Toscana

Gerusalemme, la direttrice della Caritas denuncia: «Cristiani alla fame»

DI RICCARDO BIGI

La voce che porto è quella di un popolo che soffre. Non abbiamo mai vissuto una povertà così estrema». Claudette Habesch, direttrice della Caritas di Gerusalemme, conosce bene il dolore della Terra Santa: «In questi giorni sono sempre più le persone che si rivolgono a noi. Chiedono cibo, tende, medicinali. Chi vive nei territori occupati sta finendo le scorte, non può andare a lavorare e aspetta con ansia che questa situazione finisca».

La settimana scorsa la signora Habesch è venuta a Firenze per presentare un progetto che sarà finanziato dalla Caritas fiorentina. Nel suo breve soggiorno ha incontrato l’arcivescovo Ennio Antonelli, il sindaco Leonardo Domenici, il presidente della Provincia Michele Gesualdi. E a tutti ha ripetuto il suo grido d’aiuto. «È un momento drammatico: si calcola che l’economia palestinese perda 13 milioni di dollari al giorno a causa di questa situazione. L’impossibilità di spostarsi dai propri villaggi assediati dai carri armati, la mancanza di turisti e di pellegrini che portavano lavoro, la difficoltà a reperire anche i beni più necessari stanno mettendo in ginocchio la popolazione. La Caritas cerca di far fronte a tutte le richieste, ma neanche noi eravamo pronti a questa emergenza. In Cisgiordania interi villaggi sono ridotti alla fame: mia figlia, che abita a Ramallah con la famiglia, mi ha telefonato qualche giorno fa per dirmi che stava finendo gli alimenti. Io e lei abitiamo a dieci minuti di macchina ma non ci vediamo quasi mai, tra le nostre due case ci sono tre posti di blocco e per passare a volte occorrono ore di attesa, per non parlare delle umiliazioni a cui i soldati israeliani ci sottopongono con la scusa di fare i controlli».

Nel suo breve viaggio in Italia, alla ricerca di fondi e di collaborazione, mille volte Claudette si è sentita ripetere la stessa domanda: c’è ancora una speranza di pace? «Rispondo sempre di sì – afferma con voce decisa – perché quando finisce la speranza, finisce anche la vita. Ma certo per continuare a sperare abbiamo bisogno dell’aiuto e dell’attenzione da parte di tutto il mondo». Da questo punto di vista, la Habesch aggiunge parole di apprezzamento «per la generosità dimostrata dal popolo e dallo Stato italiano, che vengono visti come amici sia dagli ebrei che dai palestinesi».

Ma come si esce dalla spirale dell’odio e della violenza? «Ormai – dice con amarezza – si è creata una situazione in cui la vita umana non ha più valore, in cui quotidianamente si fa il bilancio dei morti senza quasi rendersi conto che dietro i numeri ci sono persone, volti, famiglie. La violenza fa nascere solo nuova violenza, fa crescere la rabbia e il rancore. Sharon sostiene che i carri armati e i soldati schierati ovunque servono per la sicurezza di Israele: non si rende conto che l’unico modo di garantire la sicurezza ai nostri popoli sarebbe quello di deporre le armi e di cercare un accordo. Sharon dice che i campi profughi vanno tenuti sotto controllo perché sono un focolaio di terrorismo: è vero, ma come sono nati? Chi ha costretto questa gente a vivere nelle tende e nelle baracche, senza una casa e senza un futuro? Restituite ai palestinesi le loro case, dategli la possibilità di recarsi al lavoro senza code umilianti ai posti di blocco, fate in modo che possano vivere liberamente nei loro territori e probabilmente anche il terrorismo finirà».

La Habesch guarda con fiducia all’ultima risoluzione dell’Onu: «È vero che ci sono già numerose risoluzioni contro Israele che non sono applicate; stavolta però la novità è che viene riconosciuta formalmente l’esistenza di uno Stato palestinese. La strada può essere solo questa: riconoscere a ebrei e palestinesi i rispettivi diritti, garantire la libertà dei rispettivi territori. Il nostro popolo vuole la pace, ma la pace vera può passare solo dalla giustizia».

L’ultimo pensiero è per Raffaele Ciriello, il fotografo del Corriere della Sera ucciso alcuni giorni fa. «Secondo me non è stato un errore – afferma la direttrice della Caritas – i soldati lo conoscevano, sapevano chi era e cosa stava facendo. Ucciderlo è stato un modo per impedirgli di far conoscere al mondo le atrocità e l’odio che si consumano in questa terra».

FIRENZE IN PELLEGRINAGGIO ALLA «GERUSALEMME» TOSCANA