Toscana
La città metropolitana nasce troppo grande e divisa al suo interno
«Giù le mani dalla città metropolitana», titolavano a fine settembre gli articoli in cui si dava conto della dichiarazione del Presidente del Consiglio comunale di Firenze, Eugenio Giani. Ora, stando all’ultimo decreto del Governo sul riordino delle province, sembra proprio che le mani ce le abbiano messe. Se bene o male, questo resta da vedere. Il decreto che ha corretto quello precedente che non ammetteva la possibilità di accorpare altre province a quelle destinate a divenire Città metropolitana, come Firenze, ha spiazzato e praticamente reso inutile gran parte dell’attività del Consiglio delle autonomie locali e del Consiglio regionale che su quel criterio avevano basato le loro decisioni. Con tutto il rispetto per l’attività del Governo e del ministro Patroni Griffi che, obiettivamente affrontando il riordino delle province si sono presi la classica «gatta a pelare», ci si chiede perché, se avevano in mente di accorpare Prato e Pistoia con Firenze, non l’abbiano fatto subito, evitando di far perdere tempo a molte persone, e al Sindaco di Prato Roberto Cenni di rilasciare interviste nel cesso comunale, seduto sul wc.
Come si sia giunti alla inclusione di Prato e Pistoia nella Città metropolitana di Firenze, non è chiaro, e non è spiegato neppure nella Relazione illustrativa allegata all’ultimo decreto. Il Consiglio regionale aveva presentato al Governo due ipotesi, senza decidere tra le due. I punti comuni alle due proposte erano: la Città metropolitana di Firenze coincidente con la Provincia, la Provincia di Arezzo che restava immutata, l’accorpamento di Pistoia con Prato e di Siena con Grosseto. Già verso l’ultima settimana di ottobre erano iniziate ad uscire sulla stampa voci in merito alla possibilità di accorpare altre province con quelle destinate a divenire città metropolitana. Sembrerebbe, anche a guardare attentamente la mappa fornita dal Consiglio dei ministri, in cui i confini tra Prato e Pistoia e tra Lucca e Pisa sono cancellati, che inizialmente si sia unita la Provincia di Prato a quella di Firenze, lasciando Pistoia con Lucca e Massa. Successivamente, si sarebbe aggiunta Pistoia. Questa decisione avrebbe consentito la nascita della grande provincia della costa e tutto sommato, qualcosa di molto simile alle quattro aree vaste proposte dal Presidente della Regione Enrico Rossi.
Alla fine comunque è il risultato quello che conta, e il risultato è che il territorio della città metropolitana di Firenze ingloberà quello di Prato e Pistoia. Nulla di nuovo, si potrebbe dire. Vale la pena ricordare ancora una volta che questa delimitazione era già stata approvata nel 2000 dalla Regione, e che tutti gli studi rilevano l’alta interazione economica e territoriale esistente all’interno dell’area. Inoltre l’area si configura come una delle quattro aree vaste in cui si organizzano i servizi (vedi sanità e rifiuti) all’interno del territorio regionale. Non solo, per l’area vasta comprendente le tre province in questione, si è anche proceduto nel 2007 alla approvazione del Patto di sviluppo locale di area vasta metropolitana, che vede la Regione e le tre province, incluso il circondario di Empoli accordarsi per la realizzazione di progetti di sviluppo in campo economico e infrastrutturale.
Ma considerare l’area come una Città metropolitana pone dei problemi nuovi. Anche Rossi riconosce che: «L’area centrale non può certo essere considerata a tutti gli effetti, ancorché metropolitana, una città.» Difatti il territorio risultante dalla fusione delle tre province è qualcosa di anomalo in confronto con le altre città metropolitane delle regioni a statuto ordinario. Se difatti si considera il rapporto percentuale della popolazione del capoluogo con la popolazione di tutta l’area, questo va da un massimo del 69% a Genova fino ad un minimo di 15% a Reggio Calabria con Firenze che ha un rapporto del 24%. Più evidente ancora il divario se si paragona la superficie del capoluogo con quella totale. Si va da un massimo del 24% nel caso di Roma ad un minimo del 2% per Firenze e Torino. Si tratta di dati statistici forse freddi, ma che fanno intravedere il diverso rapporto politico tra il capoluogo e il suo territorio. Ovviamente maggiore è la popolazione e maggiore il peso politico del capoluogo. Inoltre maggiore è la superficie e maggiore è il territorio che il capoluogo può controllare direttamente.
Se dunque chiamare la nuova aggregazione «Città metropolitana di Firenze» stride un po’ con al realtà, dato l’evidente policentrismo, è anche vero che le divergenze politiche interne, almeno tra i due centri principali, Firenze e Prato, sono enormi. In questi ultimi mesi, Prato ha sperato di divenire se non il capoluogo della provinciamonstreda Prato a Massa, almeno della provincia più domestica da Prato a Pistoia. E Firenze ha intravisto la prospettiva concreta di divenire il capoluogo di una città metropolitana nella quale avrebbe avuto un certo peso, con la speranza di poter dettare legge anche nel territorio contesissimo della piana a nord ovest. Questa decisione vede quindi totalmente contraria Prato, ma scontenta anche Firenze che, con le parole del vicesindaco Dario Nardella, giudica il provvedimento del Governo un «triplo salto mortale carpiato « e la Città metropolitana che esce dal decreto «così grande ed eterogenea», mentre il Sindaco Matteo Renzi, oramai occupato nella campagna per le primarie, critica il riordino delle province nel suo complesso prevedendo che «creerà – facilmente – dieci anni di discussioni, polemiche…».
In sostanza la soluzione scelta favorisce la Regione che trova confermata la visione dell’area vasta come terminale dell’azione regionale sul territorio. Risulta altresì rafforzata la necessità della mediazione regionale in un territorio così politicamente diviso. La soluzione dell’area vasta favorisce inoltre l’azione politica del partito di maggioranza che, attraverso i contatti interprovinciali potrà orientare le scelte per la formazione della Città metropolitana. Il gioco, se la scelta verrà confermata, verrà condotto principalmente al di fuori del Comune di Firenze, e piuttosto tra i presidenti delle province. Non è un caso che Andrea Barducci, il Presidente della Provincia di Firenze sia l’unico a livello locale che si dichiari soddisfatto della scelta, e si candidi praticamente a divenire sindaco delle Città metropolitana, con una politica pacificatrice specialmente nei confronti di Prato.
Ma la politica pacificatrice di Barducci è lontana da superare il conflitto. Il problema è che la istituzione della città metropolitana si mescola con i piani del Governo di riorganizzazione della presenza sul territorio degli uffici periferici dello stato. Perciò anche se il Presidente Barducci tende la mano, questo difficilmente potrà evitare a Prato di perdere Prefettura, Questura, Motorizzazione civile, sedi Inps, Inail e tutte le altre diramazioni degli organi periferici dello Stato. Perciò il Presidente del Consiglio comunale di Prato, Maurizio Bettazzi dichiara: «La provincia e gli uffici territoriali dello Stato annessi e connessi non si toccano». Questa è la vera posta in gioco.
In conclusione un’area economicamente forte ma debole politicamente con un conflitto interno difficilmente sanabile. Da un lato l’opposizione forte dell’area pratese, dall’altra il fatto di sottostimare la centralità del capoluogo e dei suoi interessi. Ma considerare la situazione come definitivamente stabilita può essere un errore. Ci sono due passaggi importanti che aspettano al varco la continuazione del riordino: la decisione della Corte costituzionale, dove pendono i ricorsi delle regioni sul riordino delle province e, in caso di rigetto, la conversione del decreto in sede parlamentare dove gli schieramenti non potranno che ripetersi a favore o sfavore delle province soppresse. Senza contare che alle prossime elezioni politiche ci sarà da aspettarsi che il tema rientri nei programmi elettorali dei candidati. Se nella conversione del decreto cadesse l’accorpamento di Prato alla Città metropolitana verrebbe rimessa in discussione una buona parte dell’assetto del riordino provinciale in Toscana.
Sicuramente se si riuscisse a stabilire una sinergia politica tra le tre province, questo potrebbe fornire una grande spinta allo sviluppo dell’area centrale della toscana che produce una buona parte del Pil regionale. Ma, per ora, tanta è la interazione e la potenzialità economica quanta la distanza politica almeno tra le due più importanti: Firenze e Prato. Sviluppo economico significa prima di tutto attrazione di investimenti nell’area e per attrarli occorre mostrare una prospettiva condivisa di un sentiero di sviluppo, di consolidamento del sistema infrastrutturale, e di contenimento dei conflitti interni. Per giungere a tanto occorrerebbe che le prospettive di Firenze e Prato diventassero sinergiche e che questa sinergia nascesse dall’incontro delle due città più che da quello delle province. Con i presupposti politici da cui nasce la nuova aggregazione sembra si vada più verso la gestione integrata dei servizi, e il raccordo con le politiche regionali, prospettiva importantissima, ma non sufficiente per un programma di sviluppo economico.
Ricercatore, Dipartimento di Urbanistica e pianificazione del territorio
Università di Firenze