Toscana
E il credente si scoprì debole
La ripresa del tema dell’esperienza religiosa è, del resto, documentata da vari fenomeni sociali, a partire dalla diffusione dei nuovi movimenti religiosi e dai recenti flussi in Occidente di soggetti di origine islamica che portano sulla scena pubblica l’influenza dell’Islam. «Ma il primato dell’esperienza nelle nuove forme di religiosità dice ancora Garelli emerge anche nelle forme più vitali delle religioni cristiane, soprattutto all’interno dei movimenti e dei gruppi di militanza religiosa». È così che si scopre che il grado di influenza delle convinzioni religiose in alcuni ambiti di vita è molto elevato. Stando infatti ad una recente ricerca raccolta dallo stesso Garelli, in collaborazione con Gustavo Guizzardi ed Enzo Pace, nel volume Un singolare pluralismo, edito dal Mulino (pp. 336, euro 24,00) con il sottotitolo «Indagine sul pluralismo morale e religioso degli italiani» , gli italiani sarebbero piuttosto influenzati dalla religione nello stabilire i criteri di bene e di male, così pure nelle decisioni più importanti.
Inoltre, circa la metà del campione intervistato per la ricerca (oltre 2 mila persone in tutta Italia) «attribuisce grande rilevanza ai riti religiosi per solennizare le tappe fondamentali della vita (quali la nascita, il matrimonio e la morte), mentre un altro 20-22% della popolazione vi riconosce un’importanza medio-alta». Al di là di questo, la maggioranza degli intervistati si definisce «credente debole».
Nei giorni scorsi alcuni giornali hanno parlato anche di «rivincita della preghiera», con un incremento del 4,5% rispetto ad una decina di anni fa delle persone che almeno qualche volta pregano. In base a quanto riportato ad esempio da «Repubblica» (lunedì 12 gennaio), sembra che poco meno del 35% degli italiani preghi ogni giorno, il 17,2% più di una volta alla settimana e il 9,4% almeno una volta alla settimana. Uno su 10 una volta al mese. Pregano più le donne e si comincia a pregare di più superati i 35 anni di età. A non pregare per niente resterebbero poco più di 13 italiani su cento.
Ma «il rapporto con la divinità e con il sacro tornando alla ricerca di Garelli si esprime anche attraverso i simboli», ad «un insieme di oggetti sacri che nella nostra cultura e tradizione vanno dalle immagini dei santi a medaglie raffiguranti figure religiose, da uno strumento di preghiera come il rosario ad oggetti che richiamano le qualità straordinarie di alcuni luoghi sacri (acqua di Lourdes), ecc. Si tratta perlopiù di segni della religiosità popolare, alcuni dei quali sono però così diffusi da interessare anche soggetti che non si riconoscono in questo tipo di sensibilità religiosa».
Fatto sta che il possesso di un oggetto sacro è assai diffuso tra gli italiani, interessando quasi il 90% degli individui. La casa è il luogo per eccellenza dove si conservano queste immagini e questi oggetti (93%). C’è anche un buon 30% che li tiene in macchina. La maggior parte di chi fa ricorso a questi oggetti è convinto che abbiano una funzione positiva, «anche se l’intensità di tale convinzione spiega ancora il sociologo varia a seconda dei casi. Il 62% vi attribuisce un medio-alto potere benefico, l’11% li considera poco influenti, il 26% non vi attribuisce alcuna influenza positiva. Il fatto dunque di possedere un oggetto sacro (medaglietta, immagine, ecc.) non si accompagna necessariamente alla convinzione che detto oggetto svolga una funzione di protezione o d’aiuto nella propria vita. L’idea che questi oggetti sacri abbiano un potere protettivo conclude Garelli è assai più diffusa tra le donne che tra gli uomini».
a) gli individui che sono contrari a un rapporto stretto fra religione e politica e che sono soddisfatti dell’attuale situazione, in quanto vi ravvisano una debole influenza della religione sulla politica (il 25% delle persone interpellate);
b) gli individui che sono contrari a un rapporto stretto fra religione e politica e che sono insoddisfatti dell’attuale situazione, in quanto ritengono che la religione abbia invece un rilevante ruolo politico (il 48%);
c) gli individui che sono favorevoli a un rapporto stretto fra religione e politica e che sono soddisfatti dell’attuale situazione, in quanto vi intravedono una forte influenza della religione sulla politica (l’8%);
d) gli individui che sono favorevoli a un rapporto stretto fra religione e politica e che sono insoddisfatti dell’attuale situazione, in quanto credono che la religione abbia una debole incidenza sulla politica (il 7%);
e) gli individui che assumono stati intermedi o di sostanziale indifferenza su entrambe le dimensioni (il 12%).
Semplice e difficile al tempo stesso la risposta: «Perché il Dio in cui crediamo dice Barsotti è il Dio dell’alleanza, che ha voluto stabilire un rapporto, che ha reso possibile un incontro nostro con Lui. Ma ancora non è una risposta vera. La preghiera presuppone un grande mistero, il mistero dell’Incarnazione. Dio si è fatto uomo. Facendosi uomo può parlarmi e io posso parlare a Lui. La comune natura rende possibile un contatto, un incontro. E la preghiera per i cristiani è proprio questo: parlare ad una persona vivente. Ma tutto è possibile perché è Dio che ha preso l’iniziativa. Dunque, è lui che prega. La preghiera nostra presuppone Lui. Non potremmo parlare a Lui senza che prima Lui parli a noi. E la nostra preghiera tanto più è vera, quanto più noi sentiamo che è Lui il primo che parla, il primo che entra nella nostra vita. E ci dà la speranza, ci viene in soccorso, ci conosce e ci ama. La preghiera presuppone dunque prima di tutto la fede. È la fede che dà la possibilità della preghiera. Il dono che l’uomo fa di sé a Dio è il dono della sua povertà e dei suoi peccati. Lui non può chiederci altro, anche perché l’unica cosa che non ha è il peccato. Lo riceve da noi. Si è fatto uomo per addossare su di sé le nostre pene e i nostri peccati».
E se qualcuno chiedesse a don Barsotti «insegnami a pregare», cosa risponderebbe il sacerdote teologo e poeta? «Prima di tutto gli direi che Dio è con lui, che gli parla, che lo ama. Se si riesce a pensare che c’è un Dio che ci ama, la preghiera nasce da sola. Una delle cose più grandi per l’uomo è sentire che vi è un’altra creatura che lo ama, che pensa a lui. Sentirsi pensati, amati, è la gioia più grande. Non per nulla il fidanzamento è il periodo più ricco che l’uomo viva, perché è un rapporto d’amore che nasce dalla consapevolezza e dall’esperienza di amare e di essere amati». «Chiedete e vi sarà dato», dice il Vangelo.
Dunque, nella preghiera si possono chiedere cose anche molto terrene? «Possiamo chiedere tutto risponde Barsotti . Dio viene incontro a noi così come siamo e noi siamo di carne, siamo piccoli. Dio non dimentica la nostra povertà e la nostra pochezza. Ci ha detto Lui stesso di chiedere il pane quotidiano, ovvero tutto quello che riguarda i bisogni elementari dell’uomo. Con Dio siamo in un rapporto di amicizia, anche se un po’ strano, perché da una parte c’è Lui che è tutto e dall’altra ci siamo noi che siamo nulla. Ma se Lui ci ama così come siamo deve venire incontro ai bisogni reali dell’uomo, che sono anche quelli dello stipendio, di un amore umano, di una certa felicità, di un certo successo, anche sul piano sociale. Tutto questo il Signore lo sa. Non ci condanna per il fatto che sentiamo questi bisogni. Ma se fossimo presi dall’amore di Dio questi bisogni cadrebbero. Chi è convinto di essere amato da Dio può fare a meno di tutto. In questo senso la preghiera ci spoglia dei nostri bisogni, perché è un dono più grande di quanto possono esserlo i bisogni dell’uomo».