Toscana
Firenze, l’impegno dei sindaci di tutto il mondo: fare cultura, costruire la pace
Il 12 aprile 1954, a Ginevra, l’allora sindaco di Firenze Giorgio La Pira pronunciò, in occasione dell’Assemblea Internazionale della Croce Rossa, uno storico discorso che proclamava l’inviolabile diritto delle città a non essere distrutte dalla guerra, la necessità quindi di preservare dalla distruzione perpetrata dai conflitti degli Stati nazionali il tesoro culturale, sociale e politico che le città, viste come prima e principale macrocomunità umana («I regni passano, le città restano»), rappresentano per le generazioni a venire. Esattamente un anno dopo, La Pira volle dare seguito concreto a questa idea, convocando a Firenze il Colloquio dei Sindaci delle Capitali del Mondo, un summit unico nel suo genere che vide riuniti a Palazzo Vecchio gli amministratori di città dell’una e dell’altra parte della Cortina di Ferro, impegnati in un incontro in nome della pace che, possibile fra i sindaci, era allora impraticabile per i capi di stato.
Esattamente sessant’anni dopo, il sindaco Dario Nardella ha avviato «Unity in Diversity», un’assemblea pensata sul modello di quella lapiriana, mossa dagli stessi intenti e animata dal medesimo spirito di incontro, conoscenza reciproca, lavoro comune per la costruzione di un mondo in pace.
I lavori sono cominciati giovedì 5 novembre, in concomitanza con il trentottesimo anniversario della morte di Giorgio La Pira, e sono proseguiti fino a domenica 8 novembre, concludendosi con la firma da parte dei quasi ottanta sindaci intervenuti di un documento finale, sunto dei lavori fino a lì svolti, portatore degli impegni comuni presi, primo fra tutti quello di proporre l’istituzione di un Comitato Permanente di Consultazione dei Sindaci, organo che dovrebbe permettere ai capi di Stato un’interfaccia diretta con gli amministratori delle città e quindi con le città stesse, le prime a subire gli effetti positivi o negativi dei processi decisionali nazionali.
Il programma dei quattro giorni di convegno è stato denso e stimolante, con la mattina riservata agli interventi di esperti, intellettuali, artisti, premi Nobel, ed il pomeriggio lasciato invece al dibattito tra i sindaci, cui era chiesto di commentare i temi affrontati poche ore prima partendo dalle rispettive esperienze. Molti ed interessanti i temi affrontati: la cultura come strumento per la costruzione di relazioni di pace ed il compito delle città nel preservarla (tra i relatori, il Premio Nobel per la Pace Tawakkol Karman, il direttore di Mayors for Peace Aaron Tovish e la principessa Haya Bint Al Hussein), la valorizzazione delle minoranze e delle diversità sul territorio ed il ruolo dell’arte nell’educazione dei popoli (hanno parlato, tra gli altri, il Premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi, il Premio Nobel per la Letteratura Dario Fo, l’attore statunitense Tim Robbins), i problemi e le opportunità dati dai flussi migratori ed il ruolo della ricerca scientifica nei processi di peace building (con interventi del Presidente della Lega Tunisina dei Diritti dell’Uomo Abdessatar Ben Moussa, del professore del LENS Francesco Pavone, dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati Laurens Jolles), le modalità e le potenzialità del dialogo interculturale e interreligioso (sono intervenuti il Premio Nobel per la Letteratura Wole Soyinka, il fondatore dell’Hope North Organization Sam Okello, il titolare della cattedra UNESCO sul pluralismo religioso e la pace Alberto Melloni). Il risultato è stata una serie di stimoli intriganti e pressanti che hanno messo i presenti di fronte ad alcune emergenze da affrontare, ma anche a possibili soluzioni da poter adottare.
Se gli incontri della mattina si sono rivelati ricchi di contenuti e provocazioni, i dibattiti pomeridiani, purtroppo, sono risultati carenti da un punto di vista di vero e proprio confronto tra i singoli sindaci, e la maggior parte degli interventi si è limitata ad una presentazione a metà tra lo storico ed il folkloristico delle rispettive realtà cittadine, senza una vera e propria riflessione sui temi proposti. Se da una parte questo ha rappresentato una perdita per gli osservatori, che salvo rare eccezioni non hanno avuto modo di entrare nelle dinamiche di un vero e proprio confronto politico e internazionale, dall’altra va comunque tenuto presente come anche durante gli incontri organizzati da La Pira il programma «ufficiale» non era che una minima parte del lavoro degli organizzatori come degli intervenuti. Condividere uno spazio comune, anche e soprattutto appartenendo a realtà distanti o addirittura in conflitto, è già di per sé segno e seme di incontro, di dialogo, di speranza. Fuori dalla tavola rotonda, nei momenti di svago, durante i pranzi o gli eventi organizzati a Palazzo Vecchio, al teatro «La Pergola» o agli Uffizi, i sindaci hanno avuto modo di stringere relazioni personali al di là dell’ufficialità immediata, di parlare francamente senza il filtro della rappresentanza, di discutere dei rispettivi problemi ed esperienze guardandosi negli occhi e stringendosi la mano.
«Unity in Diversity» è un segno forte di ciò che il mondo potrebbe essere, dell’infinita potenzialità che le città portano in sé per la costruzione di uno scenario internazionale finalmente a misura d’uomo, un esperimento che, pur con tutti i suoi limiti e con tutte le prospettive di miglioramento che una «prima volta» porta con sé, non fallisce nel testimoniare la fondatezza, la concretezza e l’urgenza di una speranza che, a distanza di sessant’anni, non si è certo affievolita.
Noi, Sindaci riuniti a Firenze, in occasione del Forum internazionale «Unity in Diversity» (5-8 novembre 2015), a sessant’anni di distanza dal Convegno dei sindaci delle città capitali, voluto dall’allora Sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, riconosciamo:
Considerato quanto sopra, noi, come primi cittadini, prendiamo atto della necessità di:
Pertanto, ci impegniamo a: