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Consiglio europeo, tutti «vincitori». Ma cosa nasconde l’accordo sui migranti?

Alle 4 di questa mattina i leader Ue hanno messo nero su bianco le conclusioni cui erano giunti sul complesso problema migratorio. Il premier italiano Conte si è detto soddisfatto, così come diversi altri protagonisti della maratona negoziale notturna. L'Ue si conferma come una essenziale «stanza di compensazione» della politica europea. Ma i nodi irrisolti non mancano.

Può aver ragione il premier italiano Giuseppe Conte annunciando: «Sui migranti l’Italia non è più sola». Ma non ha torto il ministro degli Interni Matteo Salvini quando afferma: «Delle parole non mi fido, voglio vedere i fatti». Perché una cosa è certa alla luce delle conclusioni notturne del vertice Ue riguardo il capitolo-migrazioni: i 27 Paesi Ue (il Regno Unito si è già chiamato fuori per ovvie ragioni) hanno messo nero su bianco impegni e promesse, come mille altre volte.

Ora occorrerà verificare se tali promesse diventeranno realtà. Inoltre – e questo non può sfuggire a nessun leader politico presente a Bruxelles, ma neppure ad alcun cittadino italiano ed europeo – l’accordo delle 4 del mattino non blocca dall’oggi al domani gli arrivi di migranti attraverso il Mediterraneo, non cambia le regole del diritto internazionale sull’obbligo dei salvataggi in mare e sui «porti aperti», non costringe gli altri Paesi Ue a farsi carico di una ridistribuzione dei migranti sbarcati in Italia, non impegna a una riforma del regolamento di Dublino né al superamento della regola del «Paese di primo approdo».

Lo si intuisce ancora prima delle tenui luci dell’alba brussellese, quando il premier polacco Mateusz Morawiecki strizza l’occhio e afferma: «I Paesi Visegrad sono soddisfatti». Ovvero Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, appoggiate dall’Austria e dai Baltici, evitano qualsiasi obbligo di solidarietà europea: potranno tendere la mano ai Paesi più esposti alle migrazione solo (è questa la formula-trappola) «su base volontaria». Ma se la volontà non c’è…

Resta il fatto che ogni leader, come largamente previsto, parla ai microfoni di giornalisti assonnati dichiarando il successo dei negoziati a vantaggio del proprio Paese. «L’Italia non è più sola», appunto nelle parole di Conte. Il francese Macron gongola: «L’Europa vivrà ancora per lungo tempo la sfida della migrazione, dobbiamo far fronte a questa sfida restando fedeli ai nostri valori». La tedesca Merkel, che sulla politica migratoria vedeva traballare il governo di Berlino, è prudente, come sempre: «Il fatto di aver concordato un testo comune è un buon segnale, ma abbiamo ancora molto lavoro da fare per superare le divisioni».

Ma quali sono i punti concordati? Procedendo per titoli: le migrazioni sono una questione europea che richiede un «approccio globale»; si concorda sul controllo delle frontiere esterne e delle rotte marittime; consenso generalizzato sulla lotta ai trafficanti e alla tratta; si riconosce che – grazie agli sforzi precedenti – gli arrivi sono diminuiti del 95% rispetto all’ondata del 2015 (e che quindi le pressioni migratorie sono infinitamente inferiori); le navi delle Ong che percorrono il Mediterraneo per salvare vite umane si devono attenere alle regole internazionali; potrebbero (condizionale d’obbligo) essere istituite «piattaforme regionali» al di fuori dell’Ue per il controllo dei migranti, ovviamente ottenendo il consenso dei Paesi interessati (diversi, tra ieri e oggi, hanno già smentito di essere disponibili). Inoltre: creazione di hotspot all’interno dell’Ue, ma solo «su base volontaria»; 500 milioni aggiuntivi al Fondo fiduciario per l’Africa (presi dal bilancio Ue, cioè sottratti ad altri investimenti). Sui rimpatri la Commissione studierà una proposta operativa. Impegno a fermare i «movimenti secondari», ovvero quelli dei migranti che vanno da un Paese all’altro dell’Ue (il tema che stava a cuore alla Merkel).

Quali sono gli elementi sui quali non si è deciso nulla? Sono almeno quattro, e rilevanti. Anzitutto non si parla più di redistribuzione obbligatoria dei rifugiati: chi ne ha sul proprio territorio deve continuare a farsene carico. In secondo luogo l’invocata riforma di Dublino e del diritto di asilo (compresa la regola del Paese di primo approdo) è rimandata sine die. Terzo: sparisce il cosiddetto Piano Marshall per l’Africa – che era stato nuovamente invocato ieri dal presidente del Parlamento europeo Tajani -, inteso a una cooperazione rafforzata per aiutare lo sviluppo e la stabilità democratica dei Paesi di origine e transito dei migranti, andando così alla radice degli stessi fenomeni migratori. Quarto: di vie legali per le migrazioni non si fa cenno, come se l’Europa con i capelli bianchi non avesse più bisogno di energie giovani.

La lettura di alcuni passaggi-chiave delle «Conclusioni» del Consiglio europeo rendono l’idea del tipo di accordo raggiunto. Ad esempio il punto numero 6: «Nel territorio dell’Ue coloro che vengono salvati, a norma del diritto internazionale, dovrebbero essere presi in carico sulla base di uno sforzo condiviso e trasferiti in centri sorvegliati istituiti negli Stati membri, unicamente su base volontaria; qui un trattamento rapido e sicuro consentirebbe, con il pieno sostegno dell’Ue, di distinguere i migranti irregolari, che saranno rimpatriati, dalle persone bisognose di protezione internazionale, cui si applicherebbe il principio di solidarietà. Tutte le misure nel contesto di questi centri sorvegliati, ricollocazione e reinsediamento compresi, saranno attuate su base volontaria, lasciando impregiudicata la riforma di Dublino».

Al punto numero 10: «Il Consiglio europeo ricorda la necessità che gli Stati membri assicurino il controllo efficace delle frontiere esterne dell’Ue. Sottolinea inoltre l’esigenza di intensificare notevolmente l’effettivo rimpatrio dei migranti irregolari. […] Accoglie con favore l’intenzione della Commissione di presentare proposte legislative per una politica europea di rimpatrio efficace e coerente». Il punto 11, esplicitamente richiesto dalla cancelliera tedesca: «Per quanto concerne la situazione all’interno dell’Ue, i movimenti secondari di richiedenti asilo tra Stati membri rischiano di compromettere l’integrità del sistema europeo comune di asilo e l’acquis di Schengen. Gli Stati membri dovrebbero adottare tutte le misure legislative e amministrative interne necessarie per contrastare tali movimenti e cooperare strettamente tra di loro a tal fine».

Non da ultimo va riconosciuto che questo summit di Bruxelles mostra nuovamente una tenuta complessiva dell’Unione europea, per quanto fragile e a tratti equivoca. Ovvero la sua «necessità» come «stanza di compensazione», come luogo di incontro politico e di condivisione delle sfide per la faticosa ricerca di risposte comuni a tali grandi sfide. Oggi quella migratoria, ieri quella economica e domani chissà quale altra.