Varese, 1996. Patrizia Nidoli, 35 anni, muore in un tragico incidente tornando dal Tribunale dei Minori, dove si era recata per una pratica di adozione. Per onorarne la memoria, parenti e amici decidono di dar vita a una fondazione a lei intitolata e dedita appunto a rispondere al desiderio delle coppie disposte ad accogliere bambini rimasti senza il calore di una famiglia. Nel giro di un paio d’anni il progetto prende corpo e la Fondazione Nidoli onlus diviene una dei circa 70 enti italiani autorizzati per l’adozione internazionale. Si cercano canali adeguati e il vicepresidente Raffaele Cattaneo, avendo sentito parlare del lavoro svolto da padre Alceste Piergiovanni a Quinta de Tilcoco, in Cile, decide di andarlo a trovare. Ne nasce un rapporto di stima reciproca che porta il missionario italiano, originario di Tuscania, a tenere un incontro-testimonianza al Meeting di Rimini del 2000. Per Stefano Capretti oggi vicepresidente della Compagnia delle Opere toscana e la moglie Lucia è l’occasione di conoscerlo. Poco più di un anno dopo, verso Natale del 2001, tornano da Quinta con tre figlie adottive, le sorelline Andrea, Joselyn ed Estefania. Ma nel frattempo, assieme ad altre famiglie interessate, hanno dato vita alla sede fiorentina della Fondazione, necessaria per l’obbligo di allora poi decaduto di adottare esclusivamente attraverso enti presenti nella propria regione di residenza. Ed è così che da una loro esigenza nasce una realtà che, con la stessa passione di allora, si pone al servizio di altre coppie e allo stesso tempo di altri bambini in cerca di un babbo e una mamma. Ad oggi attraverso la sede di piazza Isidoro del Lungo a Firenze sono andate a buon fine 16 pratiche di adozione, spesso riguardanti non un solo bambino ma una coppia o come nel caso di Stefano e Lucia addirittura una terna di fratellini. Ed è proprio dal Cile che proviene la maggior parte dei figli adottivi, anche se la Fondazione Nidoli ha un canale già aperto con la Bulgaria e uno in via di attivazione con la Bolivia. L’impronta del carisma di padre Alceste ha in qualche modo «contagiato» i suoi promotori e dopo la sua scomparsa, avvenuta il 20 novembre 2003, il rapporto con il Centro de Protección de Menores di Quinta de Tilcoco, oggi a lui dedicato, prosegue attraverso il suo successore padre Hector Vithar, che abbiamo incontrato nei giorni scorsi durante la tappa fiorentina di un suo tour attraverso le quattro sedi della Fondazione. Quarantuno anni e sacerdote da 15, nativo di Quinta, padre Hector ha maturato la sua vocazione seguendo padre Alceste ed entrando proprio nella sua congregazione, l’Ordine della Madre di Dio fondato dal lucchese San Giovanni Leonardi. Aveva appena cinque anni quando, nel 1970, l’allora parroco di Quinta decise di dar vita all’hogar, alla lettera «focolare», nome con cui in spagnolo vengono indicati gli istituti di accoglienza. Accompagnando i bambini alle colonie marine, si era infatti accorto che al termine del soggiorno alcuni di loro non volevano tornare a casa, semplicemente perché non avevano nessuno che si prendesse cura di loro, e decise così di cominciare a occuparsene in prima persona. Fin dall’inizio, tuttavia, fu chiaro che l’hogar non doveva essere per loro una soluzione permanente, ma solo un luogo di passaggio verso l’adozione, perché la sistemazione migliore per chi non aveva padre ne madre non poteva essere che una famiglia. E se per i piccoli doveva necessariamente trattarsi di una famiglia cilena essendo questa soluzione obbligatoria pe legge per i minori di tre anni e comunque consueta sotto i cinque con l’aumentare dell’età non sempre l’adozione interna si rivelava facile. Ecco allora il canale internazionale rappresentato dall’Italia. Oggi, con oltre mille adozioni alle spalle, il Centro de Protección de Menores di Quinta de Tilcoco continua a lavorare a pieno regime ospitando 152 bambini più altri 11 ragazzi più grandi alloggiati in un altro hogar nella capitale Santiago, 130 chilometri più a nord. La possibilità di ospitare sia maschi che femmine, pur se separati in ambienti diversi fin dall’età di cinque anni, consente di non disperdere i fratelli per favorirne poi l’adozione multipla. L’hogar di Quinta, oggi ribattezzato «Villa padre Alceste Piergiovanni», è infatti una vera e propria cittadella con tanto di scuola interna per i primi quattro anni dell’obbligo, mentre per i secondi quattro i ragazzi più grandi ancora in istituto fanno riferimento alla scuola del paese. Poi a gennaio e febbraio, mesi dell’estate cilena, tutti al mare nella colonia che continua a svolgere la sua funzione. Padre Hector tiene molto a sottolineare la preoccupazione dell’hogar: «È una vita, un’educazione afferma che stimola molto i bambini. Il bambino della Villa è sveglio, prega molto, gli piace cantare e ballare, è molto animato, si diverte. Sono, insomma, bambini molto vivi». E perché abbiano una buona educazione, c’è anche un attento lavoro di formazione degli educatori, comprese le tías, le «zie», dedite ai più piccoli. Quando una coppia di genitori, ovviamente dichiarata idonea dal tribunale, dice di sì ad una proposta di adozione, iniziano i primi contatti con l’invio delle rispettive fotografie. È il periodo che padre Alceste definiva «di fidanzamento». A Quinta ci si ritrova insieme nella cappella dell’hogar per pregare e ricevere la notizia che i bambini in questione hanno un babbo e una mamma, di cui vengono appunto mostrate le foto. Seguono frequenti e progressivi contatti telefonici con i genitori adottivi, con l’aiuto di un operatore che fa da interprete. Giunge finalmente il momento dell’arrivo dei genitori e i bambini vanno a riceverli. Ma non per ripartire subito: vivranno infatti assieme a loro nell’hogar per un mese e mezzo, in modo di approfondire direttamente la conoscenza reciproca. In tutti, dall’abbinamento alla partenza per l’Italia possono passare quattro o cinque mesi. Al momento di salutarsi, non c’è tristezza, anzi si fa una grande festa, perché se da un lato in chi parte prevale la gioia di aver trovato un babbo e una mamma, gli altri vedono questo fatto come possibile anche per loro stessi. Resteranno ad attendere con fiducia, pregando e anche portando piccoli doni alla tomba di padre Alceste, sepolto all’ingresso dell’hogar perché continui ad essere sempre presenza viva per i suoi bambini e per quanti hanno avuto il dono di conoscero e lavorare con lui. Quattro sedi e sei filoni d’interventoPer l’assistenza ai bambini che cercano una famiglia e alle famiglie che cercano un bambino». Questo lo scopo della Fondazione Patrizia Nidoli, attualmente presente, oltre a Varese (sede centrale) anche a Firenze, Roma e Verona. La Fondazione ha l’obiettivo «di dar vita a iniziative e strutture che siano in grado di rispondere al bisogno molto attuale delle coppie che vorrebbero veder realizzato il loro desiderio di maternità e paternità e al tempo stesso di attuare interventi di cooperazione in quei Paesi in cui ancora oggi troppo spesso l’infanzia vive condizioni di particolare difficoltà e di grave abbandono». L’attività della fondazione si articola su sei filoni: sportello informativo di orientamento e assistenza, diffusione della cultura dell’accoglienza e della genitorialità adottiva, formazione specifica in preparazione all’adozione, sostegno alle famiglie adottive, attività internazionali di ssotegno all’infanzia abbandonata, organismo autorizzato per le adozioni internazionali. La Fondazione opera in collaborazione con associazioni già esistenti, valorizzandone l’esperienza. In particolare, fin dall’inizio, è attivissimo il rapporto con «Famiglie per l’accoglienza» mentre, con la conoscenza di padre Alceste e della realtà di Quinta de Tilcoco, è stata avviata anche la collaborazione con la «Pro Icyc», l’associazione onlus con sede a Roma che comprende le famiglie adottive dei bambini di Quinta e che deriva il suo nome dalla sigla dell’Instituto chileno de colonias y campementos (y hogares de menores), la «catena» di cui anche l’hogar di padre Alceste fa parte. Dopo l’adozione la Fondazione propone tre incontri all’anno per le coppie adottive. Si cerca inoltre di privilegiare le adozioni multiple, dividendo eventualmente in due coppie le eventuali quaterne di fratelli, ma favorendo la possibilità di successivi incontri e contatti. I recapiti della sede fiorentina della Fondazione sono i seguenti: Fondazione Nidoli, piazza Isidoro del Lungo 1, 50121 Firenze, tel. 055-576068, e-mail firenze@fondazionenidoli.org, mentre il sito internet nazionale della Fondazione è www.fondazionenidoli.org.