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Vertice tra le due Coree. Vescovi, «siamo un unico popolo, un’unica famiglia»
Incontro «ai massimi livelli» tra le delegazioni delle due Coree per la partecipazione di Pyongyang ai Giochi invernali che si aprono il 9 febbraio. Al centro dell’incontro anche la questione delle «famiglie separate» dalla guerra. I vescovi coreani: «Siamo un unico popolo, un’unica famiglia ed è questa realtà la base di ogni dialogo».
«Sono contentissimo». È questa la primissima reazione di monsignor Lazzaro You Heung-sik, vescovo di Daejeon, alle notizie che gli arrivano sul vertice che si è svolto ieri in un villaggio di confine di Panmunjom tra le delegazioni delle due Coree per la partecipazione alle prossime Olimpiadi, uno dei primissimi incontri di dialogo ad «alto livello» tra rappresentanti del Nord e del Sud.
«L’incontro è andato molto bene», commenta il vescovo che definisce «importante» quanto emerso durante i colloqui e, cioè, che «la Corea del Nord ha detto di voler partecipare ai giochi olimpici invernali, con una delegazione nella quale sono presenti non solo atleti e un team di taekwondo ma anche giornalisti, rappresentanti di vertice ed un gruppo di ragazze che canteranno e danzeranno a sostegno delle squadre».
Le famiglie separate dalla guerra. L’incontro insomma supera la posta in gioco delle Olimpiadi perché avvia – dopo un periodo di tensione – un processo di dialogo nella penisola, da sempre fortemente auspicato dai vescovi coreani. Il vescovo di Daejeon sottolinea infatti a questo riguardo l’importanza della «richiesta da parte della Corea del Sud di avviare una discussione sulla situazione delle famiglie separate, in vista della festa del Capodanno lunare che si celebra il 14 febbraio e di attivare una linea diretta tra militari per evitare scontri accidentali alla frontiera».
Fra gli effetti collaterali della divisione tra le due Coree decretata dalla guerra nel 1953, c’è l’assurdo dramma delle famiglie separate fra le due parti della penisola. Dopo anni di nessuna possibilità di dialogo sulla questione, dal 1988 sono stati organizzati degli incontri, a cadenza più o meno annuale (sono stati una ventina in tutto fino ad oggi), in cui poche decine o centinaia di estratti a sorte, hanno avuto la possibilità di incontrare brevemente i propri cari, appena al di là del confine, sul monte Kumgang, in territorio nord coreano. Secondo dati di Asianews, vi sono attualmente circa 60mila persone, sempre più anziane che nutrono la speranza di poter vedere i loro parenti prima di morire. L’ultima riunione di famiglie si è tenuta nel 2015.
Segnali positivi di distensione. Che il processo di avvicinamento era in atto, lo si era capito nel discorso di inizio anno che il leader della Corea del Nord, Kim Jong-un, ha rivolto alla nazione. «Quello che ha colpito – dice mons. You – è l’uso di un linguaggio nuovo, soave, più distensivo. Non una ma più volte Kim Jong-un ha detto, ‘siamo unico popolo, un’unica razza’, augurando poi che i giochi olimpici possano essere un successo per tutto il popolo coreano».
Sulla possibilità di avviare rapporti più distesi nella penisola coreana, ha giocato un ruolo fondamentale il neo-presidente eletto della Corea del Sud, Moon Jae-in, che «da un anno e, cioè, dal giorno del suo insediamento – sottolinea il vescovo You – sta pensando ai giochi olimpici e, umiliandosi, ha cercato sempre vie di dialogo con il Nord. Dopo il discorso del Capo della Corea del Nord, Kim Jong-un, ha così potuto subito dare un appuntamento».
L’auspicio dei vescovi. «Bisogna continuare e non stancarsi mai nel cercare una via per la convivenza e la riconciliazione del nostro popolo», esorta il vescovo You. «E per questo bisogna dialogare, negoziare, incontrarsi, continuare il dialogo. Senza tutto questo, non c’è alcuna possibilità di avvicinamento. Stiamo vedendo i primi passi in avanti». Lo sport con i giochi olimpici ha fatto molto di più di quanto i politici sono fino ad oggi riusciti a fare. «Dal punto di vista politico – osserva mons. You – non è facile parlare. Ma noi siamo un unico popolo, un’unica famiglia ed è questa realtà la base di ogni dialogo. Ma bisogna fare di più, bisogna fare tutto il possibile perché la Corea torni ad essere unita».