Toscana

Scuola, il ritorno… dei pidocchi

di Rita Di GoroAltro che emarginazione sociale o terzo mondo: chiunque abbia bambini piccoli sa che la vera sagra del pidocchio è a scuola, in mezzo ai nostri figli coccolati e ben pasciuti. O meglio, sulle loro teste, perché il pidocchio del capo si nutre solo di sangue umano e non sopravvive più di 2-3 giorni lontano dal cuoio capelluto dell’inconsapevole ospite. E chi pensava che ormai fossero un retaggio del passato, un ricordo del dopoguerra, deve ricredersi: proprio in questi giorni, con l’inizio dell’anno scolastico, le famiglie vengono messe in guardia.

Ovviamente la scuola non è il «luogo» dei pidocchi, ma solo l’occasione. «Il primo giorno di asilo – racconta un giovane babbo – le maestre ci hanno accolto spiegando la necessità di controllare la testa dei nostri figli e di avvisare la scuola in caso di contagio». Eh sì, perché la prima causa del contagio sono proprio i genitori, che in primo luogo non sanno riconoscere una infestazione da pidocchi, e poi si vergognano a far sapere che il proprio figlio ne è affetto, da cui l’intensa opera di informazione che le Asl e le scuole compiono a ogni inizio di anno scolastico.

La prima cosa da sapere è che il contagio avviene per contatto diretto ovvero per uso in comune di oggetti come pettini, asciugamani, sciarpe e cappelli. La statistica dice che il sesso femminile, per natura più incline allo scambio di baci e altre affettuosità, è maggiormente colpito. Capire il ciclo vitale di questi parassiti aiuta a difendersi. I pidocchi completano vivono circa 1-2 mesi, durante i quali attraversano tre fasi. Ogni femmina depone fino a 250 uova bianchicce, lunghe circa 1 mm, e le incolla a circa un centimetro dal cuoio capelluto. Dopo 8-10 giorni le uova, dette lendini, si schiudono e danno luogo a larve grandi come una capocchia di spillo, che in un paio di settimane si trasformano in un individuo adulto. Il segno più evidente di una infestazione da pidocchi è il prurito causato dalle continue punture, ma all’inizio, quando i parassiti sono ancora pochi, la vera certezza si ha ispezionando i capelli del bambino in cerca delle uova sulla nuca e dietro le orecchie, che sono le zone più colpite.Passato il tempo delle rasature a zero e del petrolio, esistono oggi delle sostanze parassitarie sotto forma di gel che si possono acquistare in farmacia. Un’applicazione elimina i pidocchi, ma non è sufficiente a uccidere tutte le uova, per cui è consigliabile ripeterla dopo otto giorni, ossia il tempo necessario perché le uova si schiudano. Per maggior sicurezza è bene eliminare le lendini manualmente o con il pettine fitto; l’uso di un apposito shampoo o il vecchio acqua e aceto aiutano a staccarle meglio. Secondo un protocollo ormai collaudato fra scuole e Asl, quando le insegnanti si accorgono che un bambino ha i pidocchi debbono informare i genitori, in modo che effettuino il trattamento. Gli altri genitori della classe vengono avvertiti del problema e invitati a controllare i propri figli. Se si seguono scrupolosamente le indicazioni per eliminare i pidocchi, il bambino può tornare a scuola il giorno successivo al primo trattamento. Occorre anche lavare pettini, biancheria e indumenti con acqua molto calda; pupazzi e peluches devono essere rinchiusi in un sacco di plastica per due settimane.

Il vero problema nasce quando non c’è sufficiente attenzione da parte delle famiglie. Basta un solo bambino non adeguatamente trattato e si ricomincia in ogni senso ‘da capo’. L’uso infruttuoso degli antiparassitari determina poi la selezione di ceppi di pidocchi insensibili al trattamento e le cose si complicano ulteriormente. In caso di recidive la scuola può chiedere la presentazione di una attestazione sanitaria di non infestazione, che le assistenti sanitarie delle Asl rilasciano solo in assenza di lendini. Fino alla presentazione del certificato il bambino viene allontanato dalla scuola.