Toscana

Vita difficile delle Province nel caos delle leggi mancate

Tutto finito nel nulla. Dopo un anno perso tra liti – «io con te non ci sto» – disquisizioni più o meno sottili, probabili accorpamenti e cancellazioni, le Province restano come sono. Sarà il nuovo Parlamento a occuparsene. A provocare il rinvio del provvedimento governativo è stata la pregiudiziale di incostituzionalità sollevata dal Pdl, alla quale si sono aggiunte le recenti dimissioni del governo Monti.

Finite le discussioni restano le «macerie» del caos istituzionale provocato da una situazione a dir poco surreale: il decreto «Salva Italia» del 2011 prevedeva l’annullamento delle Province, da un lato trasferendo, le funzioni ai Comuni o alle Regioni, dall’altro tagliando decisamente il numero degli amministratori e modificando il sistema di elezione (abolizione delle giunte provinciali, elezione indiretta di non più di 10 consiglieri, tra i quali nominare il presidente). Manca il decreto, ora decaduto, che avrebbe dovuto armonizzare il passaggio tra i regimi. In pratica il «classico pasticcio all’italiana».

Sono molte e gravi le conseguenze della mancata armonizzazione, secondo uno studio del ministero della Funzione pubblica, prima tra tutte i mancati risparmi. Restano infatti a carico del bilancio statale i 500 milioni di euro, ma potrebbero essere molti di più, che il governo contava di risparmiare. Ci sarebbe poi «la lievitazione dei costi a carico di Comuni e Regioni e il blocco della riorganizzazione periferica dello Stato». Altro problema di non poco conto la riallocazione delle funzioni delle funzioni tra Comuni e Regioni, primo tra tutti quello del personale. Dice infatti il documento la «devoluzione delle funzioni alle Regioni con conseguente lievitazione dei costi per il personale (quello regionale costa più di quello comunale e provinciale) e la probabile costituzione di costose agenzie e società strumentali per l’esercizio delle funzioni». In pratica, invece di risparmiare crescono i costi del personale (qualcuno sarà contento) e nascono nuovi enti, proprio quello che si voleva evitare.

Fin qui la parte politica, c’è poi quella che ci interessa maggiormente. Secondo lo studio, si apre un «periodo di incertezza per l’esercizio di funzioni fondamentali per i cittadini», dalla manutenzione delle strade e delle scuole superiori, la gestione dei rifiuti, la tutela idrogeologica e ambientale. Senza contare i problemi per il trasferimento del personale, dei finanziamenti, l’amministrazione dei beni immobili. Resterebbero «istituite solo sulla carta» le Città metropolitane, (tra le quali Firenze), e la loro operatività «sarebbe tutta da definire».

«A gennaio le Province ci saranno, anche se non sarà stata approvata la legge definitiva di riordino. Ma non avranno i soldi per riparare le strade né i tetti delle scuole. È questo il caos che ci spaventa», afferma Andrea Pieroni, presidente della Provincia di Pisa e presidente toscano dell’Upi (unione delle province italiane). Sono i conti il vero problema delle Province, ora che la riforma è saltata Pieroni lancia l’allarme: con il taglio di 1,2 miliardi, anche le province toscane, ad eccezione di Firenze, nel 2013 rischiano il dissesto finanziario.

«Si vergognino e se ne vadano a casa» ha dichiarato Andrea Barducci presidente della Provincia di Firenze contro «i parlamentari che non hanno avuto forza e coraggio di portare a termine la riforma, delle Province dopo averne discusso per un anno». «Da gennaio saremo senza poteri ma nessun altro li avrà». Comunque la giunta delle Provincia ha varato il bilancio di previsione2013 – «un bilancio di mera sopravvivenza» – nonostante i tagli del governo. «Tagli si fa per dire – protesta Barducci –. Perché da anni lo Stato non ci trasferisce più un euro. Siamo noi che dobbiamo dargli 31 milioni in più». Stesso tono quello di Lamberto Gestri, presidente della provincia di Prato che si chiede: «Come faremo a spalare la neve o a riscaldare le scuole?».

Fin qui l’oggi. Al resto dovrà pensarci il prossimo Parlamento, ammesso e non concesso che ne abbia tempo e voglia. Come succede, purtroppo, da tanto, troppo tempo.

La storia paradossale di un ente «inutile»

E’ un destino paradossale quello delle Province italiane. Periodicamente, qualcuno ne propone l’abolizione, ritenendole «enti inutili», titolari di non meglio identificati poteri e competenze, presenza superflua fra il Comune e l’assai più rilevante Regione.

Abolire le Province però non è cosa da poco. La Costituzione infatti le definisce come parti costitutive della Repubblica e per abolirle è necessario il procedimento delle leggi di revisione costituzionale per eliminare dal panorama istituzionale italiano questo ente «inutile», secondo i detrattori, che costa e conta poco.

Finora in molti ci hanno provato, comprese tre Commissioni Bicamerali. La prima era  la commissione parlamentare per le riforme istituzionali istituita nella IX legislatura (1983 -85) – la cosiddetta Commissione Bozzi – così come la successiva commissione per le riforme costituzionali presieduta dal De Mita prima e poi da Nilde Iotti (1992 – ’94). Infine, la commissione bicamerale D’Alema, nata nel 1997 per elaborare un progetto di riforma della seconda parte della Costituzione. Tutte hanno affrontato il «nodo enti locali», senza però riuscire a scioglierlo.

Successivamente, la riforma del Titolo V, approvata con legge costituzionale n.3/2001, ha modificato sensibilmente gli articoli che riguardano i rapporti tra lo Stato e le Regioni e ha apportato modifiche anche allo status delle province, ritenendole parti costitutive della Repubblica e come tali enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni.

L’ampia riforma approvata con doppia lettura del Parlamento alla fine del 2005 e poi bocciata dal referendum costituzionale l’anno successivo, non prevedeva modifiche del testo dell’art. 114 della Costituzione che prevedeva, tra l’altro, l’istituzione di un Senato federale del quale avrebbero dovuto far parte anche i rappresentanti degli enti locali.Il resto è storia recente.

I progetti di riforma

– 5 maggio 2009 Il Parlamento approva la legge sul federalismo fiscale che mira a garantire alle Province autonomia di entrata e di spesa, attraverso tributi propri, compartecipazioni e fondi perequativi, in attuazione dell’art. 119 della Costituzione.

– 26 maggio 2010 è proposta l’abrogazione di alcune province, che però non ha seguito

– 30 giugno 2010 è approvato dalla Camera dei Deputati il disegno di legge di riforma degli enti locali (Carta delle Autonomie locali), che individua le funzioni fondamentali delle Province

– 25 luglio 2011 è respinta dalla Camera dei Deputati una proposta di legge che mira all’abolizione dell’ente

– 12 agosto 2011 il Consiglio dei ministri ha approva il cosiddetto Decreto legge anti-crisi, che comprende  l’abolizione e l’accorpamento delle province con popolazione inferiore ai 350mila abitanti che abbiano, altresì, una superficie inferiore ai duemilacinquecento chilometri quadrati.  Nelle regioni con meno di 350 000 abitanti non potranno in ogni caso essere istituite Province.

– 4 dicembre 2011 il decreto legge 201/11, è convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (cosiddetta manovra Salva – Italia), stabilisce che il Consiglio provinciale, composto da un massimo di 10 membri, sarà eletto dai Consigli comunali secondo norme stabilite da legge dello Stato. I consiglieri provinciali provvederanno quindi ad eleggere tra loro il presidente. La durata dei Consigli rimarrà quinquennale. Le Giunte provinciali sono state soppresse del tutto.

Riforma congelata per un anno

La riorganizzazione delle Province è stata congelata per un anno. Con un emendamento alla Legge di Stabilità il Governo prevede di prorogare di 12 mesi l’entrata in vigore delle disposizioni del decreto legge «Salva-Italia» relative alle funzioni delle Province. Il Governo è quindi orientato a dare parere negativo a tutte le ulteriori modifiche.