Cultura & Società

L’editoriale. Sanremo non sempre è Sanremo

Ancora una volta ha vinto solo la Rai che, grazie alla pubblicità raccolta per Sanremo, quello che dovrebbe essere il Festival della canzone italiana, da anni riesce a coprire un buco economico che il canone per il servizio pubblico, imposto a tutti gli italiani, non riesce neppure a mitigare. E nonostante le conferenze stampa e i dati auditel non ha vinto neppure Amadeus, giunto al suo quarto Festival – l’ultimo? -, e neppure la politica, quella di chi ora è in maggioranza e vorrebbe tornare a governare con la censura né quella di una sinistra scavalcata oltre l’estremo persino dall’«Ama» nazionale.

No, non ci è piaciuto quasi niente di questa 73a edizione del Festival che pure era cominciata con la presenza di Sergio Mattarella, la prima in assoluto di un presidente della Repubblica sul palco e le parole di Roberto Benigni sulla Costituzione e in particolare sull’articolo 21, proprio quello sulla libertà di espressione, che grazie ai nostri padri costituenti è garantita a tutti gli italiani. Tutti: compresi Fedez e Rosa Chemical che però con la loro esibizione, mimando un atto sessuale e poi un bacio profondo, sono andati ben oltre un diritto. Ne hanno abusato. E scusate se, prima ancora di pensare alle telespettatrici e ai telespettatori, penso a Leone e Vittoria Lucia – i due figli che il primo ha avuto dalla moglie Chiara Ferragni -. Potrei addirittura rivalutare quest’ultima, un’altra uscita nettamente sconfitta da queste serate, se davvero fosse riuscita ad arrabbiarsi con il marito per questo motivo. Mentre lo scrivo non ci credo neppure io perché per improvvisare su un palco di teatro bisogna essere dei grandi attori o dei grandi cantanti: né Fedez né Rosa Chemical lo sono.

Il primo vive soprattutto grazie alla moglie influencer, è lei che porta più soldi a casa, il secondo da sempre non scrive canzoni ma provoca e vende qualcosa grazie a una società che sempre di più si nutre di ciò. Tra l’altro dobbiamo augurarci che fosse tutto nella scaletta altrimenti il gesto di violenza di quel bacio omosessuale sarebbe davvero stato troppo. Cosa avremmo letto e scritto se quel bacio fosse stato strappato a una donna? Probabilmente la sinistra, che giusto per contrapporsi a qualche rappresentante del governo ha addirittura provato a difenderlo, avrebbe dovuto attaccarlo, perché quasi di «violenza sessuale» si è trattato.

Ha detto bene Adriano Fabris, professore di Filosofia morale e di Etica della comunicazione all’Università di Pisa, e nostro collaboratore, parlando di uno degli obiettivi di quest’edizione del Festival, che era quello «di un progetto della fluidità già volutamente impostato e progettato».

Non che sia stata la prima volta, in passato di esempi di questo genere ce ne sono stati molti altri, ma sempre Fabris sottolinea come proprio in quest’edizione sono tornati sul palco, portati da Amadeus e dalla Rai, i Cugini di campagna «che sono stati i primi, in un momento in cui cambiava la figura del maschio, a cantare in falsetto».

È proprio questa la società italiana, è quella rappresentata da questo spettacolo o forse i nostri giovani hanno diritto a qualcosa di diverso da un’ambiguità forzata, ricercata a tutti i costi? Noi siamo contenti di vivere in un mondo dove non c’è più quell’intolleranza che abbiamo vissuto in passato, anche recente da parte di una certa politica, e non vorremmo tornarci. Dobbiamo, però, dopo questa settimana, chiederci se tutta quella libertà che ci viene prospettata sul palco più famoso e più ambito d’Italia, sia quella che davvero vogliamo noi e vogliono i giovani, che hanno dimostrato di saper respingere l’idea di essere considerate masse da spolpare nei seggi elettorali.

Torniamo quindi all’inizio e a quel servizio pubblico che dovrebbe essere garantito dalla Rai. Se pubblico è deve tener conto di tutti i telespettatori, delle diverse sensibilità. E in questo senso perfino pensare a rilanciare campagne politiche (cannabis libera), che dividono l’opinione pubblica non ha senso. Come detto non tutto fa spettacolo. Il Festival lo è, lo è sempre stato ma nel corso dei decenni è stato portato a essere la quarta, come qualcuno l’ha definita, Camera del Paese, visto che la terza è il salotto di Bruno Vespa. Se è questo si spiegano tutti i predicatori di turno.

E così torniamo alla stessa Ferragni e alla sua lettera alla bambina Chiara, scritta con una povertà assoluta di termini e per l’esaltazione di se stessa, quasi un tentativo, fallito pure questo di portare i social in televisione. O peggio il tentativo di far passare un altro messaggio con la collana a forma di utero dell’ultima sera, ennesimo attacco a un mondo che qualcuno punta a sconfiggere definitivamente al più presto grazie alla massimizzazione di una cultura che tutto divora. I monologhi delle altre coconduttrici, l’unico veramente positivo è stato quello di Francesca Fagnani sui minori e il carcere, sono andati spesso a tarda ora, con qualche passaggio troppo frettoloso e confuso, – quello sulla maternità di Chiara Francini tanto che a qualcuno è sembrato perfino colpevolizzare le donne che attendono un figlio –, e quello sul razzismo di una pur brava Paola Egonu che si è presentata con un testo pure questo piuttosto povero.

Qui torniamo sulla politica: forse qualche viceministro ha un po’ esagerato ma l’Ama nazionale, e chi con lui ha pensato a questa 73/ma edizione, ha offerto un assist a chi vuol cambiare la dirigenza della Rai. Quegli stessi dirigenti che, insieme ai politici sono riusciti a far fare all’Italia l’ennesima figuraccia all’estero facendo leggere, dopo settimane di polemiche, il testo di Zelensky – ha parlato da tutti i palchi del mondo – ben oltre le due di notte dell’ultima serata, mentre tutti aspettavano solo il vincitore. Un po’ quello che era successo la sera prima con la storia delle foibe, imposte ad Amadeus dal ministro della Cultura, o due tre sere prima con la ragazza iraniana costretta a leggere accanto a Drusilla Foer – anche questa scelta fluida? – a tarda ora e in due minuti il suo testo.

Chiudiamo con due ultime note sullo spettacolo: il giovane Blanco, che sui social ha fatto più visualizzazioni di tutti grazie alla distruzione della scenografia floreale e alla mancanza di rispetto per chi ci aveva lavorato, per qualche anno stia lontano da Sanremo. Il contratto di Servizio pubblico della Rai prevede anche un’opera di educazione. Visto quello che abbiamo visto non possiamo poi meravigliarci se un insegnante bestemmia sui social per criticare il cambio di nome di un ministero. Già un insegnante, uno di quelli che dovrebbe educare i nostri ragazzi. E la cosa più incredibile è che anche su qualche quotidiano è stato difeso tanto ormai si può dire qualsiasi cosa, e la possono dire anche quelli che dovrebbero insegnare il linguaggio da usare nella vita quotidiana e quindi anche sui social.

Qualche ospite di quelli più anziani, talvolta addirittura accompagnati sul palco, il prossimo direttore artistico li lasci a casa. Sentire le loro voci strozzate di oggi e ripensare a 20/30 o 40 anni fa non serve allo spettacolo ma solo alla nostalgia di qualcuno con i capelli bianchi.