Toscana
Carceri, anche in Toscana situazione esplosiva
La Toscana, con i suoi 18 istituti penitenziari, non fa eccezione. La capienza delle carceri toscane sarebbe di 3.261 unità. Quelli presenti effettivamente sono invece 4.148 (di cui 1.263 stranieri) ben 787 in più rispetto alla situazione regolamentare. La situazione più grave è nel carcere di Sollicciano a Firenze: 520 la capienza regolamentare, 956 i detenuti ospitati, quasi il doppio. Situazioni pesanti anche a San Gimignano (404 invece di 235), Prato (693 invece di 476), Porto Azzurro (445 invece di 326), Pisa (362 invece di 225), Pistoia (140 invece di 74), Siena (89 invece di 50). Per quanto riguarda i condannati (con almeno una condanna definitiva) in Toscana sono 2.659 di cui 609 con una pena residua inferiore all’anno.
La condanna europea non è una sorpresa per il Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale Alessandro Margara che, da tempo, denuncia con forza le drammatiche condizioni di sovraffollamento delle carceri in Italia e in Toscana. «La Corte Europea dei diritti dell’uomo – commenta Margara – ha sanzionato l’Italia sul ricorso di alcuni detenuti che fanno parte di un mezzo migliaio che ha fatto analogo ricorso e che otterrà analogo risultato». E prosegue: «La Corte Europea afferma che l’Italia deve ridurre il numero dei propri detenuti che attualmente è superiore di circa 20 mila ai posti disponibili. Questo può essere realizzato nei tempi rapidi richiesti dalla Corte Europea in due modi: o si costruiscono nuove carceri o si fa un “bel condono”. Tutte e due le vie sono chiuse, la prima per mancanza di risorse economiche, la seconda per la presumibile opposizione del governo. L’ipotesi più probabile è che le cose restino come sono fra l’indifferenza generale e che la Corte Europea continui a condannare l’Italia».
Il Pd ha chiesto una seduta straordinaria del Consiglio regionale interamente dedicata alla situazione delle carceri in Toscana. La richiesta, di cui è primo firmatario Enzo Brogi, reca le firme di diciotto consiglieri del Partito Democratico, tra cui il presidente della Regione Enrico Rossi. «Oramai parlare di emergenza carceri – spiega Enzo Brogi – è dire poco: la condanna della Corte di Strasburgo ci dice che i problemi si sono acuiti e che non è possibile stare a guardare passivamente. Siamo consapevoli – continua Brogi – che le risposte principali spettano al parlamento, che purtroppo non è riuscito a produrre nulla di concreto prima dello scioglimento delle Camere, sicuramente per paure elettoralistiche. In Toscana, però, abbiamo una tradizione di civiltà e di grande sensibilità al tema della condizione carceraria e crediamo debba servire da pungolo nei confronti di coloro che dovranno dare risposte urgenti, principalmente sul piano della riforma legislativa delle misure alternative alla detenzione. Crediamo – conclude Brogi – di poter offrire un contributo non limitato alla denuncia, ma anche di idee e proposte che scaturiscono da una conoscenza diretta del problema che alcuni di noi hanno avuto modo di assumere grazie alle visite negli istituti toscani svolte a più riprese».
La testimonianzaSollicciano: cappellano, «sensazione di impotenza»
Ancora una volta la mente è pervasa da angoscia e da dolore; forse la sensazione di impotenza persiste anche quando si è fuori, ed intendo fuori dalle mura esterne, i suoni, gli odori, le emozioni permangono dentro di me con il loro quotidiano ripresentarsi giorno dopo giorno con la stessa intensità, monotona e insistente. Nulla sembra che accada dentro queste mura ma ci sono cuori pulsanti e vicende vissute; vicende tutte provocate da trasgressioni più o meno importanti ma tutte con il loro carico di sofferenza e di rabbia.
Esercitare il ruolo di cappellano in un carcere come Sollicciano, è quello che più mi fa capire il mondo esterno, come se le visioni e le esperienze ruvide, dall’odore acre, che si sentono e si percepiscono entrando nei corridoi delle sezioni, fossero elementi di incredibile lettura e conoscenza di quella mancanza dei più elementari valori che appaiono cosi affievoliti e poveri nella nostra società. In questo luogo tutte le problematiche del nostro quotidiano vivere sono accentuate, addensate in una specie di contenitore il cui filtro osmotico è rappresentato dal muro di cinta.
Oggi la popolazione detenuta è connotabile, perlopiù, in un coacervo di «povera gente» le cui storie esistenziali traggono radice dal più profondo disagio sociale e relazionale della nostra collettività. Disagio alimentato anche dal nostro egoismo e volontà di «nascondere» e di «separare». Da questa esperienza vissuta la mia operatività non può che diventare pragmatica cioè volta ad abbattere forme di stigmatizzazione, di separatezza, di anaffettività e di mancanza di risposta ai bisogni primari. La creazione di un ponte verso l’esterno si è concretizzata con quanto, con molta fatica, siamo riusciti a creare non dal nulla ma da un intenso amore per gli altri, dalla generosità di alcuni, dal Vangelo. Si tratta di un’accoglienza certa, extramuraria rivolta a chi è «dentro» creando un contesto in cui la solidarietà, il capire l’altro, l’entrare in sintonia con i bisogni espressi e reconditi possa dare risposte concrete senza aspettarsi un particolare ringraziamento.
L’esperienza di «Caciolle», la casa dove si offre ai detenuti in misura alternativa una quotidianità domestica, rassicurante, accogliente ed affettiva, rappresenta almeno per me il raggiungimento di una meta ambita e considerata, in passato, irraggiungibile nel mio percorso pastorale. Una meta di cui debbo ringraziare lo spirito che da sempre pervade coloro che fanno parte della Madonnina del Grappa; uno spirito ed un’etica esistenziale che parte da don Giulio Facibeni. Per questo il mio ringraziamento va a coloro che mi hanno insegnato questi principi autentici del Vangelo e a tutti coloro che hanno costruito e voluto edificare un contesto «altro» rispetto all’istituzione totale detentiva. Quindi un percorso di speranza, di riscatto, di riabilitazione, di resipiscenza nei confronti di un cammino originariamente trasgressivo ed antisociale. Forse mi direte che quanto ho scritto sono belle parole; forse sono fantasiose, ma mi sento orgoglioso di aver puntato verso una proposta pragmatica, operativa che, a mio avviso, solo se accompagnata da un autentico coinvolgimento personale, può essere fattivamente ascoltata e fatta propria.
Don Vincenzo Russo, Cappellano Sollicciano