Toscana
La lotta alla droga divide la Toscana
Di segno totalmente opposto il giudizio di Marco Carraresi, capogruppo Udc. Il contenuto della proposta? «Discutibile attacca il consigliere regionale per usare un eufemismo. In pratica, i tossicodipendenti potranno rivolgersi alle strutture pubbliche per far analizzare la qualità delle sostanze stupefacenti e assumerle in locali igienicamente idonei. Come si può notare non siamo molto distanti, sia pure in un campo diverso, dalla logica adottata per le case chiuse». Inoltre «sarà anche un altro motivo di scontro con il governo nazionale». «Non per niente il direttore generale del Dipartimento Nazionale delle politiche antidroga della Presidenza del Consiglio ne ha dato un giudizio durissimo che non posso che condividere in toto: È una proposta assurda e ideologizzata, scritta da chi non ha mai visto un ragazzo drogato».
Secondo Carraresi «bisogna prima di tutto incentivare la prevenzione, non certo pubblicizzare gli stupefacenti». E anche la «riduzione del danno», in questo caso è sbagliato. «Parlare allora di civiltà, di tentativo di limitare i danni evitando che un tossicodipendente si suicidi con sostanze tagliate è falso, fuorviante e dannoso: c’è viceversa, oramai da tempo, una sorta di filo rosso conclude il capogruppo Udc che lega purtroppo tutte le proposte innovative della Regione Toscana nella deresponsabilizzazione, che amplia a dismisura il fronte dei nuovi diritti e restringe quello dei doveri».
Ecco perché trova inaccettabile l’idea di «luoghi igienicamente idonei» dove potersi drogare (art. 2 comma 4f). Prima di tutto per un problema di principio: «lo stato non può collaborare con chi si fa del male, perché drogarsi non è un diritto. Se sei in difficoltà ti aiuto, ma ad uscirne, non a cronicizzarti». E poi anche per un problema di risorse: quanto costerebbe allestire «locali idonei», con presenza 24 ore su 24 di un medico e garantire le analisi delle sostanze? Con i problemi di bilancio che già ci sono si rischierebbe di buttare in queste sperimentazioni la gran parte delle risorse.
Ma il vero problema è quello del ruolo delle comunità. Oggi decide tutto il Sert. La prima parte dell’intervento giustamente la fanno loro, ma poi devono intervenire le comunità, dove si fa riabilitazione: i Toscana sono 18 le comunità del terzo settore e funzionano, mentre le 13 pubbliche sono tutte in crisi per i costi. «Non chiedo pari dignità precisa don Stinghi , ma la collaborazione sì. Collaborare anche al primo momento, perché oggi la destinazione la fa un assistente sociale che magari non ne sa nulla e decide comunità sì comunità no». Ci sono comunità non è questo il caso del Ceis di Firenze costrette a chiudere perché i Sert non inviano più giovani. Allora la legge deve dire chiaramente che una parte delle risorse è destinata al recupero in comunità. «Non dico di fare come in Veneto dove la quota bloccata è del 30% delle risorse, ma ci devono essere delle certezze».
E poi c’è il nodo dei «Comitati», sia quello a livello di Asl una novità della legge che quello regionale. «Questi comitati, specialmente quello della Asl, ci spiega ancora don Stinghi devono essere effettivi e non burocratici, devono poter entrare nella scelta del programma riabilitativo tenendo presente la famiglia, il ragazzo e anche la comunità che lo conosce». Invece basta scorrere il testo della proposta di legge per capire che sarebbero solo dei carrozzoni consultivi.
Un giudizio più positivo lo dà invece don Bruno Frediani, presidente del Ceis di Lucca, che trova giusto cercare anche «strade nuove» accanto a quelle tradizionali. Anche la sperimentazione di luoghi per drogarsi non lo scandalizza perché «se seguita bene può essere una cosa buona per evitare la morte di persone e permettere il loro aggancio da parte dei servizi per mete anche più risolutive. L’importante è che non ci si fermi soltanto lì». Vede però una carenza «di interventi di carattere più generale a favore dei giovani, cioè come sostenerli in scelte di vita che siano determinanti, positive, buone. L’impressione è che ci sia una specie di abbandono e si intervenga solo quando già è troppo tardi».
Pienamente positivo il giudizio di don Armando Zappolini, presidente della cooperativa sociale «Il delfino» e rappresentante toscano del coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca). In questa veste ha anche collaborato alla stesura del testo che vuole essere ci spiega una «risposta» al disegno di legge Fini «che tende invece a privatizzare l’intervento sulle dipendenze dando una delega al volontariato».
Questa proposta di legge secondo don Zappolini rafforza invece «il sistema toscano ad alta integrazione pubblico-privato, un sistema che sta funzionando». E per la prima volta si accreditano, oltre alle comunità residenziali, anche i servizi di strada e di prossimità, perché «le comunità aiutano a cambiare la vita, però la risposta di strada la salva». È in questa attenzione «a non lasciare nessuno solo», idea guida di tutta la legge, che si inserisce la sperimentazione di luoghi sicuri per drogarsi, che ha causato tante polemiche. «Se c’è una persona che si buca si chiede il presidente toscano della Cnca possiamo fare in modo che se anche decide di bucarsi lo faccia in condizioni un po’ meno di emergenza o non si trovi morto il giorno dopo sotto un ponte? Queste cose vanno sperimentate, c’è da ragionarci sopra, può anche darsi che siano bischerate ma da questo a dire che si vuol fare le narcosale ce ne passa. Sono interpretazioni a volte fatte da persone poco intelligenti, sempre da persone poco competenti, anche nella politica regionale. Non possiamo occuparci solo di coloro che ce la fanno a smettere di drogarsi, dobbiamo pensare anche alla maggioranza di persone che non ce la fanno a finire in comunità o che noi buttiamo fuori dalle comunità e che finiscono sulla strada».
Di positivo in questa proposta di legge, secondo don Zappolini, c’è anche l’art. 3 dove, per la prima volta in Italia, si fa chiarezza su termini come «droghe», «dipendenza», «abuso»… «Ogni cosa ha una valenza diversa: anche l’influenza è una malattia e va curata, ma non si può lanciare l’allarme sociale per un’influenza come se fosse un broncopolmonite fulminante».
Tra le principali novità, «il sostegno ai servizi sanitari e sociali di primo intervento» e «alle unità di strada» (art. 2, comma 4d), una definizione delle «patologie da sostanze psicotrope», di quelle «indotte», «associate» e «assimilabili» e di cosa si intenda per «consumo problematico» (art. 3) in modo da articolare risposte adeguate, l’istituzione di due comitati, quello delle «dipendenze patologiche», da far nascere in ogni Usl e quello di «coordinamento regionale» con la presenza anche di referenti delle cooperative sociali e delle associazioni di volontariato.
Ma il punto che più ha fatto discutere è il comma 4e dell’art. 2 dove si prevede «la promozione e il sostegno ad iniziative di sperimentazione di nuovi interventi di riduzione del danno ed in particolare: l’offerta gratuita di analisi delle sostanze per i consumatori anche se non utenti del singolo servizio, la predisposizione di luoghi igienicamente idonei presso i quali è possibile l’assunzione di sostanze».