Toscana
Giglio, anche le campane della chiesa hanno salutato la «Concordia»
Lentamente l’ha persa di vista mentre sul molo era impegnato sotto i riflettori di un’emittente televisiva. Don Lorenzo Pasquotti è al Giglio dalla fine del 2011, tre mesi prima di quel fatidico 13 gennaio 2012 quando la Costa Concordia, dopo aver urtato le rocce delle Scole, s’inclinò su un lato appoggiandosi agli scogli dell’isola e provocando la morte di 32 passeggeri.
Don Lorenzo, stamani, è uscito in mare per benedire la nave, ma soprattutto le vittime del naufragio alla quali, nel corso dei lunghi lavori, si è aggiunta la trentatreesima: un sub spagnolo impegnato nel recupero.
La partenza della Concordia è stata commentato dal parroco di Giglio Porto come la «liberazione da un ingombro», anche se la sua presenza sull’isola coincide praticamente, come detto, con quella della nave. Ed è anche per questo che stenta a ricordarla prima dell’incredibile incidente causato dal folle avvicinamento della nave per il cosiddetto «inchino» per cui è imputato unico il comandante Francesco Schettino attualmente sotto processo a Grosseto.
Dopo la benedizione, al ritorno a terra, al momento della partenza del convoglio (sono 14 le imbarcazioni che scortano la Concordia nel viaggio verso Genova), don Lorenzo ha fatto suonare le campane della chiesa di Giglio Porto in contemporanea a quelle di Giglio Castello e di Campese. Ed ha ricordato, con i giornalisti, gli affetti e le relazioni con i superstiti e con i familiari delle vittime. Ma anche i legami di amicizia e non solo che si sono creati tra gli abitanti dell’isola e i tanti tecnici stranieri che hanno lavorato intorno al relitto della Concordia prima per raddrizzarla e poi per rimetterla in galleggiamento. Il giovane parroco ha fatto anche una battuta sugli eventuali figli biondi che dovrà battezzare sull’isola o nei paesi d’origine di chi ha lavorato al Giglio in questi oltre novecento giorni. E alcuni continueranno a lavorarci per smantellare le enormi strutture create intorno e sotto alla grande nave da crociera.
La chiesa di Giglio Porto, dopo essere stata un centro di prima accoglienza la notte del naufragio, è diventata in questo lungo tempo il luogo della preghiera per le vittime (di cui rimangono da trovare i resti del cameriere indiano), ma anche il luogo di raccolta di tanti oggetti simbolici: dal crocifisso al tabernacolo che erano sulla nave, fino a un frammento delle Scole, ad una cima e ad un casco da operario. Sono i ricordi della Concordia, che don Lorenzo ha raccolto in quella che lui stesso definisce la «Vetrina della Memoria», insieme alle foto di molti dei morti tra cui la piccola Dyana, 5 anni, la più giovane delle vittime. «Questa vetrina serve a ricordare a tutti cosa è stata quella crociera – racconta il parroco di Giglio Porto – ed anche cosa è stata questa chiesa in quella notte di gennaio. Perché questo luogo, oltre che essere ora e allora la casa di Dio, è stato ed è il luogo di custodia dell’uomo, il luogo dell’ospitalità».
In quelle fasi concitate di quella tragica notte furono proprio gli abitanti del Giglio i primi a prestare i soccorsi e ad aprire le loro case ai naufraghi (a bordo della Concordia c’erano 4.229 persone, tra passeggeri e membri dell’equipaggio). Da quel momento l’isola è stata al centro dei riflettori, invasa da giornalisti e troupe di tutto il mondo, dai soccorritori e dai tecnici impegnati prima nella messa in sicurezza del relitto e poi nel parbuckling, il raddrizzamento dello scafo, una delle operazioni di recupero più imponenti nella storia della marina mondiale.
Più volte il Giglio ha lamentato il danno economico e di immagine subito, anche se l’eventuale minore afflusso di turisti pare sia stato certamente compensato dalle presenze di media e imprese impegnate nella rimozione e dall’arrivo di tanti curiosi sia nei primi giorni della tragedia che in questi ultimi delle operazioni di abbandono dell’isola.
Il relitto, che viaggia ora alla velocità di due nodi all’ora (circa quattro chilometri orari) è trainato dai rimorchiatori d’altura Blizzard (il capofila, agli ordini del comandante Rowdy Boneveld) e Resolve Earl mentre navi della Polizia faranno rispettare un’area di interdizione di tre miglia intorno alla «carovana» che attraverserà un tratto di mare particolarmente trafficato. Da qui le proteste del governo francese per il passaggio vicino alla Corsica e degli ambientalisti per l’attraversamento del
Santuario dei cetacei. Proprio per «difendere» i delfini, il convoglio viene preceduto da una barca a vela, la Kidan, dotata di un rilevatore satellitare, che apre il passaggio.
Sott’acqua al Giglio resta un enorme cantiere da smantellare. L’operazione di ripristino durerà circa due anni. Entro l’anno dovrebbe arrivare la sentenza del processo che vede, come detto, unico imputato l’ex comandante Schettino, mentre altri 5 imputati hanno patteggiato pene inferiori a 3 anni, uscendo dal dibattimento. Il Tribunale di Grosseto dovrà anche stabilire il rimborso dei soggetti danneggiati. Solo il Comune di Isola del Giglio, tra danni materiali e morali, ha chiesto, al momento, 80 milioni di euro.
Della tragedia – stando al commento affidato ad Adriano Fabris – restano anche degli «insegnamenti», a partire dal vietare in modo più assoluto la pratica dell’«inchino», di cui si è parlato anche troppo e di cui Schettino non sembra essersi fatto troppo carico. Il suo nome, a torto o a ragione, è ormai diventato un simbolo negativo. Ma a prescindere dal suo comportamento subito dopo la collisione e dal fatto di aver abbandonato troppo presto la nave, ciò che risulta più riprovevole nel caso di Schettino è di non aver mai voluto prendersi la piena responsabilità delle proprie azioni. A questo modello negativo si è contrapposto il comportamento esemplare degli abitanti del Giglio, che è andato ben al di là del pur prezioso primo soccorso ai naufraghi. Gli isolani hanno soprattutto dato mostra di tenacia e di perseveranza quando la loro stagione turistica ha avuto un tracollo, quando sembrava che il relitto non potesse più venir rimosso, quando il pericolo d’inquinamento del loro bel mare era reale. Hanno tenuto duro e hanno avuto ragione. In effetti lo spettacolo del raddrizzamento della nave è stato l’esempio di come un utilizzo intelligente della tecnologia, unito allo spirito d’iniziativa e alla voglia di osare dell’uomo, abbia potuto compiere un’impresa mai prima tentata.
Insomma, la storia della Concordia al Giglio ci dice che, sebbene singoli individui, anche in posti di comando, si comportano talvolta in maniera pericolosa e stupida, il nostro tessuto sociale è in grado di evitare che vi siano conseguenze ancor più dirompenti. Nelle emergenze, e non solo nelle emergenze, sceglie per il bene. Crea comunità e affronta in maniera unita i problemi. Combatte per il futuro.
Vive una solidarietà responsabile. Di questo spirito abbiamo oggi bisogno nel nostro Paese, visto che le emergenze da affrontare sono fin troppe.