Toscana

In Uganda con la missione nel sangue

Nella notte tra il 30 e il 31 marzo scorso venne ucciso in Uganda, nella sua missione di Laybi, padre Luciano Fulvi, un comboniano originario di Uzzano, in diocesi di Pescia, dove ancora risiedono i suoi familiari. Dall’Uganda ci invia questa corrispondenza un altro comboniano toscano, il fiorentino padre Maurizio Balducci che con padre Luciano ha collaborato a lungo.di p. Maurizio Balduccimissionario comboniano in UgandaPadre Luciano, originario di Uzzano (PT) seminarista diocesano, ma poi ordinato prete comboniano giunse giovanissimo in Uganda, nel 1953, e subito portò una ventata d’aria nuova. In quegli anni prima dell’indipendenza l’educazione era una delle priorità dei missionari. I comboniani avevano ancora in mano tutte le scuole superiori del nord Uganda, scuole così rinomate che anche da Kampala molti studenti vi si recavano per studiare. P. Luciano fu destinato ad una delle più prestigiose, il Nyapea College, fondato e diretto dai Fratelli del Sacro Cuore, perlopiù americani. Si mise subito ad insegnare inglese e religione a questi futuri leaders ugandesi con l’entusiasmo e la dedizione che saranno una sua costante per tutta la vita così che ben presto diventò più cappellano che insegnante. Allo stesso tempo si mise a studiare la lingua Alur e non si risparmiava neanche nel lavoro pastorale parrocchiale che, in quei tempi ancora «pionieristici», non mancava di aneddoti…

Tornando per le vacanze in Italia nel 1964, gli fu chiesto di dare una mano, per qualche mese, nella formazione dei seminaristi comboniani in Inghilterra. Come si sa non c’è niente di più stabile delle assegnazioni provvisorie e così questi pochi mesi, come lui amava ripetere, si trasformarono in pochi anni, 25 per l’esattezza!

In questo tempo p. Luciano non cedette mai alla tentazione di considerarsi fallito o inutile perché lontano dalla missione. Al contrario si buttò anima e corpo in questo nuovo incarico. Ogni tanto Luciano provava a ricordare che non era troppo vecchio per la missione, ma i superiori facevano sempre orecchio da mercante. Era difficile trovare comboniani disposti a lavorare in Inghilterra e faceva comodo contare su una persona affidabile in tutto e per tutto. Credo che anche lui si fosse ormai scoraggiato e avesse gettato la spugna. Sennonché nel 1990, quando ormai aveva 62 anni, riuscì nel suo intento e tornò in Uganda. Come un ragazzino si rimise all’opera.

Il St. Joseph’s College di Ombaci nel Nord Uganda (fondato dai comboniani), ma anche la parrocchia di Ombaci lo videro instancabile protagonista per cinque anni. Ma questo spazio non era sufficiente per questo pretino piccolo di statura ma gigantesco nel cuore e l’impegno. Si dette da fare per dare vitalità sia al movimento YCS (studenti cristiani ugandesi) nella Diocesi di Arua che all’intera pastorale giovanile della diocesi.

Per avere un’idea delle dimensioni del suo lavoro, basti pensare che adesso questa diocesi ne conta due e che al tempo era larga ben 16,000 Kmq, con 5 lingue (e tribù) principali (che neanche il vescovo parlava…). Era difficile trovare Luciano in casa. Più facile era trovarlo in diocesi, nell’ufficio YCS o …per strada, con la sua Land Cruser gialla (che riuscì a finire in pochi anni) sempre piena di giovani rumorosi e con l’immancabile capellino in testa.

Ma anche questo non bastava per una tempra come la sua. Ormai i seminari diocesani ugandesi erano ben avviati e solo pochi missionari vi erano ancora coinvolti. I preti, almeno nella diocesi di Arua erano già tanti e bravi. Era tempo di aiutare la Chiesa d’Uganda a crescere nella missione. Dopotutto fu proprio in Uganda, nel 1969, che Paolo VI, primo Papa in Africa nei tempi moderni, ebbe ad invitare gli africani ad essere missionari di loro stessi.

Come se fosse un altro dei suoi molti impegni a tempo pieno p. Luciano si buttò anima e corpo nella promozione vocazionale. Per la missione, sì, ma anche per la Chiesa locale. Nonostante i suoi 60 anni riusciva ad infondere in tutti entusiasmo e gioia.

E qui la sua storia si mescola indissolubilmente con la mia. Era strano trovare due toscani nella stessa comunità, visto che la nostra regione non ha mai avuto molti missionari. Stare con lui fu per me una scoperta continua. Essendo il giovane della comunità, pur se occupatissimo curato della parrocchia, presi a collaborare con lui nel seguire i giovani aspiranti comboniani. Di lì a poco lui se ne sarebbe andato. Una volta ancora, stavolta giovane di 67 anni (!) fu trasferito a Kampala per coordinare il lavoro vocazionale dell’intera Uganda, il National Vocation Promoter. Così, anche se molto lontani, avremmo ancora lavorato assieme coi giovani. Avrete già indovinato che a Kampala divenne anche parte del team nazionale del YCS!

Purtroppo p. Luciano non durò molto in questo incarico! Alla fine delle sue vacanze, nel ’97, mentre si trovava in Inghilterra pronto per partire, quella stessa notte, per l’Uganda, accusò dei dolori al petto. Per tranquillizzarsi, approfittò di trovarsi ancora in Inghilterra per… una visitina dal dottore. Non lo fecero neanche rialzare dal letto! Aveva avuto un infarto e doveva essere operato d’urgenza! E lui che insisteva che doveva tornare in Uganda.L’operazione di by-pass andò bene ma la convalescenza fu molto lunga. In Uganda si dovette pensare a sostituirlo ed un ugandese prese il suo posto. Luciano sembrava un uomo finito: con la sua età e tutti i suoi by-pass si dubitò perfino che potesse mai tornare! E invece nel 1998 riapparve all’orizzonte. E subito fu chiaro che non era finito affatto. Siccome adesso era libero dal lavoro vocazionale divenne il cappellano della facoltà di Economia di Kampala (MUBS) e di diverse scuole superiori. Si era anche preso l’incarico fisso nella formazione di due noviziati di suore!Nel 1999 il promotore vocazionale ugandese fu assegnato ad altro incarico e si dovette pensare ad un sostituto. Quello.. fui io! Dover coordinare un lavoro a livello nazionale mi intimoriva e turbava e la mia più grande consolazione era quella di sapere che p. Luciano era lì, con la sua presenza rassicurante e con la sua grande esperienza. Colui che era stato il mio capo era adesso mio cooperatore. Ma lui di questo non si preoccupava affatto. «Non mi interessa chi ha in mano il mestolo», mi diceva sempre, «purché aiutiamo i giovani a trovare la loro strada».Fu questo il tempo in cui ho vissuto gomito a gomito con lui ed apprezzato, sempre di più, la sua presenza e saggezza. Da veri amici c’era tra noi stima e sintonia. Quante partite a carte giocate assieme alla sera; e come si arrabbiava quando perdeva!

Furono anni belli, anzi… bellissimi. La nostra cooperazione era feconda e lui accettò, alla sua verde età, di prendersi cura del lavoro vocazionale in Kampala e nell’est, mentre io mi dedicai soprattutto al sud e ovest del paese. Il lavoro era comunque immenso.

Immaginate il nostro shock quando nel 2002 gli fu chiesto di trasferirsi a Gulu, al Nord, a dirigere una grande comunità locale. Luciano era intramontabile quanto obbediente, disponibile e… umile. Ancora una volta disse di sì (allora aveva 74 anni ma nessuno ci credeva!) e ricominciò… da capo. Gli regalammo un telefonino per tenersi in contatto con noi, certi che con la sua partenza la nostra comunità non sarebbe più stata la stessa. Gulu è il capoluogo della zona del nord devastata da una guerra interminabile e assurdamente crudele! Diventò superiore della comunità e cappellano del St. Joseph’s College, Layibi, che è attaccato alla nostra comunità. Diventò anche il cappellano della nostra scuola tecnica e vedendo che in città, per mancanza di preti, tanti studenti erano abbandonati a se stessi, diventò anche il cappellano di tre grandi scuole superiori.Spesso anche la Messa domenicale poteva trasformarsi in tragedia e p. Luciano mi raccontava che una volta un elicottero dell’esercito attaccò i ribelli proprio nella zona, così che dopo il canto finale con gli studenti ebbero una lunga (tranquilla?) chiacchierata distesi sul pavimento, in attesa che la battaglia cessasse…

Ben presto si impegnò anche nella formazione delle ragazze di alcune congregazioni di suore locali. Naturalmente p. Luciano prese in mano anche la promozione vocazionale e missionaria della diocesi e conservò il suo incarico nel YCS sia in diocesi che a livello nazionale.

L’anno scorso aveva celebrato il 50° di ordinazione, ma pochi ci credevano; sembrava ancora un ragazzino! Ultimamente aveva avuto anche qualche problema di salute e spesso gli ripetevo, non troppo gentilmente, che doveva ridurre e farlo drasticamente. La sua risposta invariabile era che… tutto ciò che faceva andava fatto e se non c’erano altri non poteva accampare scuse.

La sua brutale uccisione durante la notte tra il 30 e il 31 marzo, ha lasciato tutti senza parole. Quanta gente, toccata dalla sua vita, ha pianto lacrime sincere. Ancora è difficile sapere cosa sia successo e perché sia successo e forse non lo sapremo mai. Quello che è sicuro è che non ci dimenticheremo facilmente della sua presenza in mezzo a noi, sorridente, col suo rosario di legno attaccato alla cintola.

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