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Haiti: sei religiose rapite, chiuse scuole delle suore

Una nazione allo sbando, popolazione in balìa di gruppi criminali. La realtà del Paese nelle parole di Maddalena Boschetti (fidei donum) e Clara Zampaglione (Caritas).

Ad Haiti dilagano violenza e povertà (Foto Ansa/Sir)

Le scuole gestite dalla Congregazione di Sant’Anna, ad Haiti, sono chiuse a partire da ieri. Gli studenti degli istituti elementari e medie affidati alle suore, sia a Port-Au-Prince che nel resto dell’isola caraibica, non varcheranno la soglia delle loro aule. Almeno finché non si saprà nulla della sorte delle sei religiose di Sant’Anna, rapite venerdì scorso. Il vescovo Pierre-André Dumas, dopo aver denunciato il rapimento, si è offerto come ostaggio al posto delle sei religiose. La sofferta decisione di interrompere le lezioni è stata presa dalla Congregazione stessa “per protesta in seguito al rapimento delle sei consorelle” prelevate in una via centrale della capitale venerdì scorso da uomini armati appartenenti a una delle 300 gang haitiane. Lo riferisce una nota della Congregazione divulgata dalla Gazette Haiti: le suore chiedono a chi lo desidera “di rimanere uniti nella preghiera”.

Si tratta per il rilascio delle rapite. “La mia opinione è che dietro questo ennesimo rapimento ci sia una strategia per minare l’autorevolezza e la credibilità della Chiesa cattolica”, commenta alla redazione di Popoli e Missione Maddalena Boschetti, fidei donum ad Haiti da oltre dieci anni. “Presumo che lo facciano per avere campo libero: mi sembra che il gioco sia quello di insultare e mettere in atto minacce affinché la Chiesa non alzi ulteriormente la voce”, dice la missionaria. Questi i nomi delle sorelle ancora nelle mani della gang: suor Inoméne Charles, suor Suzie Jean-Louis, le loro consorelle Rachelle Lubin e Johane Mondésir; suor Wilda Nonor e suor Magella Moussignac e una loro nipote. Con loro c’era l’autista, Jean François, anche lui prelevato con la forza e portato via. In queste ore si tratta per il loro rilascio e circolano voci sulla richiesta di un elevato riscatto da parte dei rapitori.

Una nazione senza più regole. Tuttavia è l’intero popolo haitiano ad essere a rischio della vita: “non mi sentirei di dire che c’è un attacco mirato contro la Chiesa – spiega Clara Zampaglione di Caritas Italiana, che si occupa della regione haitiana e ha vissuto a Port Au Prince fino a un anno e mezzo fa –. Il fatto stesso che esponenti della Chiesa siano presi di mira significa che la situazione è davvero fuori controllo”. “Lo vedevo bene quando ero ad Haiti – aggiunge –: i religiosi e le religiose sono sempre stati i più protetti, attorno a loro si creava un cordone di protezione e sicurezza da parte della popolazione, ma oggi quelle poche regole non scritte di rispetto sembrano del tutto cadute”.

Il sacrificio di suor Luisa Dell’Orto. Maddalena Boschetti ricorda a questo proposito l’uccisione di suor Luisa Dell’Orto, la missionaria originaria di Lecco, freddata in strada a Port-Au-Prince il 25 giugno 2022. “È eccezionale la normalità con cui Luisa ha vissuto la missione. La quotidianità di Luisa si è rivelata nella fatica di essere sola: quando le sue consorelle hanno dovuto ritirarsi, lei ha deciso di restare”, ricorda Maddalena. “Lei si muoveva con sicurezza, non aveva bisogno di accompagnatori, quel giorno sapevano che sarebbe passata di lì e l’hanno aspettata”, racconta don Levi Spadotto, già missionario ad Haiti, in un video-reportage girato lo scorso anno da Luci nel Mondo per Missio.

Crescono i gruppi criminali. Nel corso degli ultimi sei mesi la vulnerabilità dei comuni cittadini di Haiti si è accentuata ancora di più. “I sequestri di persona a scopo di estorsione sono pratiche diffuse perché sono un business facile”, dice ancora Zampaglione. La conferma viene anche dai dati dalle Nazioni Unite, riferiti al secondo trimestre del 2023: “il numero di vittime dei gruppi criminali ad Haiti registra un allarmante incremento del 16% negli ultimi tre mesi del 2023: un totale di 2mila e 161 persone sono state uccise, ferite e rapite in questo lasso di tempo”. Il report dell’Integrated Office delle Nazioni Unite ad Haiti (Binuh) dice inoltre che il 96% dei rapimenti avviene ai danni dei connazionali haitiani.

In arrivo contingente internazionale. “Vivere ad Haiti significa fare i conti con troppe cose; la violenza, l’insicurezza, le difficoltà materiali, di comunicazione, legate alla logistica e ai trasporti, e alle risorse primarie – spiega ancora Clara Zampaglione –. Si vive nell’anarchia più totale e non c’è un potere democratico”. Fatica e abbandono, dinamiche imponderabili, legate all’arbitrio delle gang che tengono sotto scacco i quartieri blindati della capitale, e regole che “cambiano ogni giorno, del tutto imprevedibili, soggette al capetto di turno”, dice Zampaglione. Il Paese e la comunità internazionale ora attendono l’invio di una forza multinazionale di pace, a guida keniota, il cui via libera è soggetto alla decisione dell’Alta Corte del Kenya, che però frena. “È estremamente discutibile, ma quantomeno è qualcosa: il contingente multinazionale è stato chiesto più volte dal primo ministro Ariel Henry, e non si tratta di un intervento Onu ma di un contingente autorizzato dal Consiglio di sicurezza», conferma Zampaglione. L’auspicio è che entro febbraio questa forza di monitoraggio sul campo possa mettere piede nella capitale Port-au-Prince e concedere un po’ di sollievo ai cittadini haitiani.