Toscana

Ogm, i «giochi» possibili per governare il rischio

Quando si parla di Ogm, bisogna «distinguere» tra due piani «inscindiblmente legati»: quello «strettamente bioetico», cioè «la relazione di tali prodotti con la salute umana e le popolazioni», e quello riferito «all’economia e al commercio», con le questioni di «giustizia» ad essi collegate. Ne è convinto mons. Elio Sgreccia, vice-presidente della Pontificia Accademia per la Vita, secondo il quale è da questo «intreccio» che bisogna partire per una «corretta valutazione dell’impatto etico degli organismi geneticamente modificati sulla vita dell’uomo e dei popoli». «Ogm: minaccia o speranza?» è il tema del seminario organizzato in Vaticano dal Pontificio Consiglio della Giustizia e pace.

Nell’introdurre i lavori il card. Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio consiglio della Giustizia e della Pace, ha sottolineato come «la posta in gioco» sia «alta e delicata, per le polarizzazioni che dividono l’opinione pubblica, per i contenziosi commerciali che esistono a livello internazionale, per le difficoltà a definire a livello scientifico una materia oggetto di ricerche in rapida evoluzione e per le complesse implicazioni etico-culturali ed etico-politiche». Da qui l’obiettivo del seminario di studio: «trovare, con equilibrio e nella verità, un punto di sintesi utile e fecondo di bene per gli uomini del nostro tempo, soprattutto per i poveri»: Su questi temi abbiamo rivolto alcune domande a mons. Sgreccia, che presiedeva la sessione su «Ogm e prospettive etiche».

Come valuta la Chiesa gli Ogm dal punto di vista etico?

«Il punto di partenza è la visione creazionistica della vita dell’uomo e del mondo, in base alla quale l’uomo può disporre delle altre forme di vita e produrre cose utili per la sua salute e alimentazione, e per la vita umana in generale, anche utilizzando esseri viventi, come da sempre l’uomo ha fatto. Non si vede, dunque, come si possa proibire di manipolare anche geneticamente i prodotti della terra per renderli migliori, cioè per adattarli meglio alle nostre condizioni di vita. L’uomo, in altre parole, è sempre intervenuto sulle forme di vita, sia animali che vegetali, ad esempio modificando i prodotti naturali con gli incroci o gli innesti: adesso si può intervenire sui geni, e non esiste un divieto teologico per questo. Ciò non vuol dire, però, in nome del rispetto che l’uomo ha non solo come destinatario ma anche come custode dei beni dell’universo, che possa fare quello che vuole, vale a dire introdurre qualsiasi “gioco” nelle specie».

Quali sono, allora, le condizioni da rispettare per un uso «corretto» degli Ogm?

«Innanzitutto la valutazione dei possibili rischi, attraverso criteri simili a quelli che si usano per mettere in commercio dei farmaci e che prevedono forme di sperimentazione controllata. Altrettanto essenziale è la capacità di “governare” il rischio, riducendolo al minimo ed essendo in grado di gestirne gli effetti prima di introdurre il prodotto sul mercato. Va poi garantita la trasparenza: la gente ha il diritto di sapere e di scegliere cosa mangiare, e l’etichettatura è un elemento fondamentale. Da ultimo, c’è da salvaguardare la biodiversità, cioè la ricchezza della varietà delle specie presenti nel mondo, e che rappresentano un bene in sé, non solo per noi, ma per le generazioni future».

I Paesi in via di sviluppo sono visti da molti come un «mercato ideale» di diffusione degli Ogm, anche per vincere la fame nel mondo. È così?

«Astrattamente, gli ogm potrebbero rivelarsi uno strumento per combattere fame e povertà: senza regole, però, rischiano di ridursi ad una sorta di “beffa” proprio per i Paesi poveri, che potrebbero venire “colonizzati” da quelli ricchi grazie ad una sorta di dipendenza commerciale. Non esiste bioetica senza etica economica, e per gli Ogm bisogna tenere presente che una volta seminati, non sono capaci di “riprodursi”. La seconda seminagione deve avvenire, dunque, comprando le sementi da chi le produce, cioè i Paesi ricchi, che potrebbero diventare così una sorta di catenaccio per i Paesi poveri. Un esempio per tutti: il “golden rice”, cioè il riso modificato geneticamente tramite l’inserimento di vitamine prese da un altro vegetale. Tale riso migliora la salute, e per la Cina o altri Paesi può costituire una grande risorsa: se però le ditte di distribuzione targate Usa condizionano la vendita del seme e creano dipendenza, è un vantaggio che si ritorce contro i Paesi poveri».M.M.N.