Eccoci al gioco più classico del dopo elezioni, quello del chi ha vinto e chi ha perso, partendo dal fatto che nella storia italiana sono stati pochissimi i leader che hanno avuto il coraggio di dire «siamo stati sconfitti». In Toscana ha certamente vinto Eugenio Giani, che diventa l’ottavo presidente della Regione. Con lui ha vinto il centrosinistra, o meglio il Pd di Nicola Zingaretti anche grazie a quelle liste che, pur non eleggendo consiglieri, il neo governatore aveva messo in piedi ben consapevole che solo il suo partito poteva non bastare per vincere. Ha invece perso Susanna Ceccardi, e con lei la Lega di Matteo Salvini che un paio di settimane fa sembrava molto più vicina ai numeri di Giani. L’ex sindaco di Cascina, solo negli ultimi giorni, ha capito che i toscani non avrebbero mai votato sull’onda della paura e ha abbassato un po’ i toni. Forse troppo tardi. Con Ceccardi hanno perso anche gli autori dei sondaggi che a pochi giorni dal voto la davano addirittura avanti di 2 o 3 punti. Ha perso il centrodestra, come coalizione (dispiace che quasi tutti abbiano dimenticato il successo di un uomo come Altero Matteoli che nelle elezioni del 2000, contro Claudio Martini, superò il 40%). È vero che Fratelli d’Italia ha triplicato i voti ma la realtà è che li ha erosi alla Lega e soprattutto a Forza Italia. Il partito di Berlusconi, cresciuto un po’ rispetto alle Europee dello scorso anno, ha avuto una vera emorragia rispetto alle regionali di 5 anni fa e dovrà guardare agli errori fatti, alle divisioni interne delle ultime settimane. Nel centrosinistra ha perso Matteo Renzi che con Italia Viva entra in Consiglio regionale ma non è andato oltre il 4,5% e che nel resto del Paese ha percentuali ancora più basse. Forse anche lui dovrà rivedere un po’ le sue strategie future. Ha perso il Movimento 5 stelle di Irene Galletti convinta di aver pagato la campagna del «voto utile» messa in piedi dal Pd. Poca esperienza politica: quando delle proprie sconfitte s’incolpano gli altri c’è qualcosa che non ha funzionato. Ne sa qualcosa anche Tommaso Fattori, di Toscana a sinistra, anche lui pronto a incolpare altri. Una sinistra che ha perso e per la prima volta nella storia della Regione non porta neppure un consigliere a Palazzo Panciatichi. Forse dovrà spiegare come gli elettori potevano scegliere tra tre diversi candidati a presidente, due addirittura quasi con lo stesso simbolo e nome: Partito comunista e Partito comunista italiano. O forse non c’è più spazio per questo tipo di sinistra, neanche in Toscana.Hanno invece vinto gli elettori toscani che dopo la defaillance del 2015, per la prima volta sotto la soglia del 50%, sono tornati ai seggi battendo anche il Covid-19 che sembrava un incubo. Sarà però interessante capire il gran numero di schede nulle e bianche. Le prime potrebbero essere spiegate, almeno in parte, dalla «scheda/lenzuolo» certo non molto maneggevole nella cabina elettorale e quindi facile anche da scarabocchiare senza volontà. Ma le bianche no, quelle sono un altro segnale che molti sono andati a votare, magari per il referendum sul taglio dei parlamentari ma non avevano idea di chi votare per la presidenza della Regione. A proposito di referendum la vittoria del Sì è stata netta – e i Cinquestelle, che la riforma avevano voluto, hanno provato a far dimenticare il voto delle regionali accreditandosi con forza la vittoria. Ma non c’è stato quel plebiscito che si aspettavano. Ora è urgente la riforma: così non sarebbe possibile andare al voto e, soprattutto, i prossimi senatori e deputati si preparino a vere «maratone» in Parlamento, che altrimenti non potrà approvare neppure una legge, e a migliaia di chilometri ogni mese se vorranno mantenere un contatto con il loro elettorato che sarà distribuito su collegi sconfinati.Nel gioco di chi ha vinto e chi ha perso, non possiamo dimenticare i cattolici che, come abbiamo già scritto, partivano sconfitti in entrambi gli schieramenti, centrosinistra e centrodestra. I principi di quel mondo, che in 50 anni ha permesso all’Italia di arrivare a essere un grande Paese prima di farsi sciogliere da «tangentopoli», oggi non sono più rappresentati, o non lo sono completamente né da una parte né dall’altra. E se ci fa piacere che Giani come primo gesto sia andato a Montenero (certo il suo predecessore Enrico Rossi non ci avrebbe e non ci aveva mai pensato), sappiamo bene anche il significato civico di quel luogo, come lo stesso Giani ha ricordato. Il neo presidente, però, dovrà confrontarsi con il mondo cattolico che in una regione come la Toscana ha sempre avuto un ruolo di primo piano. Certo quel mondo, prima o poi, dovrà trovare qualcuno che davvero lo rappresenti anche in politica, e non è detto serva un nuovo partito, una strada che sembra impossibile, a oggi, da praticare. Serve invece qualcuno che davvero sulla dottrina sociale della Chiesa si prepari e la porti sui tavoli della politica senza la paura di sporcarsi le mani e senza mai dimenticare ciò che diceva il cardinal Carlo Maria Martini: «La politica è l’unica professione senza una specifica preparazione. I risultati sono di conseguenza», e poi aggiungeva: «Il livello di allarme si raggiunge quando lo scadimento della politica non è neppure più percepito come dannoso». Molti degli attuali politici, e partiti, queste frasi dovrebbero studiarle. Ecco perché ripartire dai principi potrebbe essere la strada giusta per i cattolici, se lo vorranno, per far sì che anche Giani si accorga della loro presenza.Domenico Mugnaini