Toscana
L’industria dell’azzardo ha bisogno di «malati»
Tale è lo strapotere dell’industria dell’azzardo di massa, e tanto devastanti sono i danni che sta procurando ai singoli individui e all’intero tessuto sociale, che qualunque iniziativa di legge che serva a prevenire, informare e lenire è benvenuta. Come il recente piano regionale toscano. Tutte le regioni italiane si sono dotate di una legge specifica che dia delle regole a un settore al quale nessun governo ha veramente saputo, o voluto, dare ordine. Proposte di legge ce ne sono da anni, e fatte benissimo, ma languono nell’angolo di qualche commissione parlamentare e possiamo star certi che mai riusciranno a varcare la soglia di una Camera.
Così le regioni si sono arrangiate. La legge della Toscana è datata 18 ottobre 2013. Quella più nota e citata, della Lombardia, è stata varata appena tre giorni dopo. Ultime in ordine di tempo sono giunte le Marche il 31 gennaio scorso. Le leggi regionali si assomigliano tutte e ruotano attorno a un paio di cardini: impedire l’installazione di nuovo azzardo a meno di 500 metri dai cosiddetti luoghi sensibili («di aggregazione o permanenza di fasce vulnerabili della popolazione», legge regionale toscana), ossia scuole e ospedali, centri giovanili e luoghi di culto, ma anche bancomat e vendita-acquisto di oggetti preziosi; e imporre orari certi di apertura e chiusura alle sale. L’iniziativa delle regioni non è arbitraria. Il punto di riferimento è la sentenza della Corte Costituzionale n.300/2011, che nel preambolo recita: «Si riconosce alle regioni la possibilità di legiferare in materia di regolamentazione dei giochi leciti, al fine di tutelare categorie di persone socialmente a rischio e per la prevenzione della ludopatia».
Le regioni dunque lodevolmente fanno ciò che Parlamento e Governo colpevolmente non fanno. Non sono mosse da astratti principi o ideologie, ma dall’osservazione della realtà. Sono i sindaci, i più vicini alla comunità, a essere sollecitati da operatori sanitari e assistenti sociali che da anni toccano con mano il disagio di decine di migliaia di individui e delle loro famiglie. Un malato di azzardo patologico (Gap) è affetto da una malattia, non da un vizio; una malattia riconosciuta dall’Oms e presente nei Lea (l’assistenza essenziale); una forma di dipendenza del tutto analoga alla dipendenza da sostanze, alcol o droghe. Il malato d’azzardo ha in mente solo l’azzardo; rovina se stesso e la propria famiglia; l’azienda, se ne ha una, con i suoi lavoratori; la perdita di ore di lavoro non è quantificabile; il carico sul Servizio sanitario nazionale neppure ma tutto lascia pensare che siano nettamente superiori alle entrare che l’azzardo garantisce all’erario. Cittadini e Stato perdono sempre; solo il banco vince.
Un sindaco che non chiuda gli occhi davanti alla sofferenza della sua gente interviene
Accade così che le Linee guida sulle caratteristiche dei punti vendita, affidate alla Conferenza Stato-Regioni, sia bloccata. Lo Stato, sensibile alle ragioni dell’azzardo, cerca di ridurre la «distanza sensibile» a pochi metri e a estendere il più possibile gli orari di apertura; alcune regioni, capitanate dalla Lombardia, fanno ostruzione, sostenute da associazioni e cartelli, perlopiù del mondo cattolico, che il problema lo conoscono perfettamente e chiedono anche il divieto totale della pubblicità, come per superalcolici e fumo, il divieto d’introduzione di nuovi giochi, una seria politica di prevenzione.
Ma come si può fare prevenzione se il Ministero della Salute ignora perfino quanti malati siano seguiti nelle singole Regioni? Se nessuno studio serio è stato mai commissionato dal Parlamento per sapere quanti siano gli ammalati in Italia? In realtà quanti siano lo sappiamo comunque e gli studi indipendenti, a partire da quello del Cnr di Pisa concordano: tra i 600 e i 900 mila. Logico: nel mondo occidentale si ammala tra il 2 e il 4 per cento del totale dei giocatori, che in Italia sono 35 milioni: il conto è presto fatto. Quello che nessuno dice sono altre due evidenze, emerse dalla ricerca più importante apparsa finora, quella dell’antropologa americana Natasha Dow Schüll (Architetture dell’azzardo): le slot, prime responsabili della rovina di tanti, sono costruite apposta per fidelizzare il giocatore, ossia renderlo dipendente, con una miscela di suoni, colori, immagini e odori studiata su misura; soprattutto, quel 2-4 per cento di giocatori dipendenti sembrano un’inezia, una sorta di danno collaterale trascurabile; senonché quei pochi garantiscono tra il 30 e il 60 per cento dell’intero fatturato dell’azzardo.
In altri termini, l’industria dell’azzardo ha bisogno dei malati e senza di essi fallirebbe. La terza industria del Paese è fondata su una patologia. Ma se ne ha disperato bisogno, come possiamo pensare che collabori per prevenirla e curarla?
Dossier Cnca
Oltre 181 miliardi di euro. Questo hanno perso, in 11 anni, gli italiani con il gioco d’azzardo, il cui fatturato complessivo è stato in quel epriodo di ben 760 miliardi di euro. Questi e altri dati sono contenuti nel dossier «Gioco d’azzardo: i numeri di un mercato fuori controllo», curato da Filippo Torrigiani, consulente del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca) e della Commissione parlamentare Antimafia, e don Armando Zappolini, presidente del Cnca. «Per anni si è erroneamente creduto che se lo Stato avesse ampliato, controllato e gestito l’offerta del gioco lecito, si sarebbe disgregato il mercato illegale – ha commentato i dati don Zappolini –. Non era vero. Le tenaglie dell’illegalità, di fatto, prosperano certamente su un binario “parallelo” e con un giro di affari difficilmente quantificabile; in realtà, però, resta il fatto – incontrovertibile – che, a fronte di una maggiore “offerta del gioco legale”, sia più semplice per i clan malavitosi trarre profitti tramite pratiche di usura, riciclaggio, estorsione, imposizione».
Il piano di contrasto varato nei giorni scorsi dalla giunta regionale, su proposta dell’assessore al diritto alla salute e al welfare Stefania Saccardi, prevede l’attivazione del numero verde regionale di informazione, prevenzione e ascolto, interventi di informazione e prevenzione nelle scuole e attraverso i social network, la campagna regionale «No Slot», interventi di formazione, ricerca, monitoraggio. Un piano che è stato valutato positivamente dal Ministero della salute, e prevede un impegno di 3.158.995 euro. La Regione Toscana è impegnata da tempo in azioni di contrasto al gioco d’azzardo patologico, un fenomeno che, secondo stime dell’Ars, l’Agenzia regionale di sanità, coinvolge 20 mila persone (ma i ludopatici «certificati» sono solo 1.400). Il Piano prevede 19 azioni di carattere regionale, tra cui 9 di prevenzione, 4 azioni sperimentali di interventi di cura e riabilitazione in programmi semiresidenziali e residenziali con il coinvolgimento dei gruppi di mutuo auto aiuto; 4 azioni di ricerca, valutazione e monitoraggio. A queste poi si aggiungono 22 Azioni territoriali di prevenzione.
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