Firenze
Natale: card. Betori, non siamo condannati alla violenza
"L’amore di Dio non ci abbandona e da questo possiamo trarre risorse perché la pace torni a regnare"
> alla violenza, all’assenza di pace, <>. Lo ha detto l’arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori nell’omelia della Messa della notte di Natale celebrata nella cattedrale di Santa Maria del Fiore.
Dopo aver ricordato le tante forme di violenza, da quella della guerra in Medio Oriente come in Ucraina o in altre parti del mondo, quella dei femminicidi o quella dei giovani, l’arcivescovo ha sottolineato come nella <>.
Di seguito l’omelia della Messa di notte nella cattedrale di Santa Maria del Fiore
OMELIA
In questi giorni che ci è dato di vivere, in questa Notte Santa, la nostra riflessione non può che partire dall’annuncio degli angeli ai pastori a Betlemme, le parole che hanno concluso il brano di vangelo proclamato in questa liturgia: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Lc 2,14). Sono così tante le offese alla pace attorno a noi per non sentire questa rivelazione come una fonte di gioiosa speranza.
Sono parole che ci svelano che questo nostro mondo non è condannato inesorabilmente alla tragedia della violenza: nelle guerre che insanguinano tante regioni del mondo, travolgendo i diritti umani e il diritto dei popoli; nei rapporti tra uomo e donna, quando la volontà di possesso giunge fino al crimine del femminicidio; nella diffusa violenza che si propaga nella società, in specie tra i giovani; nella non meno rovinosa violenza delle parole, che inquina i rapporti e la corretta visione delle cose.
Non siamo condannati a tutto questo, non perché abbiamo in noi le risorse per cambiare la rotta, ma perché l’amore di Dio non ci abbandona e da questo amore possiamo trarre le risorse perché la pace torni a regnare sulla terra. Ma questo amore divino occorre riconoscerlo, alzando lo sguardo e riconoscendo la presenza di un Padre che ci ama e manifestando gratitudine per questo, rendendo a lui gloria. Le due parti dell’annuncio angelico si legano strettamente tra loro e si reggono solo se le accogliamo insieme: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Lc 2,14).
A questo punto va posta una domanda decisiva: quale volto ha la pace che Dio offre al mondo nel suo amore? La risposta, come l’angelo rivela ai pastori, è «un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,12), il figlio che Maria ha dato alla luce e che ha posto nella mangiatoia di una stalla per gli animali, perché per lei, per Giuseppe e per il bambino «non c’era posto nell’alloggio» (Lc 2,7) degli uomini.
Nella nascita del Figlio di Dio in condizioni di estrema povertà, si potrebbe dire anche di disumanità, c’è la condanna di ogni modo con cui gli uomini pensano di raggiungere la pace: quando si propongono di sottomettere un altro popolo al proprio ordine; quando rifiutano la convivenza con un altro popolo, considerandosi gli uni gli altri non figli di un unico padre, e quindi fratelli, ma nemici per sempre; quando si nega la libertà dell’altro, in specie dell’altra, per ridurla in proprio potere; quando si cerca di imporre agli altri la propria opinione e ciò che conviene ai più forti, con il peso delle convenzioni sociali, del pensiero unico, del politicamente corretto, del consenso dei più.
Ma se la pace non è solo la tranquillità dell’ordine, bensì il bene di ciascuno e di tutti, gli scenari delle situazioni in cui la pace viene di fatto ferita si allargano ben oltre. Solo per richiamarne alcune: le crisi di aziende in cui non si trova la strada per cercare insieme soluzioni che garantiscano il lavoro e il futuro di tante famiglie, e qui la nostra viva preoccupazione è per l’ex-GKN e su altre aziende del territorio in difficoltà; la mancanza di alloggi accessibili a tutti, un problema da affrontare dando alla casa un ruolo prioritario negli assetti urbanistici delle nostre città, a cui poi far corrispondere adeguati servizi che facciano da sostegno a un tessuto sociale umanamente sostenibile; le condizioni inumane delle nostre carceri, in cui si punisce ma non si sostengono adeguati percorsi di recupero che portino alla rigenerazione umana e sociale dei detenuti, scatenando quindi l’inesorabile reiterazione dei reati; la povertà educativa che segna le nuove generazioni, in cui la dipendenza dal mondo dei social prende il sopravvento su tutte le agenzie educative tradizionali – famiglia, scuola, le stesse comunità parrocchiali –, esse stesse in crisi a vario titolo, a causa della caduta di credibilità degli adulti. Potremmo continuare a lungo.
La risposta che viene da Betlemme è anzitutto a un cambiamento di sguardo, quello che Papa Francesco sollecita con il richiamo a guardare i problemi a partire non dal centro – politico, economico, culturale, anche ecclesiale, ecc. – ma dalle periferie. Il rovesciamento di prospettiva è il primo passo da fare. Poi dobbiamo far tesoro di quanto abbiamo ascoltato dal profeta Isaia nella prima lettura della Messa: il bambino che è «nato per noi» è il «Principe della pace» (Is 9,5) e la sua sovranità, cioè il suo potere di portare pace al popolo ha tratti chiari e vincolanti: liberazione da ogni oppressione per dare volto a una reale fraternità; eliminazione di ogni violenza per dare spazio alla forza della mitezza e dell’umiltà; costruzione di rapporti personali, sociali e tra i popoli secondo diritto e giustizia, in forza della illuminazione delle realtà in gioco secondo verità, combattendo manipolazioni e confusioni interessate, che stravolgono i diritti delle persone per interessi individuali o di gruppi. A queste indicazioni si aggiunge poi l’esortazione dell’apostolo Paolo «a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà» (Tt 2,12). Questo è dono, grazia di Dio e illumina la nostra storia verso il suo compimento, la «manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo» (Tt 2,13).
Siamo così invitati a allargare lo sguardo dal Signore per noi nato a Betlemme al ritorno del Signore alla fine dei tempi, dando così un fondamento e un orientamento a tutta la storia umana: personale, sociale, universale. La gioia del Natale di Gesù diventi speranza per il futuro e luce nelle scelte di ogni giorno: «Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza. In mezzo alle genti narrate la sua gloria» (Sal 95(96),2b-3a).
Giuseppe card. Betori