Toscana
Riparte da Firenze la lotta alle povertà
La Toscana, come l’Italia e l’Europa, non è una regione povera: almeno nel suo quadro d’insieme. Il reddito a disposizione per il consumo è sufficientemente elevato. Redditi e consumi sono poi distribuiti fra le famiglie toscane in modo equilibrato (fonte Irpet 2002). Ma al suo interno sopravvivono comunque sacche di marginalità e territori meno sviluppati.
Povertà: un concetto multidimensionale. La povertà assume volti diversi. La povertà è vivere in uno stato di disagio economico, con la conseguenza di non poter soddisfare – in parte o del tutto- i propri bisogni materiali. Ma la povertà è anche – in un senso più generale – assenza di alcune libertà fondamentali (capabilities à la Sen), come godere di buona salute, realizzare i propri piani di vita, essere istruito, partecipare alla vita comunitaria o costruire una famiglia. La povertà ha quindi tante dimensioni e deve essere studiata attraverso una pluralità di indicatori: attraverso i livelli di reddito e di consumo, attraverso indicatori sociali, della vulnerabilità e del livello di accesso alla società e alla vita comunitaria.
Le misure di povertà. Tradizionalmente il metodo impiegato per misurare la povertà è quello che si basa sui dati del reddito e del consumo (la cosiddetta income poverty). Secondo questo approccio una persona (o una famiglia) è considerata povera se i suoi livelli di reddito e consumo sono inferiori ad una soglia che riflette le condizioni medie di vita (povertà relativa) o ad un livello giudicato minimo per soddisfare le necessità di base (povertà assoluta). Nel primo caso si guarda alla spesa media mensile procapite – nel 2001 erano 814 euro per due persone – nel secondo il limite viene riferito al valore di un paniere di beni essenziali aggiornato ogni anno tenendo conto della variazione dei prezzi al consumo: sempre nel 2001 significava avere a disposizione meno di 559 euro al mese. Negli ultimi anni l’analisi della povertà tiene inoltre conto dell’educazione, la salute, l’accesso ai servizi o l’esclusione sociale. E’ la cosiddetta functioning poverty. Si tratta comunque di povertà oggettiva. La povertà soggettiva, al contrario, misura il senso di appagamento e la percezione che le persone hanno della propria posizione nella scala sociale: sono povere in questo caso tutte quelle famiglie che dichiarano di non aver risorse sufficienti rispetto ad un certo standard di vita che viene da loro considerato come minimo e la povertà riflette il modo in cui gli eventi del mondo esterno incidono sul quotidiano delle persone e vengono da esse vissute e valutate.
In Italia. In tutta la penisola nel 2001 vivevano in condizione di povertà relativa circa 2 milioni e 663 mila famiglie (fonte Istat): il 13,6 per cento dell’intera popolazione, il 12 per cento di tutte le famiglie residenti ed esattamente quante erano nel 1997 (dopo che erano scese all’11,8 per cento nel 1998 e salite al 12,7 nel 2000). La povertà assoluta toccava invece il 4,2 per cento delle famiglie italiane (940 mila, oltre 3 milioni di persone), per il 75,1 per cento concentrate nel Mezzogiorno. Nel 2000 erano il 6,5 per cento: 1 milione e 383 mila famiglie, pari 4 milioni e 838 mila individui. Poveri grossomodo stabili, ma in ogni caso meno poveri di qualche anno fa visto che il fenomeno sembra essere diminuito in intensità.
La povertà nello spazio delle libertà fondamentali. Anche se superiamo una concezione strettamente economicistica della povertà, il giudizio sulla Toscana rimane positivo. I livelli di salute sono buoni, il tasso di mortalità (standardizzato per tenere conto dell’età) è uno dei più bassi d’Italia, la longevità ci colloca ai primi posti della graduatoria per regioni, la criminalità non supera livelli di guardia, la coesione sociale – che si manifesta a vari livelli, dal ruolo della famiglia a quello degli enti locali – è elevata. Anche lo stato dell’ambiente è tale da caratterizzare la Toscana, pur con le inevitabili emergenze nelle aree urbane, per i migliori parametri di salubrità, sicurezza, valore estetico, naturalistico, culturale e ricreativo (in una parola ambientali) fra le regioni economicamente più avanzate. Il quadro (fonte Irpet 2002) è sicuramente migliorabile – nell’istruzione e nella qualità delle occasioni di lavoro, specie per i più giovani – ma è comunque buono. La maggioranza delle famiglie toscane può permettersi una vacanza di almeno 20 giorni l’anno, una cena o un pranzo al ristorante almeno una volta al mese ed alla fine dell’anno riesce a risparmiare una parte del proprio reddito.
Le risorse messe in campo dalla Toscana contro la povertà. Per combattere la povertà, la Regione ha stanziato, quest’anno, tre milioni e mezzo di euro. L’anno scorso c’erano a disposizione sei miliardi di lire. Ma per programmi particolarmente innovativi si potrà attingere anche ad altri fondi. Con “Toscana Sociale”, importante capitolo inserito nel Piano integrato sociale della Regione, i Comuni e le Province diventano infatti laboratori dove sperimentare buone pratiche, anche con la collaborazione di associazioni no-profit. Se i progetti poi funzioneranno, potranno essere estesi al resto della Toscana.
Chi sono i poveri. In Italia le famiglie povere in senso relativo sono per lo più quelle numerose: spiccano in particolare le famiglie da tre figli in su. Anche laddove ci sono anziani con più di 64 anni aumenta l’incidenza di povertà. In Toscana le famiglie che si sentono povere sono quelle dove ci sono disoccupati e i nuclei familiari con a capo operai agricoli, casalinghe o pensionati (che si considerano più deprivati degli operai dell’industria e del commercio). Gli artigiani e i piccoli commercianti si considerano inoltre più a rischio degli impiegati.
Dove vivono i poveri. In Toscana la povertà continua ad essere caratteristica, oltre che delle periferie urbane (che non sono particolarmente estese e degradate), delle aree escluse dallo sviluppo. Le disuguaglianze sociali assumono l’aspetto di disuguaglianze tra territori. Le aree montuose e rurali ai margini dei distretti manifatturieri e dei centri urbani e le aree della Toscana costiera meridionale sono quelle che mostrano i livelli di reddito meno elevati.
Il reddito minimo di inserimento. L’idea è quella di un assegno che integri il reddito necessario a garantirsi una vita dignitosa, legato però a percorsi individualizzati (condivisi ed obbligatori) finalizzati al reinserimento sociale, che portino le persone a sentirsi motivate e ad agire. Non il vecchio assistenzialismo, dunque. Era la strada imboccata con la sperimentazione nazionale del “reddito minimo di inserimento”, iniziata nel 1998 in 39 comuni e con 85 mila persone. E’ la strada scelta dalla Toscana, accanto a politiche di sostegno ed incentivazione alla formazione dei giovani, riqualificazione degli adulti, servizi sociali diffusi, aiuti nell’accesso all’abitazione per le famiglie a basso reddito. Da noi il banco di prova per il reddito minimo di inserimento è stata la provincia di Massa Carrrara. Il governo ha però deciso di non rinnovare l’esperimento, che nella nostra regione sembrava aver funzionato.
I poveri ‘invisibili’. Ci sono anche poveri non compresi in alcuna statistica. Sono i senza fissa dimora, concentrati soprattutto nelle grandi città, spesso non censiti e che spesso è difficile aiutare: la stima, assolutamente non definitiva, è di 17 mila persone in tutta Italia. Quello che colpisce è il loro livello di istruzione: secondo una ricerca realizzata dalla Commissione parlamentare contro l’esclusione e la povertà il 17,7 per cento ha un diploma di scuola media superiore e quasi il 4 per cento è laureato. Il 17,8 per cento di loro è in strada da oltre 10 anni, con difficili possibilità di recupero. “Un’attenzione particolare – ha sottolineato il vice presidente Angelo Passaleva – va dedicata anche a queste persone, nei confronti delle quali vanno apprestate specifiche misure per inserirle nei servizi, per recuperarne le capacità personali e relazionali, per assicurarne la vera e propria sopravvivenza fisica: costruzione di nuovi dormitori, ma anche interventi che coinvolgano le strutture psichiatriche dell’Asl come è stato ipotizzato qualche settimana fa a Prato, poiché chi vive sulla strada ha bisogno di un aiuto anche in questo senso”. (wf)