Toscana

Beslan, intervista al generale Baschiera: «Troppi errori»

di Andrea BernardiniSimone Baschiera, 64 anni, generale dell’esercito (nella foto), ha partecipato e guidato missioni in Alto Adige, Libano, Somalia, Macedonia, Albania e Kosovo ed è esperto in sistemi di sicurezza civili e militari.

Generale Baschiera, ci si poteva attendere un attentato come quello avvenuto in Ossezia?

«Sequestri di massa si erano già verificati: il 23 ottobre del 2002 i ceceni avevano dato l’assalto al teatro Dubrovka di Mosca e già allora fu un bagno di sangue. È dunque nel dna di questi criminali scegliere come bersagli degli innocenti, ma è la prima volta che i terroristi prendono in ostaggio così tanti bambini».

Cosa non ha funzionato?

«È mancato il coordinamento dell’unità centrale di crisi, probabilmente l’unica in grado di gestire un evento così drammatico. Unità di crisi che si trova a Mosca, dunque a duemila km di distanza dall’Ossezia del Nord. Ed infatti la prima opera di mediazione è stata improvvisata da genitori e autorità locali. Quando sono arrivate le forze del gruppo Alfa, hanno trovato intorno alla struttura centinaia di genitori e familiari e la milizia armata locale. Dentro la scuola c’erano già sedici morti e il gruppo dei terroristi aveva minato la struttura ed esposto i ragazzi più grandi come scudi umani».

Qual è stata la sequenza che ha fatto precipitare la situazione?

«Il governo aveva già avviato le trattative con i terroristi predisponendo vie di scampo. Una esplosione improvvisa all’interno della scuola ha provocato una reazione dei terroristi e l’irruzione nella struttura non solo dei militari ma anche di molti civili. Dall’esterno, intanto, la milizia locale e le unità militari del ministero dell’Interno hanno aperto il fuoco in modo indiscriminato, facendo ricorso a mitragliatrici e cannoni… un po’ troppo se si tien conto che i terroristi erano appena poche decine».

Cosa si sarebbe potuto fare con un tempo maggiore a disposizione?

«Acquisire maggiori informazioni sui terroristi e sulle armi a loro disposizione. Simulare un’azione di irruzione, magari in una scuola simile a quella di Beslan. E, mentre si conducevano testardamente le trattative, valutare le possibilità di intervento. In sequestri di queste proporzioni, un certo numero di morti va messo in conto. Con il senno di poi potremmo anche dire che forse un intervento di forza immediato avrebbe limitato il numero delle vittime. Ma, ripeto, in questa occasione, gli animi erano troppo surriscaldati ed è stato impossibile pianificare qualsiasi tipo di azione adeguata».

Alla luce dei clamorosi attentati degli ultimi anni, cambierà la strategia antiterroristica internazionale?

«La soluzione politica va cercata, ma chi sono gli interlocutori con cui trattare? Io credo che non sarà il riconoscimento dell’indipendenza della Cecenia o dello stato Palestinese a far cessare la sequenza di questi attentati. Ai terroristi interessa combattere, soprattutto, il nostro modello di vita».

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