Verso il Giubileo del 2025, cosa sono e come si ottengono le «indulgenze»
Cosa distingue l'indulgenza che si può ottenere durante il Giubileo, rispetto al perdono dei peccati che si ottiene con la confessione? La risposta del teologo
Visto che si comincia a parlare del prossimo Giubileo, nel 2025, e quindi anche di indulgenze, vorrei capire cosa distingue l’indulgenza che si può ottenere in occasioni come questa, rispetto al perdono dei peccati che si ottiene con la confessione.
Lettera firmata
Risponde padre Francesco Romano, docente di Diritto canonico
La conoscenza della parola «indulgenza» è spesso legata alla notizia della indizione di un giubileo. Meno conosciuto è l’aspetto teorico e dottrinale dell’insegnamento della Chiesa riguardo alla sua applicazione e agli effetti che ne conseguono.
La definizione di indulgenza è espressa in modo sintetico dalla Costituzione Apostolica Indulgentiarum Doctrina del 1° gennaio 1967 di san Paolo VI, ripresa dal Codice di Diritto Canonico: «L’indulgenza è la remissione davanti a Dio della pena temporale dovuta per i peccati, già perdonati quanto alla colpa, che il fedele, debitamente disposto e a talune determinate condizioni, ottiene a opera della Chiesa, che, come ministra della redenzione, dispensa e applica con autorità il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei Santi». (can. 992).
La dottrina e la pratica delle indulgenze nella Chiesa cattolica sono strettamente legate agli effetti del sacramento della Penitenza che libera il peccatore dalla colpa con l’assoluzione dei peccati, ma non del tutto della pena. L’indulgenza è plenaria o parziale, a seconda che liberi in tutto o in parte dalla pena temporale, cioè la sua remissione davanti a Dio come conseguenza dei peccati già perdonati con l’assoluzione sacramentale quanto alla colpa. Le indulgenze possono essere applicate a beneficio dei vivi e dei defunti. In questo secondo caso si parla di suffragio.
Occorre preliminarmente ricordare che il peccato, mortale, grave infrange la comunione con Dio e comporta la «pena eterna» cioè la privazione della vita eterna, comunemente conosciuta come pena dell’Inferno. Il perdono ottenuto attraverso il pentimento e l’assoluzione sacramentale, che costituisce la via ordinaria, comporta la restaurazione della comunione con Dio e la remissione della pena eterna, ma non della pena temporale, cioè il Purgatorio. Con l’assoluzione e la remissione della colpa, sebbene venga rimessa la pena eterna, quella che conduce all’Inferno, di fatto rimangono da scontare pene o resti di peccato da purificare che prendono il nome di «pene temporali», cioè provvisorie, non definitive in quanto conducono al Purgatorio dove le anime vengono preparate con la purificazione per entrare in Paradiso. Su questa verità si basa la dottrina sul Purgatorio dove le anime dei defunti vengono purificate con pene purificatrici se veramente pentite sono passate all’altra vita nella carità di Dio, senza averle prima soddisfatte con frutti di penitenza per le colpe commesse e per le omissioni. Che possano restare e che di fatto frequentemente rimangano pene da scontare o resti di peccato da purificare anche dopo la remissione della colpa con la confessione sacramentale, lo dimostra molto chiaramente la dottrina sul Purgatorio: in esso, infatti, le anime dei defunti che «muoiono nella grazia di Dio, ma imperfettamente purificati, benché sicuri della loro salvezza eterna, vengono sottoposti, dopo la morte, a una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia di Dio» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1054).
D’altra parte anche il peccato veniale necessita della purificazione dell’anima attraverso una pena temporale. Infatti, il Catechismo della Chiesa Cattolica dichiara che ogni peccato, anche veniale, provoca un attaccamento malsano alle creature, che ha bisogno di purificazione sia quaggiù che dopo la morte, nello stato chiamato Purgatorio. Tale purificazione libera dalla cosiddetta pena temporale del peccato (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1472).
L’assoluzione sacramentale toglie il peccato, ma non porta rimedio a tutti i disordini che il peccato ha causato. Sollevato dal peccato, il cristiano deve ancora recuperare la piena salute spirituale. Deve fare qualcosa di più per riparare alle proprie colpe, deve soddisfare in maniera adeguata o espiare i suoi peccati. Questa soddisfazione si chiama anche penitenza, quella che il confessare impone. Essa può consistere nella preghiera, in un’offerta, nelle opere di misericordia, nel servizio del prossimo, in privazioni volontarie, in sacrifici e soprattutto nella paziente accettazione della croce che dobbiamo portare. Questa soddisfazione, come ci insegna il Concilio di Trento, non è nostra e non può esistere se non per mezzo di Gesù Cristo. Noi infatti che non possiamo nulla da noi stessi, col suo aiuto possiamo tutto in lui che ci dà la forza. Quindi l’uomo non ha di che gloriarsi, ma ogni nostro vanto è riposto in Cristo in cui […] offriamo soddisfazione, facendo «opere degne della conversione» (Lc 3, 8), che da lui traggono il loro valore, da lui sono offerte al Padre e grazie a lui sono accettate dal Padre. Quindi, dopo l’assoluzione dal peccato, estinta la pena eterna, possono rimanere delle pene da scontare in vista della purificazione completa dell’anima. Di nuovo il Catechismo della Chiesa Cattolica ci insegna che rimanendo le pene temporali, il cristiano deve sforzarsi di accettarle come una grazia sopportando pazientemente le sofferenze e le prove di ogni genere e affrontando serenamente la morte (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1473).
S. Agostino nel commento al Vangelo di Giovanni, scrive a tal proposito: «L’uomo è costretto a sopportare (questa vita) anche dopo la remissione dei suoi peccati, benché sia vero che la causa per cui si trova in mezzo a queste miserie sia stata proprio il primo peccato (originale). Il fatto è che la pena è ben più lunga della colpa: e ciò per non far sottovalutare la colpa, nel caso che con essa finisse anche la pena. Per questo, e anche per dimostrare la miseria meritata o per correggere questa fuggevole vita o per esercitare la necessaria pazienza, l’uomo per un certo tempo è vincolato a una pena, anche se non è più vincolato alla colpa che lo faceva degno della dannazione eterna» (S. Agostino, Tr. su Giov. Evang. 124, 5; Cost. Ap. Indulgentiarum Doctrina di san Paolo VI, 1, 3, nota 8).
L’indulgenza si ottiene mediante la Chiesa in virtù del potere di legare e sciogliere accordatole da Gesù. Essa dischiude al fedele il tesoro dei meriti di Cristo e dei Santi perché ottenga dal Padre la remissione delle pene temporali dovute ai suoi peccati. Questi beni spirituali della comunione dei Santi sono anche chiamati «il tesoro della Chiesa», che è da considerarsi come l’infinito e inesauribile valore che le espiazioni e i meriti di Cristo hanno presso il Padre, e offerti perché tutta l’umanità fosse liberata dal peccato. A questo «tesoro» appartiene anche il valore incommensurabile che presso Dio hanno le opere della beata Vergine Maria e di tutti i santi che hanno santificato la loro vita cooperando anche alla salvezza dei propri fratelli nell’unità del corpo mistico.
L’indulgenza si può ottenere anche a favore dei defunti, a modo di suffragio, che sono in via di purificazione in Purgatorio perché anch’essi fanno parte della comunione dei santi. Noi possiamo aiutarli a sgravarsi delle pene temporali dovute per i propri peccati. Non è possibile applicare le indulgenze a persone che siano ancora in vita.
Il fedele, che almeno con cuore contrito compie un’azione alla quale è annessa l’indulgenza parziale, ottiene la remissione della pena temporale per intervento della Chiesa. Per acquistare l’indulgenza plenaria è necessario eseguire l’opera «indulgenziata» e adempiere tre condizioni: confessione sacramentale per la remissione della colpa, Comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice.
L’indulgenza ci parla dunque del tesoro della divina misericordia e della sua eccedenza anche rispetto a tutto il possibile male compiuto dall’uomo. Soltanto coloro che si lasciano cambiare dalla divina misericordia e, con umiltà, attingono abbondantemente attraverso la Chiesa al tesoro soprannaturale delle Indulgenze, possono vedere il proprio destino eterno realmente cambiato.
In conclusione, le indulgenze sono la piena manifestazione della misericordia di Dio nei confronti degli uomini. Si tratta della remissione della pena temporale, parziale o totale, dovuta ai peccati, pena che resta sempre nell’uomo come un residuo anche dopo aver confessato le sue colpe, come una specie di segno perché non dimentichi, come sapientemente ci ha insegnato sant’Agostino, che senza misericordia non può esserci salvezza nonostante i nostri sforzi.