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Niger: il no dei missionari italiani al contingente militare, «è neocolonialismo»
«Quello che disturba è che l'Italia sia praticamente telecomandata dalla Francia. Sembra che vengano in Niger per difendere gli interessi francesi, legati all'uranio». A parlare al Sir dalla capitale Niamey è padre Vito Girotto, della Società missioni africane. Tutti i missionari italiani in Niger concordano sulla contrarietà alla missione militare italiana.
I missionari italiani in Niger non vedono di buon occhio la prossima missione militare nel Paese africano. La considerano un ritorno del colonialismo per motivi geostrategici e per sfruttare le risorse, senza alcun vantaggio per la popolazione locale. Il 17 gennaio il Parlamento italiano ha approvato la presenza di un contingente di 120 uomini nel primo semestre di quest’anno fino a raggiungere un massimo di 470 militari entro fine anno, con una media annuale di 250 militari. Oltre al personale saranno inviati in Niger anche 130 mezzi terrestri e due aerei, per una spesa totale di 49,5 milioni di euro per tutto il 2018.
Obiettivi della missione, «non combat ma di addestramento» come dichiarato dal ministero della Difesa, sono il controllo dei flussi migratori e la lotta al terrorismo. Ma il 31 gennaio si è diffusa una notizia secondo cui il governo di Niamey, la capitale nigerina, non era stato informato ufficialmente, esprimendo quindi la sua contrarietà.
In Niger il 98% della popolazione è musulmana ma la piccola minoranza di 50.000 cattolici è seguita anche da 7 missionari italiani: 4 appartengono alla Società missioni africane, altri 3 sono sacerdoti fidei donum dalle diocesi di Lodi e Milano. Padre Vito Girotto, della Società missioni africane, è missionario in Niger dal 2009 dopo 22 anni in Costa d’Avorio. Nella sua parrocchia di Makalondi, alla frontiera con il Burkina Faso, segue circa 1.500 persone in un territorio rurale molto vasto, con piccole comunità di 15/20 persone. Organizza inoltre corsi di alfabetizzazione, laboratori per imparare i mestieri. «Abbiamo tanta povertà al limite della miseria – racconta -, moltissimi bambini sono malnutriti. Rarissime scuole. Sanità a livelli molto bassi. Pochi medici e dispensari, l’ospedale più vicino è a Niamey e dista un centinaio di chilometri». In Niger, uno dei Paesi più poveri del mondo, ogni donna partorisce in media 7,2 figli, per cui ci sono tantissimi bambini e giovani. Il 50% della popolazione ha meno di 18 anni.
Cosa pensa la popolazione del Niger riguardo all’invio del contingente militare italiano?
«La gente non reagisce molto. Ma quelli che sentono le notizie alla radio o quei pochi che hanno la televisione pensano che è inutile mandare dei militari qui. Anche perché non conoscono le strade nel deserto. Quello che disturba è che l’Italia sia praticamente telecomandata dalla Francia. Sembra che vengano per difendere gli interessi francesi, legati all’uranio. Ricordiamo che il 50% dell’uranio che la Francia utilizza proviene dal Niger. Qui i francesi sono visti come colonialisti, che hanno contribuito a far sì che il Niger sia uno degli ultimi Paesi al mondo come Pil. Sembra che l’Italia voglia assumere di nuovo un aspetto coloniale. Dicono che vogliono fermare i migranti, ma chi migra troverà altre strade, attraverso il Ciad, il Mali. Ci sono tante strade che noi non conosciamo e neppure i militari possono conoscere. È chiaro che il governo italiano vuole avere dei benefici sia per l’uranio, ma anche per il petrolio – che ora è in mano ai cinesi – e l’oro. Tanti vedono male la presenza di tutti i Paesi europei che mandano militari per bloccare i migranti».
Di cosa avrebbe davvero bisogno la popolazione del Niger?
«Se si vuole veramente aiutare la popolazione del Niger bisogna cercare di creare lavoro qui e dare la possibilità ai giovani di restare nel proprio Paese. I migranti ci saranno sempre, ma se i giovani non riescono ad andare a scuola – o vanno a scuola perché non sanno cosa fare – non trovano uno scopo nella vita. Sono rarissimi quelli che riescono a trovare lavoro qui o all’estero con un diploma universitario. Qui c’è poco futuro. Io ad esempio sono in una zona colpita dai cambiamenti climatici, con grande penuria di generi alimentari. Il cibo più importante è il miglio ma i granai sono vuoti. Siamo nel mese di febbraio e dobbiamo arrivare fino ad ottobre per avere una nuova produzione. Ci sono tanti di quei problemi che i militari non risolveranno per niente. Tanti nigerini cercano fortuna all’estero perché qui la situazione economica è disastrosa».
Dalle ultime notizie sembra che il governo del Niger non sapesse della missione italiana e sia contrario.
«Sembrava che avesse approvato l’invio dei militari italiani invece adesso il governo del Niger dice che non sapeva nulla. Io vivo alla frontiera e non riesco ad avere notizie ma ho sentito altri parlarne. Sembra che il governo nigerino non sia d’accordo».
Quindi siamo di fronte ad una sorta di neocolonialismo europeo in Africa?
«Sì, è chiaramente un neocolonialismo. Si cerca di mettere un piede qui perché il Niger, pur essendo povero, è ricco di materie prime. La Merkel è venuta qui a mostrare il progetto di bloccare i migranti prima della frontiera. Ma è come se dal Niger venisse un contingente militare in Calabria o in Campania per verificare se i nigerini che raccolgono i pomodori nelle campagne italiane sono ben pagati. Quando si dice militari si dice armi, e le armi fanno sempre paura. Questo non ci piace e non ci fa onore come italiani».
Tutti i missionari che vivono in Niger concordano su questa posizione?
«Sì siamo tutti concordi. Il nostro portavoce padre Mauro Armanini si è già espresso su diverse testate. Anche se non scriviamo bene come lui, siamo tutti d’accordo».
La missione militare costerà all’Italia circa 49,5 milioni di euro nel 2018. Potevano essere utilizzati meglio?
«Quante cose si potrebbero fare con quei soldi! Il mio sogno è vedere scuole primarie in tutto il Niger, almeno i bambini imparano qualcosa. Qui si parlano una trentina di lingue, pochissimi conoscono il francese. Non è così che si aiuta la popolazione. Certo non li aiutano i militari. Sarebbe importante invece sostenere il governo per fare progetti veri per i giovani, visto che il 50% della popolazione ha meno di 18 anni».
Giovani che sono anche potenziali migranti…
«Sì, se non c’è lavoro migrano. Ma non è facile mettere dei soldi da parte, attraversare il deserto del Niger (da sud a nord è di circa 2.000 km). Molti nigerini sono poverissimi, hanno il desiderio di migrare ma non possono farlo. Noi li scoraggiamo, spiegando cosa troverebbero in Europa. Incontriamo tanti giovani e parliamo loro dei rischi del viaggio in Libia e nel Mediterraneo. Cerchiamo di aiutarli a vivere, seppur con risorse minime, attraverso piccoli lavori. Finché i governi non cambiano il loro modo di fare sarà difficile».
Altro scopo della missione è la lotta al terrorismo ma si sa che la rabbia dei poveri può indurre a estremismi. Com’è la situazione ora?
«Certo, credo che la presenza dei militari farà ancora più arrabbiare i giovani. Chi ragiona si chiede perché sono venuti qui. È una provocazione. Bisogna stare attenti. Secondo me il governo italiano sbaglia, sbaglia, sbaglia. E sbaglia anche tutta la politica europea. Ci sono attentati alla frontiera tra Niger e Mali (di recente ci sono stati più di 60 morti) e alla frontiera con la Nigeria, a causa del gruppo Boko haram. Per il momento qui si può vivere, poi se le condizioni cambieranno si vedrà».