Il film: “Io capitano”, dal Senegal all’Italia attraverso gli occhi di due ragazzi
Torna in sala Matteo Garrone con il lavoro presentato in concorso alla Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia.
Sui titoli di coda di «Io capitano» si delinea su una mappa il percorso seguito dai due giovanissimi protagonisti del film, Seydou e Moussa: dal Senegal in bus fino al confine tra Mali e Niger, poi da lì un po’ su jeep malsicure un po’ a piedi a marcia forzata attraverso il Sahara fino al confine libico, poi il purgatorio dei mostruosi centri di detenzione fino ai ghetti multietnici di Tripoli, e finalmente (?) la traversata del Mar Mediterraneo a bordo di un peschereccio male in arnese e sovraffollato.
Il tragitto, lo stesso o quasi affrontato ogni giorno da migliaia e migliaia di disperati in cerca di un futuro migliore o soltanto possibile, è interrotto da tante tappe che sono altrettante tasse: pedaggi da pagare ai soldati, alle polizie, ai trafficanti, ai falsari di documenti, alle guardie carcerarie, ai medici, alla malavita nordafricana. Gli unici che fanno qualcosa per niente, nel film di Garrone, sono un semplice muratore, che prende Seydou sotto la propria ala protettiva per salvarlo dagli orrori del carcere libico e che vi rivede il figlio lasciato a casa, e un angelo, mandato da Dio a recapitare un messaggio alla madre lontana.
Esatto, proprio un angelo: perché il viaggio dei due ragazzi, raccontato con rigore praticamente documentaristico da Garrone per la quasi totalità del film, subisce saltuariamente delle intrusioni oniriche, quasi fiabesche, a partire da una donna esausta che per non soccombere al Sahara comincia a volteggiare come un aquilone, condotta per mano da un bambino cresciuto troppo in fretta che mai avrebbe voluto lasciarla indietro.
«Io capitano» è un racconto di formazione, un semi-documentario, ma anche un film d’avventura, quasi un episodio da «Mille e una notte» che pone l’eroe di fronte a un viaggio periglioso per raggiungere quello che crede/sa/spera essere il Paradiso in Terra, l’Europa. Il nemico che si pone davanti a Seydou è sempre lo stesso, il deserto: che sia il deserto di sabbia del Sahara, quello d’acqua del Mediterraneo o, ancor più mortale, il deserto dell’anima che contagia e contamina chi trova sul suo cammino, il novello Sinbad Seydou è chiamato a crescere, imparare e così emergere vincitore.
Realistico e fiabesco si intrecciano fino a farsi indistinguibili, due toni e stili che diventano uno in una narrazione che da ultimo si fa volontariamente ambigua, fino a un grido liberatorio che appare troppo bello per essere vero, e forse non lo è, non ci è dato sapere.
Garrone ha sempre avuto un po’ la vocazione di cantore degli ultimi, dagli immigrati di «Terra di mezzo» e di «Ospiti» fino ai ragazzi abbandonati alla criminalità di «Gomorra» e ai “semplici” ipnotizzati e rimbecilliti dalla televisione di «Reality». Anche stavolta i riflettori sono tutti per quelle persone che rappresentano un problema, polvere che si vorrebbe volentieri nascondere sotto il tappeto, in quella che da anni è percepita come un’emergenza informe a cui invece Garrone restituisce nome e volto, centrando il bersaglio con uno dei suoi film visivamente e tematicamente più ambiziosi.
La brutale odissea immortalata da «Io capitano» vuole coinvolgere, appassionare, smuovere le coscienze, richiamare l’attenzione, il tutto evitando abilmente le trappole della retorica e permettendo alle immagini di parlare per sé, lasciando al pubblico l’onore e l’onere di trarre le proprie conclusioni.
IO CAPITANO di Matteo Garrone. Con Seydou Sarr, Moustapha Fall, Khady Sy, Issaka Sawagodo. Italia, Belgio, 2023. Drammatico.