L’imparzialità di un giudice e le sue libertà spesso contrastano

Caro direttore,
la giudice di Catania Iolanda Apostolico ha annullato il trattenimento di quattro migranti nel Cpr di Pozzallo, sconfessando il decreto Cutro approvato dal governo. Fin qui niente di male.
Se non che c’è un video che il 25 agosto 2018 la posiziona a Catania in una manifestazione di protesta contro il governo sulla vicenda degli immigrati della nave Diciotti: lei è in piazza mentre la folla urla «assassini» e «animali» in faccia alla polizia e a rappresentanti dello Stato.
La giudice Apostolico, nella peggiore delle ipotesi, ha quindi dichiarata nulla una legge dello Stato basando questa decisione probabilmente sulle sue convinzioni politiche? O, nella migliore opzione, si è messa nella scomoda posizione di farlo credere…
Leggo nella Treccani: «…la terzietà del giudice, che non deve avere alcun interesse all’esito del procedimento, altro che l’applicazione della regola giuridica, è un principio cardine degli ordinamenti liberali».
In sintesi, un magistrato può scendere in piazza contro il governo e rimanere credibile? Io credo che se la giudice di Catania vuol fare politica, non deve esercitare come magistrato.
Vorrei sapere cosa ne pensa. 
Grazie
Roberto Enrichi

Il nostro amico, senza insistere troppo in polemiche esagerate, ci chiede un parere su un fatto che negli ultimi giorni è stato, invece, al centro di polemiche che, come spesso succede, ha visto schierarsi da una parte e dall’altra i diversi «tifosi» della politica nostrana. E, come sempre, il loro megafono sono stati i social. Partiamo da un dato di fatto sul quale a nostro parere c’è davvero poco da discutere come sottolinea il nostro lettore citando la Treccani. Io, che personalmente non conosco la giudice Apostolico, leggendo quanto scritto sulla nota enciclopedia a proposito della terzietà del giudice, devo solo sperare che il 25 agosto 2018 fosse ancora una privata cittadina e non un giudice o un magistrato. E questo perché come si legge nell’«Elogio dei giudici» scritto dall’avvocato e padre costituente Pietro Calamandrei, tutto meno che un «parruccone» di destra, «I giudici, per godere della fiducia del popolo, non basta che siano giusti, ma occorre che si comportino in modo da apparire tali: il magistrato che è salito sulla tribuna di un comizio elettorale a sostenere le idee di un partito non potrà sperare mai più, come giudice, di avere la fiducia degli appartenenti del partito avverso. L’opinione pubblica è convinta, e forse non a torto, che prendere parte alla politica voglia dire, per i giudici, rinunciare all’imparzialità nella giustizia».
Ecco perché la giudice Apostolico, sapendo comunque di avere un passato di militanza o quanto meno di presenza a qualche manifestazione di parte, forse avrebbe fatto meglio a passare il caso dei quattro migranti trattenuti nel Cpr di Pozzallo a qualche suo collega, soprattutto se non fosse sicura di poter giudicare senza pregiudizi. A onor del vero lo stesso tribunale, ma con un giudice diverso, pochi giorni dopo ha liberato altri sei giovani migranti. E, attenzione, sono convinto che lo stesso modo di agire che ho richiamato sopra per la giudice Apostolico dovrebbe riguardare, ad esempio, quei giornalisti che hanno ricoperto per periodi più o meno lunghi incarichi di portavoce di un politico o di un partito: non possono certo tornare a scrivere di politica o peggio a dirigere un servizio in un giornale così detto indipendente o in un mezzo del servizio pubblico. Con questo spero di aver soddisfatto il nostro amico.
La vicenda del giudice di Catania però mi lascia degli interrogativi aperti, e spero li lasci anche al nostro lettore, ai quali ancora nessuno ha dato una risposta. Perchè il carabiniere che ha realizzato il video lo ha tenuto per cinque anni? Perché lo aveva fatto? Lo ha conservato lui o lo aveva affidato a qualcun altro? E un altro ancora: è giusto che un ministro della Repubblica, per di più vicepremier e leader di un partito, pubblichi un video del genere sui social? Spero che l’inchiesta che è stata aperta risponda a tutti questi interrogativi. Non mi piacerebbe vivere in un Paese in cui si conservano per anni video di manifestazioni per poi utilizzarli per criminalizzare o comunque rovinare la reputazione a qualcuno. Non mi piacerebbe vivere in un Paese dove tutti noi siamo schedati dal momento in cui si nasce fino a quando si lascia questo mondo. Qualcuno mi dice che di fatto lo siamo già quando paghiamo con il bancomat o passiamo con l’auto sotto il telepass. Vero, ma lasciatemi la libertà di dire che non mi piace neppure questo soprattutto se serve alle aziende per mandare la pubblicità sul mio cellulare o sul mio computer.