Quello che la Chiesa può (e deve) fare per riconoscere il valore delle donne
Credo sia opinione largamente diffusa che anche nella Chiesa, purtroppo, non si faccia abbastanza per superare una cultura patriarcale e per riconoscere e promuovere la dignità e il ruolo delle donne. Chiedo: esistono – al di là della questione del sacerdozio femminile – problemi teologici seri che impediscano di progredire più rapidamente e coraggiosamente su questa strada?
Francesco Michelazzo
Risponde Marco Giovannoni, docente all’Istituto superiore di scienze religiose della Toscana
La questione posta dal lettore è, più che un’opinione, un dato di fatto. Durante il corso di una storia bimillenaria la Chiesa ha, infatti, assunto il patriarcato come dimensione strutturale della sua organizzazione e del suo funzionamento, anche se esso – pur riflesso in alcuni testi del Nuovo Testamento – non appartiene all’esperienza originante che ruota attorno alle vicende della vita, della morte e dell’annuncio della Resurrezione di Gesù. Nondimeno, le tradizioni cristiane non solo hanno assunto il patriarcato ma, per la loro capacità di permeare le culture, ne sono state importanti veicoli; ciò spiega il perché solo recentemente le chiese si siano messe in ascolto dei movimenti di emancipazione delle donne, rinunciando a un atteggiamento di pregiudiziale sospetto. Il che a dire il vero non vale tutt’oggi per tutte le esperienze ecclesiali.
Probabilmente, anzi, quanto sto scrivendo urterà la sensibilità di qualche lettore e lettrice, immagino che qualcuno abbia già voltato pagina, rifiutando l’evidenza di essere parte integrante di una cultura e di una struttura patriarcale. Un po’ provocatoriamente – se ne avessi la possibilità – direi a tali lettori e lettrici di non riprendere in mano queste righe senza prima essersi documentati sui dati, accessibili attraverso molteplici studi, anche in rete. I dati mostrano quanto sia attivo il sistema patriarcale e dovrebbero far prendere coscienza di quanto sia pervasiva la mentalità prevaricatrice e denigrante la dignità delle donne che inevitabilmente privilegia i maschi.
Venendo alla seconda parte dell’intervento del lettore, a mio avviso non vi sono problemi teologici seri, ma – al contrario – lacune teologiche gravi. Senza neanche provare a farne un sommario, mi pare che non si sia ancora presa sul serio la portata rivoluzionaria dello stile di Gesù nei confronti delle donne: non mi riferisco solo alla rottura di più di un tabù della società del tempo ma a ciò che è alla base della rottura di quei tabù e cioè al fatto che Gesù non si sia mai imposto a nessuno dei suoi interlocutori e a nessuna delle sue interlocutrici. Alla base di ogni incontro di Gesù vi è il riconoscimento e il suscitamento della libertà e volontà del suo interlocutore e della sua interlocutrice. È l’opposto del funzionamento del patriarcato. Questa attitudine di Gesù affonda le sue radici nella preghiera, nel suo riconoscersi generato e continuamente rigenerato nelle viscere materne di Dio. Con Gesù trovano spazio le donne, ciascuna per quello che è, ed è quindi il principio cristologico e trinitario che fonda la riforma della Chiesa nella direzione del superamento del patriarcato. Ho, infatti, l’impressione che oltre al superamento di atteggiamenti maschilisti o misogini ci sia molto lavoro da fare anche per liberare le donne da visioni idealizzate. Anche un’eccessiva insistenza mariologica, se non informata e subordinata allo stile relazionale di Gesù con le sue interlocutrici come riflesso della sua esperienza di relazione col Padre è fuorviante. Sul fondamento cristologico, invece, la teologia diviene capace di abbattere le barriere etnico-culturali, sociali e di genere: Non c’è qui né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù (Gal 3,28).
Occorre però che le parole delle donne siano pronunciate e ascoltate, ritengo così che il primo ostacolo al superamento della mentalità patriarcale nella Chiesa sia non prendere adeguatamente coscienza del peso del privilegio maschile che toglie la parola alle donne. In queste condizioni i problemi teologici e le prassi che si sono sedimentati lungo il corso della storia del cristianesimo non potranno essere riconosciuti e superati.
Il cammino è ancora lungo e nessuno può sentirsi dispensato dal percorrerlo: la posta in gioco non è solo il rispetto della dignità della donna nella Chiesa, e nemmeno il privarsi di contributi di pensiero e di prassi creative capaci di immaginare il futuro (in un momento in cui la Chiesa d’occidente ha l’horror vacui del futuro); in ballo c’è il rendere le chiese un luogo ancora abitabile dalle donne in cui si lotta per la dignità di tutte e di tutti, contro ogni genere di violenza. Alle donne battezzate che ancora partecipano alla vita della Chiesa non c’è da chiedere di avere pazienza, ma di non rinunciare alla loro appartenenza ecclesiale prendendo coscienza della fatica che tante, da tempo, stanno facendo: mi riferisco in particolare alle teologhe femministe, le cui posizioni, obiettivi, letture sono molteplici come è giusto e inevitabile che sia. Si tratta di percorsi teologici molto variegati, ciascuno dei quali, ovviamente, va valutato nel merito e messo in dialogo con altre posizioni teologiche. Papa Francesco, ad esempio, nella Laudate Deum si è ispirato al pensiero di Donna Haraway. Vorrei però invitare le lettrici a scoprire anche il lavoro che da molti anni viene portato avanti dalle teologhe italiane. Rilevante, mi pare, sia la capacità dei percorsi di elaborazione teologica femministi di dialogare con gli altri movimenti femministi, compreso quelli che si esprimono a partire da altre tradizioni religiose, penso in particolare ai femminismi islamici di cui l’area mediterranea è molto ricca.
Vale la pena di prendere coraggio, sono molte, anche in Italia, le iniziative che esprimono la missione della Chiesa a difesa delle donne (penso in particolare al lavoro silenzioso in favore delle donne ridotte in schiavitù oppure al centro antiviolenza della Caritas ambrosiana), ma occorrerebbe – senza ulteriori perdite di tempo – operare con più consapevolezza ed efficacia per la trasformazione delle comunità cristiane nel senso del superamento della mentalità patriarcale. L’inedito della vita ecclesiale che si dispiega nelle fasi di maggiore crisi della storia della Chiesa, passa in questo nostro tempo – ne sono convinto – soprattutto da qui.