Toscana
In Uganda con la missione nel sangue
Tornando per le vacanze in Italia nel 1964, gli fu chiesto di dare una mano, per qualche mese, nella formazione dei seminaristi comboniani in Inghilterra. Come si sa non c’è niente di più stabile delle assegnazioni provvisorie e così questi pochi mesi, come lui amava ripetere, si trasformarono in pochi anni, 25 per l’esattezza!
In questo tempo p. Luciano non cedette mai alla tentazione di considerarsi fallito o inutile perché lontano dalla missione. Al contrario si buttò anima e corpo in questo nuovo incarico. Ogni tanto Luciano provava a ricordare che non era troppo vecchio per la missione, ma i superiori facevano sempre orecchio da mercante. Era difficile trovare comboniani disposti a lavorare in Inghilterra e faceva comodo contare su una persona affidabile in tutto e per tutto. Credo che anche lui si fosse ormai scoraggiato e avesse gettato la spugna. Sennonché nel 1990, quando ormai aveva 62 anni, riuscì nel suo intento e tornò in Uganda. Come un ragazzino si rimise all’opera.
Il St. Joseph’s College di Ombaci nel Nord Uganda (fondato dai comboniani), ma anche la parrocchia di Ombaci lo videro instancabile protagonista per cinque anni. Ma questo spazio non era sufficiente per questo pretino piccolo di statura ma gigantesco nel cuore e l’impegno. Si dette da fare per dare vitalità sia al movimento YCS (studenti cristiani ugandesi) nella Diocesi di Arua che all’intera pastorale giovanile della diocesi.
Per avere un’idea delle dimensioni del suo lavoro, basti pensare che adesso questa diocesi ne conta due e che al tempo era larga ben 16,000 Kmq, con 5 lingue (e tribù) principali (che neanche il vescovo parlava…). Era difficile trovare Luciano in casa. Più facile era trovarlo in diocesi, nell’ufficio YCS o …per strada, con la sua Land Cruser gialla (che riuscì a finire in pochi anni) sempre piena di giovani rumorosi e con l’immancabile capellino in testa.
Ma anche questo non bastava per una tempra come la sua. Ormai i seminari diocesani ugandesi erano ben avviati e solo pochi missionari vi erano ancora coinvolti. I preti, almeno nella diocesi di Arua erano già tanti e bravi. Era tempo di aiutare la Chiesa d’Uganda a crescere nella missione. Dopotutto fu proprio in Uganda, nel 1969, che Paolo VI, primo Papa in Africa nei tempi moderni, ebbe ad invitare gli africani ad essere missionari di loro stessi.
Come se fosse un altro dei suoi molti impegni a tempo pieno p. Luciano si buttò anima e corpo nella promozione vocazionale. Per la missione, sì, ma anche per la Chiesa locale. Nonostante i suoi 60 anni riusciva ad infondere in tutti entusiasmo e gioia.
E qui la sua storia si mescola indissolubilmente con la mia. Era strano trovare due toscani nella stessa comunità, visto che la nostra regione non ha mai avuto molti missionari. Stare con lui fu per me una scoperta continua. Essendo il giovane della comunità, pur se occupatissimo curato della parrocchia, presi a collaborare con lui nel seguire i giovani aspiranti comboniani. Di lì a poco lui se ne sarebbe andato. Una volta ancora, stavolta giovane di 67 anni (!) fu trasferito a Kampala per coordinare il lavoro vocazionale dell’intera Uganda, il National Vocation Promoter. Così, anche se molto lontani, avremmo ancora lavorato assieme coi giovani. Avrete già indovinato che a Kampala divenne anche parte del team nazionale del YCS!
Furono anni belli, anzi… bellissimi. La nostra cooperazione era feconda e lui accettò, alla sua verde età, di prendersi cura del lavoro vocazionale in Kampala e nell’est, mentre io mi dedicai soprattutto al sud e ovest del paese. Il lavoro era comunque immenso.
Ben presto si impegnò anche nella formazione delle ragazze di alcune congregazioni di suore locali. Naturalmente p. Luciano prese in mano anche la promozione vocazionale e missionaria della diocesi e conservò il suo incarico nel YCS sia in diocesi che a livello nazionale.
L’anno scorso aveva celebrato il 50° di ordinazione, ma pochi ci credevano; sembrava ancora un ragazzino! Ultimamente aveva avuto anche qualche problema di salute e spesso gli ripetevo, non troppo gentilmente, che doveva ridurre e farlo drasticamente. La sua risposta invariabile era che… tutto ciò che faceva andava fatto e se non c’erano altri non poteva accampare scuse.
La sua brutale uccisione durante la notte tra il 30 e il 31 marzo, ha lasciato tutti senza parole. Quanta gente, toccata dalla sua vita, ha pianto lacrime sincere. Ancora è difficile sapere cosa sia successo e perché sia successo e forse non lo sapremo mai. Quello che è sicuro è che non ci dimenticheremo facilmente della sua presenza in mezzo a noi, sorridente, col suo rosario di legno attaccato alla cintola.
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