Toscana
Ostaggi in Iraq, dietro i fondamentalisti una regia italiana
Ci sono ancora tre ostaggi italiani in mano agli iracheni
«Il terreno era divenuto per loro ostile diversi giorni prima del rapimento. Esattamente da quando, lo scorso 9 aprile, era trapelata la notizia che altri italiani erano stati rapiti tra Al Fallujah e Karbala».
Era una notizia infondata?
«Credo di no. Quegli italiani appartenevano ai servizi di intelligence, ma furono rilasciati quasi subito grazie a trattative tra addetti ai lavori. Un po’ quello che è successo per la troupe di Canale 5».
Ed invece per Salvatore Stefio, Umberto Cupertino e Maurizio Agliana la sorte è stata diversa
«Con buona probabilità, insieme al collega poi giustiziato, avevano deciso di lasciare il paese. Si erano diretti in Giordania, ma a Al Fallujah erano stati intercettati e rapiti. Probabilmente venduti dal loro tassista. Addosso a loro i rapitori hanno trovato armi e documenti che provavano l’appartenenza ad una multinazionale Usa incaricata della ricostruzione del paese».
In quante mani sono passati i prigionieri?
«I primi rapitori appartengono ad un gruppo denominatosi Falangi verdi islamiche, un nome di copertura per una banda di criminali. Con questi il governo italiano ha iniziato le prime trattative: l’ottimismo dei primi giorni del premier Berlusconi non può che essere motivato dal fatto che qualcosa ai rapitori era stato dato e molto anche promesso. Ma in trenta giorni i tre sono finiti in almeno altri due gruppi di combattimento, motivati da un rifiuto antioccidentale e da un credo islamico fondamentalista che ben si sposa con i disegni strategici di Al Qaeda. È da questi che sono partite le richieste al nostro Paese di liberare i prigionieri curdi e cambiare la politica italiana nell’area».
Cosa vogliono i rapitori?
«Alzare la posta. Acquisire potere contrattuale nel loro paese e prestigio nei confronti delle comunità islamiche all’estero. I rapitori acquisiscono adesso carte da gettare sul tavolo al momento della spartizione del potere il prossimo 30 giugno».
Come giudica lo stato delle trattive per la liberazione degli ostaggi?
«Le iniziative di associazioni religiose, civili ed umanitarie sono lodevoli ma non hanno prodotto risultati. Non sono queste i contraenti ideali per chi detiene gli ostaggi, bensì il governo italiano come responsabile delle forze in Iraq e di una politica filo-americana».
Dov’è la regia di tutto questo?
«Io parlerei di due regie. Una, in loco, detiene gli ostaggi. Una, di matrice politica, ritengo sia da ricercare in Italia, in quell’aerea delle moschee del nord e centro del nostro Paese, che già in passato si sono distinte per attivismo fondamentalista islamico. Il Governo italiano pare aver intrapreso la strada giusta: colpire dal punto di vista giudiziario i gruppi fondamentalisti, acquisendo in questo modo una contropartita utile per la conclusione delle trattative. Conclusione che prevedo non imminente, ma legata all’evoluzione della crisi irachena».
Come giudica la vicenda delle torture dei soldati americani ai prigionieri iracheni?
«È da condannare dal punto di vista morale. Ma è anche un errore tecnico: perché da queste persone, semplici gregari non si sono avute informazioni utili alla strategia del controterrorismo».
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