Don Milani: card. Betori, “stare nella Chiesa gli costò incomprensioni e sofferenze, ma mai fu ribelle”
L’arcivescovo di Firenze, il cardinale Giuseppe Betori ha celebrato questa sera una Messa nella parrocchia di San Donato a Calenzano, la prima dove don Lorenzo Milani, di cui ricorre il centenario dalla nascita, venne inviato come viceparroco.
Di seguito il testo dell’Omelia del cardinale Betori
«Terrore all’intorno» (Ger 20,10) era l’epiteto con cui veniva designato Geremia, e questo perché con coraggio condannava i tradimenti del popolo verso l’alleanza che lo legava al Signore. L’insulto, che doveva allontanare chi fosse tentato di dargli credibilità, chi avesse ritenuto che fosse davvero un profeta, era accompagnato da azioni che si scatenavano contro di lui nel tentativo di delegittimarlo, denunciandolo come un disfattista, un traditore del popolo e di Dio. Ma nulla ferma la missione del profeta, perché egli sa di avere accanto a sé il Signore, che non lo abbandona nella prova.
Viene spontaneo accostare l’esperienza del profeta a quella di don Lorenzo Milani, che qui cominciò il suo ministero di pastore e qui, insieme alla gioia di poter offrire un cammino di riscatto a quanti lo seguirono nella scuola popolare, cominciò a subire contrasti, accuse, rifiuti, che, trovando ahimè ascolto nei suoi superiori, ne causarono l’allontanamento e la destinazione alla piccola comunità di Barbiana. E non meno confliggente fu poi il confronto con la società civile e le sue istituzioni, fino a una condanna inflittagli dopo la morte.
Di particolare peso sono pertanto le parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che così si è espresso a Barbiana in occasione del centenario della nascita del priore: «Testimone coerente e scomodo per la comunità civile e per quella religiosa del suo tempo. Battistrada di una cultura che ha combattuto il privilegio e l’emarginazione, che ha inteso la conoscenza non soltanto come diritto di tutti ma anche come strumento per il pieno sviluppo della personalità umana. Essere stato un segno di contraddizione, anche urticante, significa che non è passato invano tra di noi ma che, al contrario, ha adempiuto alla funzione che più gli stava a cuore: far crescere le persone, far crescere il loro senso critico, dare davvero sbocco alle ansie che hanno accompagnato, dalla scelta repubblicana, la nuova Italia» (Sergio Mattarella, Discorso a Barbiana, 27 maggio 2023).
Come Geremia, nonostante le tante difficoltà e sofferenze, don Milani non venne meno alla sua missione, perché aveva ancorato saldamente la sua vita nella fede in Gesù e nella fedeltà alla Chiesa. Voglio ripetere qui quanto Papa Francesco ha detto di don Lorenzo: «Mi piacerebbe che lo ricordassimo soprattutto come credente, innamorato della Chiesa anche se ferito, ed educatore appassionato… Il Signore era la luce della vita di don Lorenzo, la stessa che vorrei illuminasse il nostro ricordo di lui. L’ombra della croce si è allungata spesso sulla sua vita, ma egli si sentiva sempre partecipe del Mistero Pasquale di Cristo, e della Chiesa… La sofferenza, le ferite subite, la Croce, non hanno mai offuscato in lui la luce pasquale del Cristo Risorto, perché la sua preoccupazione era una sola, che i suoi ragazzi crescessero con la mente aperta e con il cuore accogliente e pieno di compassione, pronti a chinarsi sui più deboli e a soccorrere i bisognosi, come insegna Gesù (cf Lc 10, 29-37)…» (Papa Francesco, Video messaggio del 23 aprile 2017).
Il coraggio della fede è il richiamo che fa Gesù nel vangelo. Per ben tre volte risuona il suo invito: «Non abbiate paura» (Mt 10,26.28.31)! Non dobbiamo avere paura degli uomini nell’annunciare la verità. Non dobbiamo avere paura di chi minaccia la nostra vita terrena, ma non ha potere sulla vita eterna. Non dobbiamo aver paura neanche di noi stessi, delle nostre debolezze, su cui Dio veglia come un Padre misericordioso.
E la paternità di Dio si svela in particolare nella grazia che egli ci dona, tramite la Chiesa, nei sacramenti. Conosciamo tutti come don Lorenzo rispose a chi, nei momenti di crisi con il vescovo, cercava di allontanarlo dalla Chiesa: «Non mi ribellerò mai alla Chiesa, perché ho bisogno più volte alla settimana del perdono dei miei peccati e non saprei da chi altri andare a cercarlo quando avessi lasciato la Chiesa» (Don Lorenzo Milani, Lettera a p. Reginaldo Santilli, 10 ottobre 1958: in Don Lorenzo Milani. Tutte le Opere, I Meridiani, vol. II, Milano, Mondadori, 2017, vol. II, p. 567).
Non erano parole senza un prezzo, perché il suo stare nella Chiesa gli costò incomprensioni e sofferenze. Ma egli non fu mai un ribelle, quanto piuttosto un uomo, un cristiano, un prete che esercitò l’obbedienza alla verità, quella che si svela alla coscienza illuminata dalla parola di Dio, secondo la vera libertà, perché è la verità a renderci liberi; una libertà lontana dallo scegliere secondo il proprio sentire individuale, che si crea i propri idoli secondo quel che piace, ma quella che si forma nel rapporto con la Parola, con la comunità, con i poveri.
Più volte don Milani ha messo in guardia chi lo ammirava dal fare quanto egli faceva. Non si tratta di imitare, tantomeno oggi in un mondo così cambiato dai suoi tempi. Resta però per noi un dovere richiamarci alle esigenze di fede da cui egli mosse. Sono le stesse esigenze proposte oggi dalla pagina del vangelo: dire la verità sull’uomo con coraggio, sempre e senza sconti, pronti a soffrire anche opposizioni ed emarginazioni, sapendo che siamo nelle mani di un Dio che ci ama e non ci abbandona.
Di questa testimonianza di consegna a Dio nostro Padre siamo debitori a don Lorenzo. Mi affido ancora a parole di Papa Francesco che, a proposito di don Milani ha detto: «La sua era un’inquietudine spirituale, alimentata dall’amore per Cristo, per il Vangelo, per la Chiesa, per la società e per la scuola che sognava sempre più come “un ospedale da campo” per soccorrere i feriti, per recuperare gli emarginati e gli scartati» (Papa Francesco, Video messaggio del 23 aprile 2017).
Da questa salda fede in Cristo, il cui volto viene riconosciuto in quello dei più poveri, scaturisce poi l’amore per la Chiesa: «Amiamo la Chiesa… e facciamola amare, mostrandola come madre premurosa di tutti, soprattutto dei più poveri e fragili, sia nella vita sociale sia in quella personale e religiosa. La Chiesa che don Milani ha mostrato al mondo ha questo volto materno e premuroso, proteso a dare a tutti la possibilità di incontrare Dio e quindi dare consistenza alla propria persona in tutta la sua dignità» (Papa Francesco, Discorso a Barbiana, 20 giugno 2017, n. 3). Sono parole ancora di Papa Francesco, pronunciate nella sua visita a Barbiana nel 2017, parole che diventano un doveroso impegno per la nostra Chiesa fiorentina.
Giuseppe card. Betori