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Terremoto in Siria. Mons. Baturi (Cei) in visita ai cristiani siriani: “Non siete soli, la Chiesa italiana vi è vicina”

 “Con la nostra presenza abbiamo voluto dire ai nostri fratelli siriani ‘voi non siete soli, siete parte della nostra storia e della nostra fede’. Non basta inviare aiuti ma serve far sentire a questi fratelli che sono parte del respiro della Chiesa universale. L’Italia ha una tradizione tale che può permettersi di fare questo con efficacia”. Il viaggio è servito “per ribadire la solidarietà della Chiesa in Italia alla popolazione e per comprendere come aumentare l’efficacia degli aiuti offerti attraverso i progetti finanziati con i fondi dell’8xmille presenti sul territorio”.

Chiese siriane in campo. Mons. Baturi parla di “una popolazione provata da quasi 13 anni di guerra devastante, dalle sanzioni che la affliggono e che ora è stremata dal terremoto. In questi giorni abbiamo parlato con tutti i vescovi cattolici, con quelli ortodossi e con i rappresentanti delle altre denominazioni cristiane e abbiamo visto come la comunità cristiana si stia facendo carico, nonostante il numero ridotto dei propri membri, della grave situazione complessiva”. Un impegno a tutto campo, attivo sin dall’inizio delle guerra e durante la pandemia, che si concretizza, spiega il Segretario generale della Cei, “in programmi educativi, di contrasto alla povertà e alla disoccupazione”, ed ora, con il terremoto, “attraverso progetti di monitoraggio delle case per il reinserimento progressivo di quanti sono stati costretti ad abbandonarle a causa del sisma”. In tale situazione, per mons. Baturi, il contributo della Chiesa italiana alla ricostruzione può essere di due tipi: “innanzitutto l’aiuto economico e finanziario necessario a sostenere i tanti progetti attivi, tra i quali quello nel campo sanitario, promosso dal card. Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, denominato ‘Ospedali aperti’, gestito sul campo dalla Fondazione Avsi, che si propone di curare gratuitamente i siriani più poveri e vulnerabili in tre nosocomi cattolici, due a Damasco e uno ad Aleppo e in 5 dispensari”.

E poi il sostegno ai programmi di formazione al lavoro e di istruzione portati avanti dall’Associazione Pro Terra Sancta (Ats), che lavora di concerto con la Custodia di Terra Santa. Il futuro passa per i giovani e su di essi bisogna investire”. Mons. Baturi si è detto molto colpito dal progetto Ats denominato ‘Un nome e un futuro’ che offre cura e protezione a tutti i bambini orfani ed abbandonati di Aleppo, soprattutto là dove questi piccoli siano nati da episodi di violenza sessuale, frequenti durante l’occupazione dello Stato Islamico. “Voglio ricordare – aggiunge il Segretario della Cei – l’accoglienza dei terremotati curata dai francescani e dai salesiani che provvedono ogni giorno a fornire migliaia di pasti. Vogliamo essere vicini a tutte queste realtà con i fondi dell’8×1000 e con quanto riusciremo a raccogliere nella Colletta promossa dalla Cei per il 26 marzo prossimo”. Dal 2013 ad oggi la Cei ha destinato alla Siria oltre 12 milioni di euro per realizzare 17 interventi, tra cui “Ospedali aperti”, gestito dalla Fondazione Avsi .

Sanzioni e fuga dei cristiani. Dagli incontri avuti con l’episcopato siriano sono emerse, inoltre, diverse preoccupazioni legate alle sanzioni economiche e al rischio di ‘spopolamento cristiano’ del Paese. “I vescovi siriani – afferma mons. Baturi – chiedono una sospensione significativa delle sanzioni che vanno a colpire i bisogni primari del popolo. Le sanzioni a volte bloccano le medicine, i pezzi di ricambio dei macchinari sanitari, le rimesse dei familiari dei siriani che vivono all’estero. In Siria il 90% della popolazione vive sotto il livello di povertà. Chi ha imposto le sanzioni – rimarca il Segretario generale della Cei – si proponeva uno scopo che non è stato raggiunto. Adesso bisogna pensare alla vita del popolo”. Da un miglioramento delle condizioni di vita del popolo dipende, poi, la presenza cristiana in Siria, “vero e proprio punto di equilibrio sociale in tutto il Medio Oriente. Per questo è necessario aiutare i cristiani locali, la cui presenza si è notevolmente ridotta, a restare in Siria, dove sono nati. Abbiamo avuto modo di parlare anche con cristiani che ancora vivono nelle zone controllate dalle milizie anti regime e che ci hanno reso testimonianza di una fede sincera che li espone a rischi quotidiani”.

Libano. Nella strada di rientro per l’Italia mons. Baturi ha fatto sosta anche in Libano la cui “drammatica situazione politica, economica e finanziaria che ha gravi riflessi sulla vicina Siria, è sottovalutata”. “In Libano ci sono circa 1,5 milioni di rifugiati siriani, un terzo di tutti i residenti, oltre ai campi palestinesi, per questo – sostiene il Segretario della Cei – occorre avere una visione di insieme. La comunità internazionale deve prendere a cuore il Libano, felice esperienza di convivenza, di dialogo e di partecipazione, oggi in equilibrio gravemente instabile”.