Toscana

Cattolici protagonisti, Fabris: «Andare controcorrente»

In una “cattedrale” laica (un capannone dove generazioni di lavoratori hanno costruito treni) Fabris è partito dai cinque punti sui quali, nel 2010 a Reggio Calabria, la Chiesa italiana basò la sua ultima “Settimana Sociale” nazionale (la prossima sarà a Torino in settembre): la centralità del lavoro (“la necessità di intraprendere, senza timore del mercato anche se in forme tali da non fare del mercato stesso un uso improprio”); l’urgenza della educazione (“un educare inteso come compito, anzi come vocazione, messa in opera dalle famiglie, dalle scuole, dalle associazioni”); la necessità di nuove forme di inclusione (“basate su uno scambio giusto fra diritti e responsabilità”); la riattivazione della mobilità sociale (“affinché possano essere sviluppate le energie migliori da parte di nuovi soggetti”); il completamento della transizione istituzionale (“un processo che si sta prolungando fin da troppo tempo”).

Sottolineato l’elemento che unisce tali ambiti (“l’assunzione esplicita di una responsabilità per ilbene comune”),  Fabris ha proseguito sulla mentalità oggi comune (“Viviamo in un individualismo esasperato. Di questi tempi, tanto più se si comincia a star peggio, ognuno pensa per sé e, se eventualmente prende in considerazione il suo rapporto con gli altri, vuole che essi restino sullo sfondo: vuole che gli arrechino il minor disturbo possibile”). La stessa idea di politica si è radicalmente trasformata: dalla concezione originaria (“interessarsi della cosa pubblica”) a “un gioco in cui diverse parti si confrontano per avere sopravvento l’una sull’altra sembrando che tutto sia lecito per conseguire tale scopo”.

Esiste però una forte voglia di “comunità”. Riferendosi in particolare ai giovani, Fabris ha citato i social network e si è soffermato – ricordando il referendum 2011 sulla privatizzazione dell’acqua –  su un rinnovato interesse per le cose di tutti (“con l’attenzione per i beni comuni che, appunto in quanto comuni, non possono essere resi privati né debbono essere concepiti nell’ottica del guadagno che se ne può trarre”). Ma ha anche ricordato “la variegata esperienza della Chiesa del grembiule in cui ogni giorno e nel silenzio tante persone dedicano il loro tempo a chi ha davvero bisogno”.

L’apporto odierno dei cattolici alla città sta dunque – per Fabris – proprio nell’invertire la mentalità predominante, nel camminare controcorrente (“Se oggi è predominante l’individuo visto come antecedente la comunità, la parte vista prima del tutto, il bene del gruppo cercato prima di quello collettivo, la prospettiva aperta dal cattolicesimo è proprio l’inverso: il cattolico sa infatti che il suo essere si pone sempre e innanzitutto in un quadro di relazioni interpersonali. Il cattolico è per altri: per il prossimo e per il lontano; per l’altro uomo e per Dio”).

Sulle conseguenze pratiche si svilupperanno, domani, i lavori dei gruppi. Fabris ha indicato alcuni spunti: il lavoro “come espressione di umanità e non solo come forma dibusinnesné come forma di sfruttamento”; l’educazione “per superare ogni forma di individualismo esasperato”; l’accoglienza “nel contesto di diritti e doveri”; il rilancio della mobilità sociale (“Non ci può essere ripresa se i nostri ragazzi non sono messi in condizione di diventare protagonisti della costruzione di progetti comuni. Un’Italia e una Toscana con il freno a mano non consentono ai tanti talenti, che pure abbiamo, di potersi esprimere”), l’obbligo di restituire dignità alla politica (“si tratta di completare la transizione ripensando i modi della politica”). Occorre in definitiva – ha concluso – “un nuovo umanesimo che nasce dalla consapevolezza del nostro essere legati gli uni agli altri”. Anche nella Toscana, culla dell’umanesimo, si deve “cambiare rotta”. (MB)