Toscana

Natività, parla il frate eroe

dall’inviato ANDREA FAGIOLIPadre Ibrahim, cosa rimane dopo un’esperienza come quella dell’assedio alla Basilica della Natività?

«Quei 39 giorni rimarranno nella storia e rimarranno per sempre dentro di noi perché non è possibile dimenticare la sofferenza, i morti, i feriti…».

Quali sono stati i momenti più difficili?

«A livello personale quando mi hanno sparato e mi sono salvato per miracolo. Ma i momenti difficili sono stati tanti, tutti i giorni, a partire da quando gli israeliani hanno sfondato la porta dei greci e tutti i palestinesi sono entrati anche nel nostro convento. In quel momento ci siamo trovati nel mezzo e abbiamo fatto il possibile per calmare gli animi, da una parte e dall’altra. Alla fine è andato tutto bene, ma si è rischiato il peggio. Se qualcuno avesse iniziato a sparare sarebbe stata una carneficina».

Le strutture hanno subito molti danni?

«All’interno del convento e a Casa Nova sono state danneggiate porte e finestre, mentre la sala parrocchiale è stata bruciata completamente compreso l’organo e un quadro molto antico».

Alcuni giornali italiani hanno avanzato sospetti sul fatto che eravate alla fame, perché una volta liberata la Natività sono state trovate scorte di cibo in abbondanza.

«Il giorno che siamo arrivati all’accordo, io ho accompagnato fuori il primo palestinese, ma poi è nato un problema, tutto si è bloccato di nuovo, gli israeliani sono però indietreggiati. Allora, le donne e i parenti dei palestinesi ne hanno approfittato per portare da mangiare pensando che l’assedio sarebbe ripreso. Invece, il giorno dopo tutto si è risolto».

Vi sentite davvero frati e suore da Nobel per la pace?

«Abbiamo vissuto quei giorni come uomini e donne di pace. Abbiamo rivissuto l’esperienza di San Francesco quando passò tra due eserciti. Abbiamo fatto tutto il possibile per arrivare ad una soluzione pacifica e grazie a Dio è arrivata. Ma noi abbiamo fatto soltanto il nostro dovere».

Betlemme, i toscani forzano l’assedio