Toscana

Baggio: «La politica deve puntare su scuola e famiglia»

Professore, sono cinque gli «impegni essenziali» contenuti nell’Agenda dei cattolici toscani. Il primo riguarda il lavoro…

«Bisogna prendere le distanze da una mentalità dominante che non sottolinea il valore del lavoro come professione, cioè di realizzare il meglio di un essere umano, spostandosi sugli effetti economici e di status sociale del lavoro. Questo ha dato inizio ad una mentalità effimera che non si rendeva più conto che c’è un legame tra i benefici e i sacrifici che ci vogliono per ottenerli. In questo fare sacrifici c’è un perfezionamento della persona. E poi il lavoro va dato, va creata questa opportunità per i giovani. Noi viviamo in questa società, in Italia in particolare, in cui c’è una certa rigidità e una prevalenza di economia centrate sulla rendita. Quindi grande sicurezza sulle generazione passate, compresa la mia dei cinquantenni e dei sessantenni, e insicurezza totale per i giovani».

Come fare a invertire questa tendenza?

«La società va mobilizzata. Ci sono barriere nelle professioni, nel modo di organizzare l’economia che hanno bisogno di essere scosse. Una società più libera, più permeabile al nuovo è indispensabile. Lo vediamo dal fatto che molti giovani che escono dall’Italia trovano occasioni fuori e anche quando volessero ritornare fanno molta fatica a farlo. Le nostre università sono chiuse, i nostri migliori talenti che fanno i dottorati non vengono assorbiti. Sono costretti ad altri lavori: fanno i baristi, aprono pasticcerie. Ci sono anche storie interessanti a livello personale. Ma il sistema non è più in grado di ricevere i migliori. Questo significa condannarsi. Bisognerebbe invece fare un’azione per richiamare i “cervelli”».

I disastri della finanza sono sotto gli occhi di tutti. Come è possibile riportare l’economia ad una dimensione più a misura di uomo?

«Nel quadro che ho tracciato è in evidenza l’aspetto negativo. Ma esiste anche una parte positiva. Intanto c’è una componente importante della nostra economia che sta crescendo altrimenti avremmo già chiuso gli sportelli dell’intero paese. Esistono competenze professionali e aziende che si stanno sviluppando e che assumono. Poi c’è un altro elemento. Accanto all’ideologia dominante che disprezza il lavoro e ama la ricchezza facile ci sono delle importanti presenze nella popolazione che si dedicano agli altri e hanno il senso della responsabilità. Bisogna mettere insieme gli elementi positivi che già possediamo: gli imprenditori che sanno fare gli imprenditori, i lavoratori che sanno lavorare con responsabilità, la generosità e l’intelligenza sociale diffuse. Il fattore più negativo degli ultimi 20 anni è quello politico. Questi legami spuri con la finanza sono quasi istituzionali e limitano l’azione politica».

E infatti anche la politica non se la passa bene. C’è grande scollamento tra la società e chi ci dovrebbe amministrare. Cosa possono fare i cattolici?

«Gli ultimi Papi, tutti, hanno continuato a chiedere un impegno dei cattolici in politica. Chiedendo non l’impegno di singoli ma di una nuova generazione. Effettivamente è quello che ci è mancato. In passato abbiamo avuto generazioni di cattolici che si sono proposte come classe dirigente sia di governo politico sia negli altri settori della società. È quello che bisognerebbe fare anche adesso. Una volta c’era un eccesso di ideologia che non era vera cultura politica ma almeno al fondo rimaneva una capacità strutturata di fare le cose. Oggi invece c’è un pragmatismo sfrenato. Abbiamo una sinistra che non riesce a operare una sintesi credibile e abbiamo una destra che pure non riesce a strutturarsi in modo autonomo. Su questo bisogna agire perché anche qui ci sono forze che devono essere liberate. Anche il Presidente della Repubblica chiede un sussulto civile. Bisogna riprendere gli ideali che permeavano la società italiana e restituirli alla politica senza la confezione ideologica che avevano nel passato. Ma cercando nuovi modi di realizzazione. C’è già chi lo fa, ma deve guadagnare spazio. L’ultima infornata di parlamentari ha dentro anche dei giovani molto più preparati rispetto alla media dei parlamentari che abbiamo avuto in passato. Sono preparati intellettualmente, vengono da buone scuole: non sono stati temprati nel fuoco della guerra e dell’antifascismo come nel passato. Però credo che essere temprati dalla disoccupazione e dall’incertezza può pure diventare una scuola importante. Sono molto fiducioso».

La tragedia di Lampedusa ha riportato all’attenzione la necessità dell’accoglienza dei migranti ma anche di leggi adeguate a costruire un percorso di integrazione…

«È importate avere un’idea di Paese, un progetto per l’Italia. Non si può prendere gente senza avere la minima idea di cosa far fare a loro. Infatti l’Italia è un paese di transito, non di permanenza. Se possono la evitano e vanno direttamente nel nord dell’Europa. Il problema è europeo. Bisognerebbe che i paesi che non hanno un progetto proprio se lo dessero. Ma poi sarebbe necessario che tutti insieme si elaborasse un progetto comunitario. Noi abbiamo un problema di denatalità che molto presto presenterà dei conti a livello di pensioni. Se vogliamo mantenere la nostra capacità di welfare, dobbiamo aumentare la parte di persone che lavora. Tutti i partiti che si oppongono in modo irragionevole agli ingressi e anche quelli che vogliono ingressi in modo irresponsabile dovrebbero fermarsi a riflettere pensando a come accogliere i migranti, con quali prospettive, con quale progetto. Bisogna pensarli già come gli italiani di domani però. Per questo serve una politica responsabile».

Che al momento non si vede all’orizzonte…

«Si torna al problema dell’incertezza: se un Governo non solo non ha la sicurezza di essere rieletto, ma neanche di finire il mandato, la lotta giorno per giorno prende gran parte delle energie di chi ci governa e lascia poco spazio a piani di più ampio respiro. Cose che invece altri paesi fanno. Lo fanno i cinesi, i francesi, i tedeschi ed è il motivo per cui si trovano molto meglio di noi».

Anche famiglia, scuola e comunità cristiana vivono un periodo difficile…

«Nonostante la crisi, nonostante che nella famiglia accadano le cose più belle ma anche le più brutte, la famiglia è comunque quella che nel periodo della crisi ha svolto meglio il compito di attutirla, di conservare le risorse, sperando di avere la possibilità di “rigiocarle”. La famiglia porta tanti pesi, molto più di quelli che dovrebbe. Le scuole certamente possono migliorare ma ci sono ancora tanti insegnanti di qualità che giorno per giorno diventano importanti e significativi per l’educazione dei nostri figli. Se dovessi stilare una classifica delle persone più importanti nel mondo, per me non verrebbe per primo Obama o il presidente Napolitano ma i professori del mio figlio più piccolo. Tra di loro trovo tanta gente seria e preparata. Lo stesso vale per la comunità cristiana. Queste risorse funzionano ma non vengono prese sufficientemente sul serio».

E allora come farle tornare protagoniste?

«Scuola, famiglia e comunità cristiana dovrebbero essere le risorse più custodite dallo Stato, quelle guardate con l’occhio più attento da parte del legislatore per aiutarle a funzionare. Anche qua si torna ad una carenza di visione politica. Bisognerebbe costruire un’agenda di Governo che facesse l’elenco delle cose che funzionano – tra queste ci sono anche scuola famiglia e comunità cristiana – e si trovasse la maniera di premiarle in qualche modo. Capovolgendo la visione attuale che le vede come un onere. Pensiamo cosa ci costerebbe una società in cui non ci fossero le famiglie ad ammortizzare le crisi. O una scuola dove, nonostante gli stipendi ridotti e una scarsa considerazione sociale, ci sono insegnanti che continuano ogni giorno a fare il massimo. Se ci fosse un progetto che ci facesse fare anche dei sacrifici ma ponesse le basi per il futuro, chi si tirerebbe indietro? Adesso stiamo facendo sacrifici senza prospettiva».