Toscana

Le Acli: il lavoro in Toscana è diventato un problema

di Simone PitossiDa sessant’anni impegnate nella società. Sono le Acli, che quest’anno festeggiano l’importante traguardo. «A 60 anni di distanza restano salde e attuali le nostre tre fedeltà: alla Chiesa, al mondo del lavoro, alla democrazia: fedeltà che si traducono quotidianamente nell’attività formativa, nell’azione sociale, nella proposta per una crescita politica della società civile». È Paolo Martelloni, presidente regionale delle Acli, a sottolineare la vocazione di fondo dell’associazione. Martelloni è stato eletto proprio quest’anno dopo essere stato per 8 anni presidente della Acli di Livorno.

Quali sono oggi le vostre priorità?

«Dalla nostra ispirazione cristiana derivano la centralità della famiglia, le scelte per la cooperazione internazionale, la cultura dell’accoglienza e la ricerca di un nuovo modello di sviluppo che sia imperniato sulla sobrietà, sulla solidarietà, sulla valorizzazione della persona. La presenza forte nella società per dare una risposta concreta ai problemi e a i bisogni della gente si esplica attraverso la nostra rete associativa che ci vede profondamente radicati nel territorio. In Toscana, ad esempio, siamo presenti nel territorio con i Circoli, con i Nuclei aziendali e tematici, con il Patronato, radicato nei più piccoli centri attraverso le sue sedi zonali e di recapiti, con la Lega Consumatori Acli, con le Acli-Colf, con l’Unione Sportiva Acli, con le Acli-Terra e l’Associazione ambientalista Anni Verdi, con la Federazione Pensionati, con Acli-solidarietà E accanto alle strutture associative, i nostri servizi (a partire dal Patronato Acli, dall’Enaip, dal Caf Acli) e le imprese sociali come le società Acli service e le cooperative che fanno capo al sistema Acli».

Sessant’anni di vita costituiscono anche il momento per fare un po’ di bilancio. Il vostro è positivo o negativo?

«La forte crescita associativa è già una risposta significativa. Nella società noi troviamo domanda di Acli e questo accade perché abbiamo investito sul futuro. Abbiamo preferito stare fuori dai palazzi del potere e stare in mezzo alla gente. La nostra azione formativa si incentra sulla costruzione di un comune pensiero di condivisione di valori e di identità capaci di costruire percorsi condivisi di organizzazione di gestione coerenti con la missione e gli obiettivi dell’intero “Sistema Acli”. Questi ultimi anni sono stati caratterizzati dall’impegno a fare “rete”, a superare il tradizionale divario fra “movimento” (momento di progettazione, di proposta politica, di iniziative culturali) e servizi (attività tendenti a dare una risposta concreta, operativa, a determinati bisogni sociali). Il nostro impegno di crescita è stato proiettato al superamento di questo divario, non solo per attuare sinergie ma per coniugare in modo efficace proposta politica e impresa sociale. Per coniugare, insomma, il dire e il fare. Ciò è avvenuto non solo per una nostra scelta di politica associativa ma anche perché i mutamenti sociali in atto pongono in primo piano il concetto di sussidiarietà orizzontale e un nuovo rapporto fra welfare “pubblico” e privato–sociale La nostra scelta storica di non collateralismo ci ha poi fornito la capacità di essere interlocutori delle istituzioni e di portare nelle istituzioni locali la nostra “cultura aclista” intesa come espressione della società civile che rivendica un ruolo di pari dignità rispetto ai partiti».

Scelte coraggiose ne avete fatte? E momenti difficili ci sono stati?

«In questi sessanta anni non abbiamo mai rinunciato a scelte coraggiose. Abbiamo preferito affrontare, con tutti i rischi che ne potevano derivare, i problemi nuovi che la società poneva, piuttosto che far finta che non esistessero. Come nella vita di ognuno anche nella nostra associazione non sono mancati momenti non facili. Il abbiamo superati perché siamo stati fortemente ancorati alle idee ed ai valori che sono stati il fondamento della nostra associazione».

Lei è da pochi mesi presidente delle Acli regionali. Dal punto di vista sociale qual è la situazione della Toscana?

«Nel quadro nazionale la Toscana si caratterizza per i più bassi livelli di disuguaglianza e per una buona coesione sociale. Un contributo importante a tale risultato è svolto dalla famiglia. Accanto alla famiglia, un altro fattore di coesione sociale è dato dalla forte rete associativa del volontariato e dell’associazionismo di promozione sociale che coinvolgono centinaia di migliaia di persone con iniziative diffuse nel territorio Nella nostra azione quotidiana verifichiamo che i maggiori bisogni sociali si verificano quando l’assenza di reddito si unisce a isolamento, solitudine ,diversità mancanza di integrazione. Infatti le povertà estreme sono una caratteristica delle aree urbanizzate dove si è frantumato il rapporto interpersonale e chi è privo di un nucleo familiare come molti anziani è più esposto a cadere in situazioni di bisogno spesso drammatiche. Il quartiere, la strada che fino a qualche decennio fa erano luoghi d’incontro e di convivenza sociale oggi sono muti. Nei piccoli centri, la vita comunitaria, la rete associativa e quella familiare creano invece ben diverse condizioni e possibilità di intervento. Altri due campi connessi a questo sono il tema della casa , che è ancora oggi un dramma per le fasce più deboli (anziani, giovani, famiglie monoreddito) e il problema del lavoro che, a dispetto delle statistiche, è un grave problema nella nostra Regione specie per diplomati e laureati in quanto resta ancora difficile coniugare in modo efficace domanda e offerta di lavoro. Su questo campo occorre che le istituzioni, a cominciare da Regione ed Enti locali, diano prova di maggiore efficacia».

Quali saranno i punti fondamentali della sua azione?

«Nella formazione abbiamo dato vita ad un esperienza-pilota a livello nazionale: un laboratorio formativo dei responsabili del sistema Acli per effettuare una sintesi culturale della gestione associativa e della gestione imprenditoriale solidale. Intendiamo proseguire l’esperienza riunendo per ogni ambito territoriale i responsabili politici delle diverse soggettività che compongono il movimento delle Acli. E per innervare l’intero sistema dei contenuti etici e dei valori espressi dal movimento aclista sul piano esterno intendiamo batterci per i diritti di cittadinanza. È proprio la partecipazione dei cittadini, soprattutto se associati, la via per realizzare una democrazia compiuta. Da qui l’importanza del Patronato Acli, del Caf, delle associazioni specifiche a cominciare dalla Lega consumatori e l’importanza del progetto Welfare imperniato sulla crescita del “Welfare municipale”, dalla società della salute ai nuovi piani ragionali sanitario e sociale. Compito delle Acli è portare nelle istituzioni i problemi della gente e avviarne la soluzione attraverso un confronto con le istituzioni. Un altro impegno è quello di instaurare un diverso rapporto con le associazioni del “mondo cattolico”».

Che cosa chiedete alla Regione?

«Il nuovo Statuto dà ampio riconoscimento al principio di sussidiarietà e prevede spazi significativi per un nuovo rapporto fra istituzioni e società civile. Perché queste non restino enunciazioni di principio occorre avere strumenti idonei per instaurare uno stretto rapporto con le istituzioni. È quindi urgente ricostituire la Consulta regionale dell’Associazionismo ed lo è altrettanto costituire consulte provinciali. Alla Consulta deve poi aggiungersi, sull’esempio dell’Emilia-Romagna la Conferenza del terzo settore che deve essere uno strumento operativo per la concertazione. In secondo luogo, vorremo che si aprisse una riflessione sulla nuova legge elettorale della Regione Toscana con la quale viene abolito il voto di preferenza. In un momento come questo, in cui la partecipazione è a livelli minimi e il ruolo dei partiti fortemente contestato, ci sembra inopportuna la scelta fatta».La storia:Da «costola» dell’Azione cattolicaall’attività di formazione dei lavoratoriLa caduta del regime fascista pone ai cattolici italiani il problema di come inserirsi nel nuovo clima democratico. L’unica organizzazione è l’Azione cattolica italiana, direttamente dipendente dalla Santa Sede. Il concordato del 1929, pur legalizzandone l’esistenza, l’aveva però costretta a limitare l’apostolato nel campo del lavoro, in quanto il regime fascista non permetteva pluralità di associazioni. Per ovviare il divieto era così nato l’Istituto cattolico attività sociali (Icas).

È proprio l’Icas a promuovere un incontro a Roma, dal 26 al 28 agosto 1944, in una sala attigua alla chiesa di Santa Maria sopra Minerva, con la partecipazione di esponenti dell’Azione cattolica, sindacalisti aderenti alla corrente cristiana in seno alla Cgil (l’allora sindacato unitario sorto il 3 giugno ’44), politici e organizzatori sociali. Nasce così l’Associazione cristiana lavoratori italiani (Acli).

Due mesi dopo, il 20 ottobre ’44, la presidenza dell’Azione cattolica comunica la nascita delle Acli, precisandone i compiti: «Sono indipendenti da ogni partito politico e, benché sorgano sotto gli auspici dell’Azione cattolica sono autonome, sono rette con ordinamento proprio e svolgono la loro attività sotto la responsabilità dei propri organi direttivi. Sono aperte a tutti. Essendo loro fine principale la formazione cristiana delle coscienze dei lavoratori e la loro preparazione alla vita sociale, queste associazioni saranno assistite in modo speciale dai sacerdoti che ne dovranno essere l’anima».

Negli anni che vanno dal 1946 a tutto il 1948 l’impegno delle Acli è in gran parte sindacale, proprio per la loro definizione «di espressione della corrente cristiana in campo sindacale». Un impegno difficile, causa il collegamento tra il partito comunista e il sindacato. La situazione precipita in occasione dello sciopero generale proclamato per l’attentato a Togliatti, nel luglio ’48. Due mesi dopo un congresso straordinario delle Acli ritiene necessaria la creazione di un sindacato non legato ai partiti.

La nascita dei «sindacati liberi», la futura Cisl, impegna gran parte dei dirigenti più qualificati delle Acli, tanto da far temere una crisi dell’associazione, soprattutto perché si ritiene esaurito il compito specifico di «espressione delle corrente cristiana in campo sindacale». È monsignor Montini, nel settembre ’49, che dopo aver riportato l’apprezzamento del Santo Padre per l’operato dell’associazione ne sancisce «…l’indiscutibile opportunità della permanenza e della missione delle Acli».

Nel complesso le Acli sono ritenute un «centro di iniziativa» per un equilibrato sviluppo sociale e democratico, sempre nello spirito degli ideali cristiani e in piena armonia con lo spirito della Chiesa. Sul piano organizzativo sono fortemente ramificate e sviluppate, capaci di assolvere, una valida assistenza – da qui la nascita del patronato – oltre che di formazione. La struttura di base sono i circoli – alcune centinaia in Toscana – cui si affiancano i nuclei aziendali nei vari settori del mondo del lavoro.

Negli anni ’60 la vita delle Acli è contraddistinta dalle cosiddette «due fratture»: con la gerarchia ecclesiastica e con la Dc. Sono anni di intenso travaglio, da cui nasce il Mcl. Una nuova svolta viene dal congresso di Bologna del ’78 che riconferma la scelta (cominciata a Firenze nel ’75) per il superamento delle «fratture». Le Acli riaffermano l’intenzione di svolgere il loro ruolo all’interno della comunità ecclesiale e la ferma autonomia dai partiti. È il ritorno alle origini.

La schedaPaolo Martelloni, livornese, è il presidente regionale delle Acli eletto all’unanimità a seguito del Congresso dell’associazione che si è svolto quest’anno. L’associazione conta in Toscana oltre 40 mila aderenti (27.000 soci dei Circoli Acli e 13.000 delle associazioni specifiche) raggruppati in oltre 300 strutture di base. Vice presidenti sono Gabriele Parenti di Firenze e Pino Staffa di Pisa. Paolo Martelloni è stato per 8 anni Presidente delle Acli di Livorno ed è Consigliere Nazionale dell’Associazione.Ennio CicaliIl sito delle Acli