Toscana

Cosa insegna al mondo l’apocalisse dell’Ossezia

di Claudio TurriniDi orrore in orrore. Questo terzo anniversario dell’attentato alle Torri gemelle di New York non poteva esser celebrato in modo peggiore. Una strage di bambini in Ossezia, che rischia di innescare una nuova spirale di violenze nel Caucaso, mentre in Iraq i morti americani sono già oltre mille dalla fine delle ostilità e quelli civili cadono a decine ogni giorno. Giovanni Paolo II, ricordando gli «angeli di Beslan» e le tante vittime di ogni guerra, ha voluto concludere mercoledì scorso l’udienza con la sofferta preghiera a Dio di farci «comprendere che ogni fanciullo è ricchezza dell’umanità, e che la violenza sugli altri è un vicolo cieco che non ha sbocco sul futuro». Sul difficile momento storico e su che tipo di risposte dare al terrorismo abbiamo intervistato due toscani da anni impegnati sul fronte del dialogo e della pace: Massimo Toschi, consigliere del presidente della Regione per la pace, la cooperazione e i diritti umani e Franco Vaccari, presidente dell’Associazione «Rondine Cittadella della pace», di Arezzo.

«La storia non comincia l’11 settembre». Ne è convinto Franco Vaccari. Neanche la storia del terrorismo. Certo l’impatto mediatico è stato forte. Così «con un soprassalto eccessivo, dal nulla al tutto, si è dato il via ad una serie di campagne mediatiche che hanno giustificato risposte inadeguate nei confronti del terrorismo, come la guerra». Quell’evento, continua Vaccari, ci ha trovati impreparati: «Se ti svegli all’improvviso, e dici “brucia il mondo” allora hai subito un pretesto per ricorrere all’unica forma antica di risoluzione dei problemi, che poi non li ha mai risolti, cioè la guerra».

Una risposta sbagliata anche per Massimo Toschi, che fa subito un esempio: «In Iraq fino alla caduta di Saddam Hussein l’islamismo radicale non aveva spazio, ora è un pezzo di questo grande magma che sta stritolando il paese. Tutto quello che avviene in Iraq non è leggibile semplicemente con Al Zirqawi e Al Qaeda. Per esempio la vicenda delle due volontarie italiane (Simona Pari e Simona Torretta) sequestrate a Baghdad», secondo Toschi, è «opera di uomini degli ex-servizi di sicurezza di Saddam Hussein, che non sono degli islamisti radicali; un’operazione militare in piena regola, non un atto terroristico».

Per Massimo Toschi è sbagliato anche parlare genericamente di «terrorismo»: «Non esiste il terrorismo, esistono molti terrorismi, legati anche a situazioni e storie diverse, che richiedono approcci e risposte diverse». L’unica cosa che li accomuna è il rivolgersi «per definizione, sempre, contro persone innocenti. Non è uno scontro di guerra, è un’azione che vuole seminare il terrore tra la popolazione civile, che è inerme».

In questo scenario di terrore cosa ha rappresentato l’assalto alla scuola dell’Ossezia del Nord? Per Toschi «Beslan è un evento apocalittico che rivela in un attimo quello che avviene in tante parti del mondo ogni giorno e che spesso non è conosciuto perché non è sotto i riflettori. Secondo l’Unicef ogni giorno muoiono nel mondo 547 bambini per guerra o attacchi terroristici. Dunque c’è una Beslan ogni giorno. Negli ultimi dieci anni i bambini morti per conseguenze dirette della guerra sono stati due milioni, duecentomila l’anno. Almeno dieci mila sono saltati su mine antiuomo, probabilmente di fabbricazione italiana. Sei milioni rimangono disabili per tutta la vita, un milione restano orfani, venti milioni senza una casa e dieci milioni subiscono danni psichici irreversibili dalla guerra. Di fronte a questi drammi non bastano le candeline accese una volta, l’umanitarismo compassionevole…».

Ma secondo Toschi c’è un altro aspetto che colpisce in questa vicenda: «I terroristi hanno fatto una cosa terribile – lo abbiamo visto tutti – ma pensare di accerchiare militarmente la scuola con carri armati, in un caos totale come è avvenuto, significa mettere in conto che degli innocenti possono essere uccisi per sconfiggere il terrorismo». E qui sta il punto: «L’onore di uno Stato o di un capo di stato non vale la vita di un bambino. Putin – come ha detto Sofri – doveva dimettersi per la salvezza di questi bambini o offrirsi come ostaggio al posto loro. Meglio dare la nostra vita che diventare come loro».

Della crisi cecena Franco Vaccari è un vero esperto. Da anni se ne occupa con l’Associazione «Rondine Cittadella della pace», di Arezzo. Che ci sia stata un’azione terroristica così sanguinosa non l’ha sorpreso. Magari quello che colpisce è l’efferatezza contro i bambini. Ma già nel marzo 2000 quando ad Arezzo, La Verna e Camaldoli riunì attorno ad un tavolo le migliori personalità del Causaso, nella dichiarazione conclusiva si dava «l’allarme sui bambini perché il terrorismo già ricattava gli adolescenti e i preadolescenti, reclutandoli come manodopera, superando quei paletti che anche il peggior terrorismo fino ad allora metteva».

L’Associazione si occupa della Cecenia da nove anni, quando intervenne nel maggio del ’95 con le trattative segrete per porre fine alla prima guerra, iniziata il 18 dicembre 1994 con l’invasione di Grozny. «A quei tempi si trattava ancora di indipendentismo, che si poteva discutere, ma che cercava di liberarsi dalla morsa dell’ex-Urss. Negli anni la questione si è radicalmente trasformata: nel 1995 a Grozny c’erano 400 mila abitanti, di cui circa 80 mila russi, tanto è vero che l’esercito russo, sparando all’impazzata uccise 10 mila connazionali. Adesso abbiamo un cumulo di macerie con una popolazione che in tutta la Cecenia è ridotta sì e no a 250 mila persone, con una grossa diaspora a Mosca (220 mila oggi contro i 40 mila di allora), in Svezia, Norvegia, Danimarca. La Cecenia ormai è un luogo tragico dove i proconsoli del Cremlino tentano di arginare l’elemento fondamentalista e terrorista, che ha in mano la situazione».Così i giovani ceceni che vengono alla Cittadella «non possono tornare a casa, perché le famiglie non ci stanno più. La tragedia è che tutto il Caucaso è in diaspora. Bisognerebbe lavorare con le migliori menti che sono nella diaspora, per guardare oltre, in un rapporto nuovo non solo con la Federazione russa ma anche con la Turchia». Vaccari con la sua associazione ha continui contatti con la realtà caucasica. «Le persone buone – ci spiega – vedono allontanarsi anni luce le prospettive di una rinascita. Tutto si imbarbarisce sempre di più e ognuno di questi colpi legittima che dall’altra parte si calpestino i diritti umani, come spesso – dobbiamo dirlo con chiarezza – fa l’esercito russo. Se l’Europa vuole accogliere la Russia, questa deve dare prova negli interventi di polizia, anche duri, di standard minimi di rispetto di diritti umani».Dalla Cecenia all’Iraq. In questi ultimi mesi «Rondine» si è fatta promotrice di un’azione di pace che ha raccolto molte adesioni in Italia. Vaccari vede un grosso segnale positivo nell’Islam che «si sta muovendo, ha preso voce, sta cominciando a prendere le distanze dal terrorismo. Queste prese di posizione sono coraggiosissime: c’è un Islam che rischia la vita perché il terrorismo è terrore non solo per l’Occidente, ma anche per l’Islam stesso. Bisogna solidarizzare, non lasciarle cadere nel vuoto».

Ma il vero nodo, secondo il professore aretino, è come aiutare gli Stati Uniti ad uscire dall’empasse nel quale si sono sciaguratamente cacciati: «La guerra ha dimostrato in modo evidente che non è la risoluzione dei problemi ma semmai l’aggravamento – e il discorso andrà ripreso a “bocce ferme” –, però bisogna assolutamente non lasciare che gli Stati Uniti, “muoiano” in Iraq: questo non è possibile, perché non sarebbe il fallimento solo degli Stati Uniti, ma anche degli iracheni buoni e dei musulmani che hanno il coraggio di dire che con questa logica dei tagliateste non vogliono avere nulla a che fare. Sarebbe il fallimento della civiltà, non di quella occidentale». Da qui la necessità «di cominciare un ragionamento sulla sostituzione delle forze in campo per andare verso un ristabilimento pieno del diritto, dei governi legittimi e delle Nazioni Unite. Un progetto molto grosso e impegnativo, che richiede tempo». Il primo passo potrebbe essere «pattuire – con realismo – una sorta di vantaggio economico per gli Usa in cambio dell’uscita dalla guerra».

Su questo non è d’accordo Massimo Toschi, per il quale «il vaso di Pandora è stato aperto e ormai la violenza è fuori dal controllo di tutti. Gli americani non hanno nessun controllo del territorio, difendono solo se stessi. L’odio dell’Islam è cresciuto, l’Onu non c’è. Nel breve periodo le cose peggioreranno ancora di più. Chi ha compiuto questo se ne assuma tutta la responsabilità. Abbiamo passato il punto di non ritorno, il fiume è in piena e travolge tutto; poi quando si sarà placato, quando il fiume si ritirerà, allora forse potremo pensare a ricostruire. Ci avevano detto – prosegue Toschi – che il 30 giugno sarebbe andato tutto a posto e invece è tutto peggiorato. In queste condizioni, come si possono fare le elezioni il primo gennaio 2005?».

«Non c’è una strada politica per uscirne – prosegue – Bisogna solo sperare che finisca la nottata. Perché la guerra è questa, una volta messa in moto, va per conto suo. Esiste una guerra che uccide solo i terroristi? Non esiste una guerra buona. È un continuo scendere. E non siamo arrivati ancora all’ultimo girone di questo inferno». Che fare allora? Toschi ammette di non avere soluzioni: «La nostra capacità di iniziativa è pochissima. L’unica cosa che possiamo fare, ma ne capisco tutta la fragilità immediata, è andare lì disarmati, come hanno fatto Simona Pari e Simona Torretta e fare quello che è possibile fare con la popolazione, gettando piccoli semi di pace. Il resto sono solo chiacchiere».

Poi per i cristiani c’è un compito particolare: «Vivere la riconciliazione e il perdono. Il primo modo per sconfiggere i terroristi è perdonarli, sradicare alla radice il meccanismo della violenza della quale sono prima carnefici e poi vittime».

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