Vita Chiesa
Mercoledì delle ceneri: tutto finisce in polvere. Ma il Vangelo ci dice che…
In questi giorni stiamo assistendo, in televisione, sui giornali, al lavoro incessante di persone che cercano di salvare le vittime del terremoto in Turchia, immagini di festa quando questo tentativo va a buon fine, di dolore quando si riesce a recuperare solo un corpo ormai esanime; tutti accomunati dallo sforzo di scavare, a volte a mani nude, e tutti ricoperti di polvere.La liturgia ci proporrà, fra pochi giorni, un simbolo simile, quello delle Ceneri, certo non carico della drammaticità delle immagini di questi giorni, forse un po’ sterilizzato dall’abitudine, ma portatore di un significato dirompente. Una delle possibili formule del rito dell’imposizione delle ceneri è proprio l’ammonimento tratto dalla Bibbia: «ricorda che sei polvere e in povere tornerai». Se ci pensiamo attentamente, questo potrebbe essere intollerabile alla nostra coscienza, alla sensibilità di oggi che ci accomuna, quasi come a dire che in fondo lo sbriciolamento di un intero mondo, del mondo che abbiamo eletto a casa, che contiene ricordi, affetti, progetti, è un dato di fatto, che è destinato a scomparire, che quella polvere è l’ultimo residuo di una vita intera. Come non provare un moto di ribellione a tutto ciò, pur sapendo, senza dubbio, che davvero la nostra vita soffre di una estrema fragilità, che basta un nulla per distruggerla, una distrazione, una caduta di pochi metri, un virus invisibile? Credo che questo moto di ribellione non sia solo il frutto della superbia dell’uomo decaduto, dell’Adamo ormai incapace di fidarsi di Dio; credo che sia il segno di un’aspettativa che Egli stesso ha messo dentro ciascuno di noi. Un uomo, una donna, che non sentisse questo strappo, rassegnati a una vita destinata a polverizzarsi non realizzerebbe l’umanità che Dio ha pensato.E allora quale il senso di un gesto come quello delle Ceneri, come accogliere l’annuncio biblico della nostra caducità? Penso che l’altra parola, stavolta evangelica, utilizzabile per il rito, possa portare la sua luce su tutto questo: «convertiti e credi al Vangelo». È bene specificare che non si tratta di una parola «buona» contrapposta a quell’altra «cattiva», come i poliziotti all’interrogatorio. La parola sulla nostra caducità ha il merito di riconnetterci con la realtà, di farci prendere sul serio i nostri limiti, di non stupirsi quando crollano i nostri miti, o le favole che ci raccontiamo e alle quali fingiamo di credere: una crescita indefinita, un progresso senza limiti, spendere e spandere senza che qualcuno ci presenti il conto, opprimere il povero senza che questo apra bocca, spremere la terra come un limone e poi stupirsi se la pacchia è finita… È una realtà a rischio di polverizzarsi, e chi ci dice questo non è solo un uccello del malaugurio ma semplicemente il portatore di una verità.Vi è però anche un’altra verità, quella dell’annuncio evangelico che spinge non solo a convertirsi, cioè a invertire la rotta, ma innanzitutto a credere nel Vangelo, a credere a una buona notizia che, di per sé, cozza contro questa prima verità, anche se suffragata dalla Bibbia. Gesù non parla ai suoi di ritornare polvere, ma di un futuro possibile, della beatitudine di una terra da abitare per i miti, della consolazione per chi piange, dell’esperienza della figliolanza nei confronti di Dio. E la possibilità di ricreare legami nel deserto delle relazioni tramite il perdono, la misericordia offerta e ricevuta, di ripartire dalla stessa polvere per la ricreazione di un uomo nuovo, o meglio per lasciare che il Signore possa operare tutto ciò, come con la polvere del primo uomo.Il limite, infatti, è il punto di partenza, anche se se tentiamo disperatamente di negarlo, come dimostra il fatto che dopo ogni esperienza di limite qualcosa difficilmente cambia; nonostante si affermi che la storia è maestra di vita in realtà spesso non impariamo nulla, sia essa una catastrofe ambientale o una pandemia. Prendere coscienza dei propri limiti come materia prima dalla quale ripartire credo possa essere un frutto della celebrazione delle ceneri, proprio perché nel gesto di accogliere la polvere della vita, la cenere che noi stessi siamo, la possiamo guardare non come scoria da spazzare via, ma sedimento, humus, terra fertile dalla quale potrà nascere la novità di Dio.Don Enzo Pacini
Direttore della Caritas diocesana di Prato e cappellano del carcere