Vita Chiesa
Quaresima: elemosina, un gesto di sapore biblico
Ricordiamoci dei bisognosi. L’esempio di san Francesco
L’elemosina è un aspetto della carità che certamente non la esaurisce, ma è un aspetto estremamente importante («Soprattutto conservate tra voi una carità fervente, perché la carità copre una moltitudine di peccati», 1Pt 4,8).
Mentre può esserci un gesto di elemosina privo di carità del cuore, addirittura orgoglioso, non può esserci una carità del cuore che non si esprima, anche concretamente nei confronti dei bisogni dell’umanità soprattutto quando, per grazia, abbiamo la possibilità di donare il nostro aiuto. Già nel Siracide (un libro che parla di diverse situazioni della vita, con una visione serena del mondo e della vita, sorretta dalla presenza di Dio e dalla bontà della sua provvidenza, scritto nei primi decenni del II sec. a.C.), l’elemosina era un concetto determinante nel cammino del credente. Ad esempio: «L’acqua spegne il fuoco che divampa, l’elemosina espia i peccati»; «Non essere incostante nella tua preghiera e non trascurare di fare elemosina»; «Tuttavia sii paziente con il misero, e non fargli attendere troppo a lungo l’elemosina»; «Chi pratica l’elemosina fa sacrifici di lode»; «Un atto di bontà è come un giardino di benedizioni, l’elemosina dura per sempre»; «Fratelli e soccorritori aiutano nella tribolazione, ma più ancora l’elemosina».
Francesco d’Assisi fece un gesto molto particolare: «Fino d’allora dimostrava di amare intensamente i poveri e questi inizi lodevoli lasciavano prevedere che cosa sarebbe stato, una volta giunto a perfezione. Spesso si spogliava per rivestire i poveri, ai quali cercava di rendersi simile, se non ancora a fatti, almeno con tutto l’animo. Si recò una volta in pellegrinaggio a Roma e, deposti per amore di povertà i suoi abiti fini, si ricoprì con gli stracci di un povero. Si sedette quindi pieno di gioia tra i poveri che sostavano numerosi nell’atrio, davanti alla chiesa di San Pietro e, ritenendosi uno di essi, mangiò con loro avidamente. Avrebbe ripetuto più e più volte azioni simili, se non gli avessero incusso vergogna i conoscenti. Si accostò poi all’altare del principe degli apostoli e, stupito delle misere offerte dei pellegrini, gettò là denaro a piene mani. Voleva, con questo gesto, indicare che tutti devono onorare in particolare modo colui che Dio stesso ha onorato al di sopra degli altri».
Francesco aveva, con un gesto del cuore, cambiato il concetto di elemosina e aveva coinvolto il Signore. Anche negli Atti degli Apostoli c’è un gesto molto significativo, fatto da Pietro e Giovanni: «Di solito veniva portato un uomo, storpio fin dalla nascita; lo ponevano ogni giorno presso la porta del tempio detta Bella, per chiedere l’elemosina a coloro che entravano nel tempio. Costui, vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrare nel tempio, li pregava per avere un’elemosina. Allora, fissando lo sguardo su di lui, Pietro insieme a Giovanni disse: “Guarda verso di noi”. Ed egli si volse a guardarli, sperando di ricevere da loro qualche cosa. Pietro gli disse: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!”».
Con questi esempi, noi possiamo scegliere di «fare elemosina» o di vivere la carità nell’elemosina. Il nostro essere cristiani si differenzia dalle altre religioni o dai gesti di solidarietà/carità che fanno tutti, solo se lo facciamo «nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno!» Dice san Paolo: «ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!», quando la carità/elemosina è Dio. Quando cioè lasciamo che dentro di noi sia Dio a raggiungere il povero.
In questo tempo speciale di Quaresima vogliamo vivere la nostra carità con un impulso ancora più forte, vogliamo ricordarci più del solito, perché in verità sempre lo facciamo, dei bisognosi e soli, di quelli che il Signore più ci raccomanda perché sono particolarmente cari al suo cuore e quindi anche al nostro. Se davvero vogliamo essere Gesù per partecipazione, e nell’Amore sappiamo che questo è possibile, partecipiamo alla sua misericordia e arricchiamo la carità del nostro cuore con ogni gesto possibile di amore, di perdono, di compassione e di elemosina.
Fare l’elemosina vuol dire elargire parte del tuo che è tuo perché ti è stato donato dal Signore, quindi vuol dire restituire qualcosa del dono d’amore e farlo per amore. Se questa parte poi emerge da un sacrificio, da una rinuncia fatta anch’essa per amore, possiamo tutti comprendere la consolazione donata al cuore di Cristo, nel suo cammino di Passione per la nostra Salvezza. Questa disponibilità, questo atteggiamento del cuore, della mente e della mano ci stringono sempre più vicini a Te, Signore, e giorno dopo giorno si perfeziona la nostra immagine e diventiamo sempre più simili al Modello perfetto che Tu sei e che ci chiami ad essere, «Grande e ammirabile Signore, Dio onnipotente, misericordioso Salvatore».
*Francescano