Toscana

La proposta della Regione contro le discriminazioni fondate sugli orientamenti sessuali

di Francesco Dal CantoProfessore associato di diritto costituzionale nell’Università di PisaCon delibera della Giunta regionale del 14 maggio la Regione Toscana ha approvato una proposta di legge contro le discriminazioni fondate sugli orientamenti sessuali.

Quanto al suo significato complessivo, tale iniziativa trova una sicura base di legittimazione nell’art. 3, comma 1, della Costituzione italiana, ove si afferma il principio secondo il quale tutti i cittadini “sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Previsione che, secondo un consolidato orientamento della Corte costituzionale, da una parte non deve essere considerata alla stregua di un elenco tassativo bensì come un catalogo aperto ad ogni forma possibile di discriminazione e dall’altra non si traduce in un generalizzato divieto per il legislatore di “distinguere” tra diverse categorie di individui ma anzi, al contrario, impone quelle differenziazioni rese necessarie dalla diversità delle situazioni cui essa può essere riferita, da ritenere quindi, caso per caso, “ragionevoli”, in quanto, per riprendere le parole del Giudice costituzionale, “un ordinamento che non distingua situazione da situazione non è pensabile, anche perché finirebbe col non disporre regola alcuna” (sent. n. 64 del 1961).

L’idea che ha portato all’adozione del progetto di legge della Toscana può trovare inoltre la propria ragione giustificatrice anche nell’art. 13 del Trattato dell’Unione Europea, poi ripreso nell’art. 21 della Carta di Nizza nel 2000, ove si prevede il divieto di quelle discriminazioni fondate “sul sesso, la razza e l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali”. Lo stesso Parlamento europeo, in una risoluzione dell’8 febbraio del 1994, ha esortato espressamente gli Stati membri a realizzare “la progressiva equiparazione sotto ogni aspetto della vita economica e sociale degli individui c.d. omosessuali, ciò che rappresenta il principio ispiratore della futura politica normativa comunitaria, così da realizzare la sostanziale eguaglianza delle persone indipendentemente dalle loro inclinazioni sessuali”.

Venendo più da vicino al testo predisposto dalla Giunta regionale, quest’ultimo si presenta composto di 16 articoli, suddivisi in cinque Capi, dedicati il primo ai “principi generali”, il secondo alla “formazione e lavoro”, il terzo alla “sanità e assistenza”, il quarto al “Comitato regionale per le comunicazioni” e infine l’ultimo alle “attività culturali, turistiche e commerciali”.

Si tratta di una vasta gamma di previsioni settoriali e del tutto disomogenee, che difficilmente si prestano ad una valutazione complessiva: in linea di massima, alcune di esse introducono di fatto delle “discriminazioni a rovescio”, nel senso che sono tese a favorire determinate categorie di portatori di interessi conseguentemente svantaggiando gli altri, ragione per cui esse si prestano ad essere valutate e discusse in relazione alla loro “ragionevolezza”; altre disposizioni appaiono pressoché inutili, in quanto già previste in altri testi di legge o addirittura espressione di principi assolutamente pacifici; altre ancora sono dirette ad una platea di destinatari assai vasta, ben al di là dell’ambito materiale della legge. Tutte, in ogni caso, sembrano caratterizzate dalla insoddisfacente tecnica legislativa utilizzata, fatto che non può non stupire se si pensa che la regione Toscana ha di recente elaborato un corposo “Manuale di tecnica legislativa”.

Quanto al Capo dedicato ai principi, si segnala, tra gli altri rilievi possibili, che lo stesso oggetto della legge non appare precisamente delimitato, dal momento che, come si deduce fin dal titolo, la legge è tesa a vietare le discriminazioni determinate sia dall’“orientamento sessuale” che dalla “identità di genere”. Sull’orientamento sessuale, forse sarebbe stato il caso di precisare che non tutti gli orientamenti sessuali possono essere tutelati ed anzi alcuni devono essere senz’altro repressi per garantire i diritti dei terzi (come, ad esempio, la pedofilia), mentre, riguardo alla “identità di genere”, può osservarsi come con tale termine non possano che intendersi le discriminazioni tra uomini e donne, che sono all’evidenza un problema diverso dall’altro, e la cui commistione con esso, ripetuta per quasi tutte le disposizioni, crea in più punti risultati paradossali e talora inaccettabili.

In materia di politiche del lavoro (Capo II), con una disciplina che, tra l’altro, avrebbe trovato la sua più naturale e razionale collocazione all’interno del recente T.U. in materia di educazione, formazione e lavoro (l. reg. n. 32 del 2002), si prevede di “sostenere le politiche per l’inserimento lavorativo delle persone discriminate per motivi derivanti dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere”, senza peraltro che sia chiaro come e da chi debba essere accertata l’avvenuta discriminazione e si acquisti di conseguenza il diritto a ricevere tale trattamento di favore, la cui “ragionevolezza”, quindi, risulta difficilmente valutabile.

Al Capo III vi sono poi una serie di disposizioni in materia di assistenza sanitaria: tra di esse, di maggiore interesse appare senza dubbio quella in tema di consenso informato ai trattamenti terapeutici, peraltro priva di riferimenti specifici alla questione della non discriminazione. In particolare, viene riconosciuto il diritto di chiunque, se maggiorenne, a designare preventivamente la persona a cui gli operatori sanitari devono riferirsi per ricevere il consenso ad un determinato trattamento sanitario, in caso di successiva incapacità dell’interessato e qualora vi sia grave pregiudizio della sua salute; previsione che, oltre a toccare un tema delicatissimo, che a parere di chi scrive esorbita dalle competenze regionali, non sembra compatibile con la legge statale n. 145 del 2001, di ratifica della Convenzione di Oviedo sulla medicina, ove si prevede che, in quelle stesse circostanze, spetti soltanto al medico decidere l’intervento.

Il Capo IV è interamente dedicato al Comitato regionale per le comunicazioni, organo disciplinato da una legge regionale del 2002, il quale, nell’ambito della sua attività di monitoraggio della programmazione radio-televisiva locale, viene chiamato a verificare la presenza di eventuali contenuti discriminatori nonché a garantire spazi di informazione ed espressione sulle tematiche trattate dalla legge. Infine, riguardo al Capo finale, si prevede sia di “favorire l’offerta di eventi culturali e forme di intrattenimento aperte ai diversi stili di vita …” sia si impone in capo agli esercenti pubblici e privati il divieto di rifiutare le prestazioni, ovvero di erogarle a condizioni deteriori, sulla base di un motivo riconducibile all’orientamento sessuale dell’utente. Previsione, quest’ultima, già da ritenersi contenuta nella legge n. 281 del 1998, sulla tutela dei consumatori, che garantisce, tra i diritti dell’utente espressamente dichiarati “fondamentali”, quello alla “correttezza, trasparenza ed equità” nei rapporti.

In conclusione, l’auspicio che forse potrebbe farsi è quello per cui il Consiglio regionale, che tra breve sarà chiamato a discutere il testo licenziato dalla Giunta, sappia non soltanto correggere i numerosi limiti dello stesso, ma, ciò che appare ancora più importante, sappia pure valutare la ragionevolezza e talora l’opportunità di alcune scelte che sono state compiute.