Toscana

Sestino: le origini storiche di confini «rompicapo»

Quelli della Marca Toscana sono sicuramente i confini più strani di tutta la regione. Se infatti Badia Tedalda possiede in territorio marchigiano l’exclave di Ca’ Raffello, Santa Sofia e Cicognaia, Sestino presenta a sud un tale frastagliamento lungo le rive del Foglia che per raggiungere la frazione di Monterone si deve attraversare un breve tratto (800 metri circa) di territorio marchigiano: un curioso «cuneo», ecclesiasticamente ancora appartenente all’attuale diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro ma amministrativamente in buona parte dipendente – come un’altra successiva exclave a sud del fiume – dal comune di Carpegna, esteso invece a settentrione al di là dei Sassi di Simone e Simoncello. Le ragioni di una simile frantumazione ce le racconta il sindaco Giancarlo Renzi, da sempre appassionatissimo storico del territorio: «La Massa Trabaria, ovvero la provincia medievale che amministrava questi territori montani – spiega – era un’unità amministrativa unica, dalla quale nacquero poi diversi comuni, tra cui Sestino. Quando fu fatta la prima confinazione storica del Granducato di Toscana, in molte altre parti si risolsero problemi analoghi rettificando i confini. Qui invece non si riuscì a farlo perché la contea di Carpegna era uno stato autonomo e Sestino era formalmente dello Stato Pontificio, ma dato in pegno alla Toscana con il prestito del 1520 da parte di Leone X». Soltanto l’unità d’Italia sarebbe riuscita a risolvere questa «magna vertenza», lasciando però inalterate tante stranezze a livello di limiti comunali e regionali. Poco male: «In fondo – esclama Renzi – se riuscissimo a fare una bella segnaletica potrebbero essere una caratteristica turistica in più».Ma Sestino, dal punto di vista storico, ha da vantare anche un’altra particolarità: da quando, nel XIII secolo, divenne capoluogo della Massa Trabaria rimase per diversi secoli, a livello ecclesiastico, un territorio «nullius diocesis», ossia un piviere autonomo dai vescovadi più prossimi (quelli del Montefeltro e, dal 1520, di Sansepolcro), gestito dall’arciprete di San Pancrazio e immediatamente soggetto alla Santa Sede. L’autonomia venne meno il 14 aprile 1779, quando, anche per le pressioni del Granduca Pietro Leopoldo, il territorio «nullius» fu annesso alla diocesi biturgense. Per il futuro si scommette sul turismoGiancarlo Renzi, sindaco di Sestino e storico del territorio, non ha dubbi. Se l’economia attuale del comune è legata soprattutto alla piccola industria e all’allevamento delle vacche chianine, quella del futuro è da individuare nel turismo. «Si possono unire insieme diverse risorse, che vanno dall’ambiente naturale ai prodotti di qualità e a una buona cucina. Accanto alla chianina, infatti, abbiamo anche il tartufo bianco, sul quale stiamo lavorando perché sia riconosciuta una denominazione d’origine controllata, come a Sant’Angelo in Vado, in territorio marchigiano. Poi c’è la valorizzazione del patrimonio culturale, che dovrebbe culminare con l’apertura del nuovo museo archeologico».

«Il turismo, unito al settore primario – continua Renzi – può rappresentare un futuro per il quale merita vivere in montagna». Tanto più oggi che il grande esodo della popolazione è finito: c’è anche una certa immigrazione e c’è il ritorno di vecchi sestinati che, una volta in pensione, si sono comprati la casa qui. Ma nel complesso la popolazione resta decisamente anziana, anche in relazione agli altri comuni della provincia. «Qui – spiega ancora il sindaco – per un certo periodo i giovani non si sono fermati. Manca qualche generazione, ma con queste prospettive direi che si può ricominciare. Anche le industrie a conduzione familiare non aspirano ad andare nelle grande concentrazioni industriali, ma ricercano un territorio molto più vivibile, e ciò è funzionale sia all’occupazione locale che allo stesso mantenimento dell’ambiente, perché finché si abita in montagna si continua a curare il proprio pezzetto di terra. È vero che abbiamo tanti problemi, e io come sindaco ogni giorno sono a lottare perché mancano servizi e assistenze, però qui c’è una dimensione che ancora è molto più umana e sopravvivono valori che purtroppo altrove si stanno rarefacendo».

LA PICCOLA GRANDE TOSCANA: Sestino, là dove sorge il sole