Toscana

E anche in Toscana le stagioni sono impazzite

di Simone PitossiGli inverni sono anomali con scarse precipitazioni. La primavera arriva prima e l’autunno termina più tardi. Cambiano anche intensità e provenienza dei venti. E sono sempre più frequenti le siccità estive. Questi in sintesi i mutamenti climatici che hanno interessato la Toscana a partire dal 1990. Di questo e anche di altro si è parlato al quarto meeting di San Rossore (15 e 16 luglio) dedicato proprio ai mutamenti dei clima e ai suoi devastanti effetti sulla natura.

Ad illustrare come è cambiato e come sta cambiando il clima nella nostra regione è Giampiero Maracchi, direttore dell’Ibimet, l’Istituto di biometeorologia del Cnr. «Negli ultimi 10 anni – spiega Maracchi – abbiamo registrato un aumento della temperatura del Mediterrano di circa 4 gradi centigradi e questo ha causato piogge molto intense ed improvvise favorendo frane e alluvioni». Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti, in varie zone della regione. «Nel ’96 – aggiunge – in Versilia e Garfagnana in sole 6 ore sono caduti 500 mm di pioggia, più di un terzo della media annuale che è di 1200 mm. Nel ’99, nei pressi di Grosseto, in mezz’ora sono caduti 60 mm di pioggia e lo scorso settembre, quando si è verificata l’alluvione a Carrara, in poche ore sono caduti 400 mm di pioggia quando la media annuale è di 1000 mm. In tutti e tre i casi nella zona marina adiacente a queste zone è stato registrato un aumento della temperatura del mare». Gli effetti si sono manifestati immediatamente.

«A partire dagli anni ’90 – ha proseguito Maracchi – le compagnie assicurative hanno pagato molto di più per risarcire i danni derivanti da fenomeni meteo estremi. Gli inverni hanno fatto registrare pochissime precipitazioni, la primavera è arrivata in anticipo, anche di 20 giorni, e l’autunno è finito più tardi con tutte le conseguenze immaginabili sui cicli biologici relativi a coltivazioni e migrazioni. Ad esempio il girasole, la vite e il grano maturano anche 10 giorni prima. Aumentano le siccità estive, specialmente in Maremma, nel Mugello e lungo tutta la costa. A Grosseto sono dimuniti i giorni in cui soffiano la tramontana e il ponente. Infine gli effetti sulla salute: l’estate scorsa, in seguito all’ondata di caldo, c’è stato un aumento del 60 per cento dei ricoveri ospedalieri». Gli sbalzi improvvisi del clima, conclude il meteorologo, «hanno effetti devastanti sul fisico, ancor più gravi per le categorie più a rischio come gli anziani e i bambini».

Un «termometro» locale di questi mutamenti è il maggiore fiume della nostra regione. «L’Arno – spiega Giovanni Menduni, direttore dell’Autorità di bacino del fiume – è passato in 73 anni, dal 1930 al 2003, da una portata media di 20 metri cubi al secondo a 13,5: il 30 per cento in meno. Nel 2003 è stata appena di 7,3 metri cubi al secondo. L’Arno ha sempre avuto un andamento periodico e per il carattere “torrentizio“ non ce ne accorgiamo. Ma la tendenza è a decrescere». I dati sono stati registrati dalla stazione di Subbiano in provincia di Arezzo attiva da oltre settant’anni. «La colpa – conclude il professore – è delle precipitazioni piovose che diminuiscono di volume, dei giorni di pioggia che sono sempre meno e dell’aumento delle temperatura. Fenomeni che riguardano tante altre parti del mondo».

Gli effettiIn città palme al posto dei plataniSpecie toscane in via di estinzione e specie esotiche che in Toscana trovano il loro habitat naturale. Pesci tropicali che nel Tirreno si riproducono come nel Mar Rosso e piante che si ritirano a quote progressivamente sempre più alte sui monti dell’Appennino. E ancora, tanti fenomeni che, pur di gran lunga meno drammatici di un’estinzione, sono comunque segnali di un mutamento, come nel caso delle migrazioni e delle fioriture sfalsate nei tempi. Il Repertorio naturalistico toscano (in sigla «Renato») segnala 248 specie in pericolo più o meno grave, a cui si aggiungono 318 considerate «vulnerabili».

Animali. Uccelli nidificanti come il calandro e la tortavilla (una specie di allodola conosciuta in Toscana anche come «mattolina») che abitano zone di alta montagna dove 25 anni fa non c’erano; uccelli esotici come il bengalino che, fuggiti a situazioni di cattività, si stanno ben ambientando nelle nostre zone umide (mille coppie stimate solo nel Padule di Fucecchio); anfibi che sono spariti come l’ululone dal ventre giallo, un tempo diffuso sul Monte Morello.

Mare. Per quanto riguarda il mare, i dati degli ultimi 10 anni confermano un aumento della temperatura (nell’estate 2003 sono state raggiunte temperature «caraibiche»). Non è un caso che per i pescatori toscani sia sempre più abituale trovarsi nelle reti il pesce serra, il pesce palla o il pesce pappagallo, cioè specie tipiche del Mar Rosso.

Vegetazione. Alcune specie tradizionali si stanno ritirando o stanno salendo in quota, mentre da sud fanno capolino piante, anche esotiche, che prima si trovavano solo sotto Roma. Per le nostre specie, quasi tutte di provenienza settentrionale, la disponibilità di acqua, anche nella stagione più calda, è essenziale. Per questo si comincia a pensare alla possibilità di piantare palme al posto dei platani per mantenere il verde delle città.

Il casoNon c’è più primavera per le ciliege di LariUna piccola vicenda locale per spiegare in concreto cosa può succedere con i cambiamenti climatici globali. È quella raccontata da Ivan Mencacci, il sindaco di Lari, piccolo comune della provincia di Pisa, storicamente conosciuto per i suoi alberi di frutta e in particolare per le sue ciliegie, rinomate fin dal Settecento, con le sue 20 qualità autoctone. «I cambiamenti climatici – racconta Mencacci – ci stanno portando via le tradizioni». Questa produzione, in primavera, era la prima possibilità di incasso per tanti contadini dopo l’inverno. In questi ultimi tempi ha invece registrato non poche difficoltà legate ad eventi metereologici estremi. «Magari è un luogo comune – conclude il sindaco – ma laddove non ci sono più mezze stagioni un prodotto primaverile come la ciliegia rischia molto, sia che si parli di una gelata di aprile come quella che ci è costata più di un terzo del prodotto, sia di una siccità come quella dell’anno scorso, con la differenza che mentre una gelata primaverile compromette il raccolto di un anno, la siccità può compromettere la stessa pianta».