Toscana
Associazionismo, si è perso il senso di appartenenza
Docente di Pedagogia sociale all’Università pontificia salesiana e alla Lumsa, il professor Mario Pollo ha all’attivo numerose pubblicazioni e una serie di indagini sul mondo dei giovani e le sue dinamiche, con particolare riferimento al campo dell’esperienza e dell’educazione religiosa. Doveva essere lui ad aprire l’incontro fiorentino su «Identità e ruolo degli ambienti socioculturali e ricreativi», ma all’ultimo momento è stato impossibilitato. Ci siamo comunque rivolti a lui per affrontare in modo molto esplicito la questione di fondo.
Professore, hanno ancora un senso i circoli socioculturali e ricreativi?
«Il problema è che è in atto una profonda trasformazione, che sta dissolvendo tutti i legami comunitari e quindi anche i circoli stanno vivendo lo stesso processo di dissoluzione. Di fatto la struttura tradizionale del circolo non ha più efficacia. Tant’è vero che molti sono diventati soltanto luoghi che offrono dei servizi, magari ludico-ricreativi, sportivi o di altro genere, ma si è persa la dimensione di appartenenza, di vita comunitaria».
Ci sono alternative, iniziative che sul piano della formazione possono sopperire alla crisi dei circoli?
«Occorre impostare delle azioni contro i processi della cultura dominante e per questo devono avere la radicalità e la forza per andare contro corrente. Allora, non è sufficiente aprire un circolo, mettere a disposizione delle strutture. Occorre un processo multidimensionale, di lavoro con le persone, nel territorio. Il circolo può essere l’esito finale di un processo, ma non il punto di partenza».
In particolare ai giovani, cosa può essere offerto come momento di formazione o perlomeno di aggregazione vista la crisi non solo dei circoli, ma anche delle parrocchie e dell’associazionismo in genere?
«Non è più il momento di offrire ai giovani un unico tipo di prodotto. È il momento che io chiamo di offerta con soglie di appartenenza diverse, che vanno dall’offrire piccoli momenti di incontro per gruppi informali a percorsi più impegnativi. Allora occorre dall’interno andare verso l’esterno, dove i giovani sono presenti, dove si aggregano, per tentare dei percorsi educativi. Occorre fornire una risposta ai loro interessi. Va pensata una gamma di attività molto arricchita, molto ampia, molto articolata, che arrivi a tutti: è necessario attrezzarsi con proposte che siano in grado di rimanere aderenti alla soglia del giovane che si ha di fronte. Per intenderci: nel vecchio oratorio o nel circolo veniva sia chi voleva dare due calci al pallone ma vi gravitavano anche le associazioni e i gruppi in cui si potevano fare dei cammini diversi, e passare da un livello all’altro. Questo è il tempo della complessità e nessuno è più in grado di educare da solo. Occorre quindi creare una rete educativa tra Comune, scuole, parrocchie, famiglia, cosicché, quando il giovane cambia frammento, trovi dei segnali che lo collegano a quello precedente. Una sorta di patto educativo, dove ci sono obiettivi comuni che tutti perseguono, attenti a una formazione personalizzata, che non lasci fuori nessun ragazzo».
In questo senso, tutte le associazioni devono aggiornare, e forse ribaltare le proprie «strategie».