che hanno compiuto il 14° anno di età».
Il modo giusto di vivere il digiuno e l’astinenza, in particolare in tempo di Quaresima, ovvero il suo significato specificamente cristiano, ci può essere suggerito dalla riflessione sulle parole di Gesù sul digiuno riportate dal Vangelo di Matteo: «Allora gli si avvicinarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: “Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?”. E Gesù disse loro: “Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno”» (Mt 9,14-15).
Dal dialogo di Gesù coi discepoli di Giovanni emerge che il digiuno cristiano ha significato come segno di una mancanza e quindi di un desiderio. Il bisogno di fare digiuno è il segno della mancanza dello Sposo. I discepoli hanno fatto drammaticamente l’esperienza di questa mancanza quando Gesù è stato arrestato e ucciso sulla croce. Il digiuno cristiano è innanzitutto memoria di questo. Certo, dopo la risurrezione egli ha detto loro «io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Ma egli è presente e assente al contempo.
Anche noi, come i discepoli dopo l’Ascensione, abbiamo la compagnia del Signore. Pur non potendo godere della sua presenza fisica, abbiamo la sua parola, abbiamo l’Eucaristia che è la sua presenza reale, abbiamo lo Spirito Santo. Ciò nonostante, possiamo sentirlo lontano o assente e, quel che è peggio possiamo allontanarci da lui, a motivo del peccato.
La felicità umana perfetta sarà vedere il Signore faccia a faccia, ma finché viviamo su questa terra lo percepiamo soltanto in maniera velata. Il digiuno (e anche l’astinenza) allora è distaccarsi dalle cose per ricordare e desiderare il Signore più intensamente. In questo desiderio intenso c’è già un’anticipazione reale dell’incontro con lui. Questo forse è il significato profondo del digiuno in preparazione alla comunione che, a mio avviso, andrebbe riscoperto.
Questo aspetto del digiuno cristiano lo chiamerei «digiuno come preghiera». Esso mira a produrre nella persona un «vuoto» per aiutarla a percepire la nostalgia del Signore e disponendola a lasciarsi riempire da lui.
Un altro aspetto che la tradizione cristiana ha sempre considerato è quello del digiuno (e dell’astinenza) come carità verso il prossimo: il sapersi privare di qualcosa di nostro per essere concretamente solidali con chi è nel bisogno. Anche questo per il cristiano è un modo per cercare e per ritrovare il Signore. Infatti, come sappiamo, il Signore si è identificato con i poveri (Cf. Mt 25,31-46).
C’è ancora un altro aspetto, collegato ai precedenti, ed è quello del digiuno (e dell’astinenza) come penitenza, cioè come memoria della morte del Signore per i nostri peccati e come volontaria presa di distanza dal peccato attraverso la temporanea rinuncia a un bene essenziale qual è il cibo. Il peccato in effetti ci separa dal Signore; ci toglie lo Sposo. Se spesso sentiamo il Signore tanto lontano, nonostante che egli abbia promesso di essere sempre con noi, è perché forse ci siamo allontanati da lui. Se è vero che la felicità perfetta non esiste su questa terra è vero però anche che il peccato esaspera la nostra infelicità. In fondo il peccato è la ricerca disperata della felicità là dove non la si può trovare.
Rinunciare temporaneamente alla gioia del cibo, che è un bene fondamentale, ci aiuta a considerare la fondamentale ambiguità di ogni bene materiale e a ricordare che solo nel Signore possiamo trovare la felicità vera e definitiva: «non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4; cf. Dt 8,3).