Vita Chiesa
Il Cammino Neocatecumenale in Toscana: un percorso di comunità per riscoprirsi cristiani
Presso la chiesa di San Bartolomeo in Tuto, a Scandicci incontriamo Sergio Mantelli, 79 anni, vigile del fuoco in pensione, sposato con Grazia Grazzini e padre di sette figli, don Marco Calamandrei, 78 anni, sacerdote dal 1970, e Giovanni Spinelli sposato con Anna, quattro figli e un passato da organista in tante chiese della regione, tra cui anche il duomo di Firenze. Completano l’equipe i coniugi Niccolò Luti e Monica Perna, che hanno dieci figli.Com’è iniziata la vostra esperienza nel Cammino neocatecumenale?Sergio: “Mi sposai con Grazia il 14 settembre 1968, il nostro matrimonio entrò quasi subito in crisi a causa della differenza dei nostri caratteri e della nostra esperienza di vita. A un certo punto iniziai a frequentare le catechesi di Kiko che, nel 1970, si svolgevano nella mia parrocchia di Santa Maria, una delle più grandi di Scandicci. Non andai però alla convivenza finale perché, nonostante avessi frequentato le catechesi, pensavo ancora di poter affrontare i problemi della vita con le mie sole forze. Quando a luglio 1971 partecipai a una celebrazione della prima comunità a Santa Maria, alla quale mi accompagnò mio fratello Mauro che ora è in Cielo, rimasi veramente colpito: per me fu una novità, una buona notizia. Così tornai con uno spirito nuovo alle catechesi di settembre perché mi sentivo diverso: il Signore aveva colpito il mio cuore. Nel 1971, avendo Kiko impegni in Spagna, le catechesi furono fatte dai fratelli della prima comunità. Tra di loro c’era anche Giancarlo Guerrini, primo responsabile della Toscana morto pochi giorni fa, un uomo che ha speso tutta la sua vita per il Vangelo. Con il tempo poi si formò la seconda comunità e io iniziai a far parte del Cammino, così come mia moglie. Il nostro matrimonio prese una piega diversa: riuscivamo a convivere serenamente, perdonandoci, aiutandoci a vicenda, confidando nell’aiuto del Signore. Certo, questo non significa che siano mancati i problemi o che non abbiamo più discusso, ma semplicemente che ora riusciamo a comprenderci e ad amarci seguendo l’esempio di Gesù Cristo».Grazia: «Nel periodo durante il quale mio marito frequentava le catechesi, io allattavo la nostra seconda bambina e andavo alle catechesi senza che lui lo sapesse. Ne rimasi molto colpita anch’io e iniziai a chiedermi: “Perché no?”. La mia vita era segnata da un’esperienza in una famiglia difficile e la differenza tra me e lui non la interpretavo come un dono ma come un grande problema. Le catechesi del Cammino mi sembravano speciali perché nelle parole dei fratelli c’era qualcosa che non veniva da loro ma dalla forza dello Spirito, da un qualcosa che aveva cambiato la loro vita. Compresi così, in quegli incontri, che siamo amati così come siamo, con le nostre paure, le nostre debolezze. Fu lì che conobbi l’amore di Dio. Anche nella mia maternità agì questa conversione perché io non avrei mai voluto altri figli e, invece, più sono andata avanti, più mi sono sentita libera e amata dal Signore. Abbiamo un figlio con problemi e non è sempre facile la quotidianità, ma sento sempre l’amore di Dio che mi sostiene».Giovanni Spinelli: «Quando ero organista e concertista, mi concentravo sul mio concerto. Poi, finita la serata, anche la gioia e l’entusiasmo iniziali finivano e, quando tornavo a casa, sentivo che mi mancava sempre qualcosa. Devo ammettere che non mi sarei mai sposato, se non avessi avuto la grazia della conversione. In tante persone in difficoltà e prese da mille paure rivedo il me stesso di un tempo; ora il mio desiderio è quello di dire a tutti di avere pazienza e coraggio, perché il Signore non tarda a far sentire la sua presenza nella vita di ciascuno».Com’è cambiata la partecipazione alle catechesi negli anni?«La partecipazione è minore rispetto agli anni ‘70. L’affluenza è scesa e spesso le parrocchie o non conoscono il cammino o probabilmente hanno dei pregiudizi a riguardo».Qualcuno sostiene che nel Cammino neocatecumenale si vive molto la comunità e meno la parrocchia. Questo può essere un rischio?«Sì. A volte c’è il rischio che si possa creare l’assolutismo della comunità, vivendo in maniera forte il Cammino e meno la parrocchia. Nonostante ciò, non ci si deve scoraggiare: il Signore viene sempre in aiuto e anche il parroco, con la sua sapienza, sicuramente può intervenire e guidare tutti con amore».Cosa propone il Cammino neocatecumenale alle parrocchie?«In una società sempre più secolarizzata il Cammino propone una modalità di iniziazione cristiana per riscoprire il proprio battesimo. Al termine delle catechesi, dopo due giorni di ritiro, chiamato “convivenza”, si forma una nuova comunità. Il Cammino è celebrativo e i fratelli, attraverso la celebrazione della Parola, l’Eucarestia festiva e i diversi passaggi, sono aiutati dallo Spirito Santo a rivivere il Battesimo».Com’è strutturato il cammino vocazionale, sia laico che religioso?«Durante alcune celebrazioni particolari, al termine della liturgia, si chiede se c’è qualcuno che intende donarsi al Signore nella vita sacerdotale, monacale o come itinerante.Durante questi incontri, emergono molte vocazioni. Basti pensare che in questo momento, dal seminario “Redemptoris Mater” di Scandicci (sezione missionaria del Seminario arcivescovile di Firenze) ci sono cinque seminaristi itineranti in diverse parti del mondo e sono nate, anche in Toscana, diverse vocazioni alla vita monastica. Molte famiglie con i propri figli, inoltre, si impegnano a partire per raggiungere ogni parte del mondo. È bello vedere tante giovani famiglie annunciare Gesù Cristo, anche in Paesi dove per evangelizzare devono imparare una nuova lingua e nuove abitudini. Sono almeno 20 le famiglie della Toscana in giro per il mondo: Francia, Svizzera, Austria, Germania, Ucraina, Svezia, Lituania, Stati Uniti, Brasile, Cina, Taiwan e Australia».Una famiglia sta vivendo la propria missione in Ucraina. Come sta affrontando questo periodo?«Monica e Marco Tubii sono arrivati insieme ai loro figli in Ucraina nel giugno del 2001. Una volta iniziato il conflitto, su indicazione anche dei responsabili internazionali del Cammino, avevano deciso di tornare in Italia. Poche settimane dopo, però, sono voluti ripartire perché hanno pensato che i loro fratelli non potevano essere lasciati da soli sotto le bombe. Nell’ora più buia, in cui i loro amici avevano più bisogno di loro, non potevano lasciarli soli».Come si sostiene una famiglia che decide di partire?«Il Cammino è come una grande famiglia e la comunità si rende partecipe alla missione delle famiglie. Il costo maggiore è sempre quello del biglietto aereo; poi, una volta giunti nel paese e sostenuti dalla comunità di partenza nelle spese iniziali, la famiglia inizia a cercare un lavoro e i figli si inseriscono nelle scuole. La più bella testimonianza di fede è proprio quella data dalla quotidianità della loro vita».Nel 2014 papa Francesco affermò che «la libertà di ciascuno non deve essere forzata e si deve rispettare la scelta di chi sceglie altri cammini di cristianità».
La riflessione del Papa nasce probabilmente dal fatto che alcune persone, una volta che decidono di interrompere il percorso con il Cammino, dopo anni vissuti intensamente, si sentono isolate.«Mi ricordo che una volta un cardinale mi disse che aveva sentito dire che chi esce dal Cammino non è visto di buon occhio da quelli che sono dentro. Purtroppo, in alcune comunità, quando si vive intensamente il gruppo, si pensa ai fratelli che rimangono e non a quelli che decidono di proseguire il proprio percorso diversamente. A qualcuno forse è capitato, ma io non posso testimoniarlo, perché non l’ho mai visto nella mia vita. Noi abbiamo degli ottimi rapporti con chi esce dal Cammino e alcuni, a distanza di anni, decidono anche di rientrare: se non ci fosse un rapporto cordiale, questo non succederebbe. Ci sono probabilmente più casi di segno inverso, dove rimane un legame e un’amicizia con chi esce dal Cammino ma – si sa – fa più clamore una critica che tante opere buone».Cosa rappresenta Kiko Argüello, il fondatore, per il Cammino?«Kiko per tutti noi è una guida che ci ha insegnato molto. Ricordo quando discuteva con Carmen Hernández: era bello vedere quel loro rapporto così trasparente e vivo. Carmen, iniziatrice del Cammino insieme a Kiko, è morta nel 2016 e gli ha dato la forza per andare avanti, spronandolo sempre nella sua missione».
La storia del Cammino Neocatecumenale in ToscanaNel 1968 don Dino Torreggiani, fondatore dei Servi della Chiesa, ascoltò predicare Kiko Argüello ad Avila (Spagna) in modo fortemente carismatico e lo convinse a venire in Italia, prima a Roma e poi a Firenze, ospitandolo nella Casa dello spettacolo viaggiante che l’Istituto possedeva a Vingone, nella periferia di Scandicci. Kiko iniziò così, proprio lì, a incontrare i parroci della zona di Scandicci. Il primo ad accoglierli fu don Fabio Masi, parroco al Vingone, che accettò di iniziare le catechesi; insieme a Kiko e Carmen c’era poi anche un presbitero di Bologna, don Francesco Cuppini. A metà delle catechesi, però, a causa di forti discussioni, Kiko terminò gli incontri. Don Piero Paciscopi, nuovo parroco a San Bartolo a Scandicci, il quale aveva lasciato la vecchia Chiesetta di San Bartolo per trasferirsi in un altro luogo più vicino alle nuove case, chiese a Kiko di iniziare nuovamente le catechesi. Il 21 luglio 1969, dopo una Convivenza di due giorni, nacque la prima Comunità neocatecumenale della Toscana, formata da donne anziane (diventate poi le «vecchiette») e qualche giovane. L’anno seguente, nel 1970, le catechesi furono fatte anche nelle parrocchie di Sant’Antonio al Romito, a Firenze, e Santa Maria a Scandicci.
La chiesa di San Bartolomeo in Tuto a ScandicciCostruita tra il 1978 e il 1982 su progetto di Mattia del Prete, Anna Gennarini e Kiko Argüello, ha una forma ottagonale che ricorda il battistero di Firenze. La forma, con la sua disposizione a gradoni, favorisce la partecipazione alla liturgia e simboleggia l’assemblea. Al suo interno sono custodite le opere realizzate personalmente da Kiko Argüello, iniziatore con Carmen Hernandez (la catechista per la quale il 4 dicembre 2022 è stata aperta a Madrid la fase diocesana della causa di beatificazione) del Cammino neocatecumenale. La «Corona misterica», opera realizzata in quattordici anni il cui stile richiama l’iconografia russa e bizantina, è stata riprodotta in tutto il mondo, dalla Norvegia alla Spagna, a Shangai e in Barein, dove anche il Papa ha potuto ammirarla.La parrocchia attualmente è retta da don Stefano Mantelli, 38 anni, parroco moderatore e da don Marco Calamandrei, 78 anni, che ha la nomina di parroco in solido. «Sono felice – dice don Stefano – del mio servizio anche perché sono a contatto con tanti gruppi: oltre a quello del Cammino, c’è il gruppo del Rinnovamento nello Spirito, poi quello chiamato “Trekking”, poi il gruppo delle signore anziane che animano alcune attività e quello dei giovani post-Cresima che conta oltre 120 ragazzi. Nella nostra parrocchia, quindi, ci sono tante realtà che rendono viva la Chiesa e che testimoniano la bellezza dei carismi attraverso le varie realtà ecclesiali».
Il riconocimento della santa sede
Il 30 agosto 1990 San Giovanni Paolo II scrisse: «Riconosco il Cammino Neocatecumenale come un itinerario di formazione cattolica, valida per la società e per i tempi odierni». Il Cammino neocatecumenale è stato poi riconosciuto dalla Santa Sede con l’approvazione definitiva degli Statuti l’11 maggio 2008 e dal Direttorio catechetico con Decreto del 10 dicembre 2010.