Toscana

Le «Unioni di fatto» tra pubblico e privato

di Umberto FolenaLa frase è in misurato politichese. I Pacs non sono nominati, soltanto evocati; ma non essendo nominati esplicitamente, se l’aria butta male, si può sempre dire che il proprio pensiero è stata male interpretato. Domenica 21 maggio è capitato proprio questo alla neo-ministra della Famiglia, Rosy Bindi. Aldo Cazzullo del «Corriere della sera» le chiede: «Le unioni civili potranno avere un riconoscimento pubblico?». Lei risponde: «A me pare che non sia possibile né giusto separare rigidamente le due sfere, quando si parla di diritti delle persone. Dov’è il confine tra privato e pubblico? (…) Vedremo. Ne discuteremo». Il titolo è più sbrigativo: «Diritti alle coppie di fatto, anche pubblici». Tra virgolette. L’intervista è ritenuta di tal rilievo da finire in prima pagina con la vignetta di Giannelli: «La Rosy nel pugno», con una suorina al posto della rosa. Il giorno dopo la Bindi può però scrivere al «Corriere» una lettera di parziale rettifica in cui afferma che il suo pensiero è stato riferito correttamente, a parte i titoli esagerati. Abbiamo ricostruito l’ultimo atto della grande partita che si sta giocando attorno ai Pacs. Ce ne saranno sicuramente altri. Questo è molto importante perché ha come protagonista la nuova ministra, non un politico qualsiasi. E perché racconta di come la materia sia delicata, specialmente all’interno del centrosinistra, dove si contano posizioni diverse e quelle righe del programma, definite a suo tempo il frutto di un paziente compromesso, sembrano adesso superate. E qualcuno si chiede se non siano state funzionali solo a rassicurare gli elettori cattolici del centrosinistra.Un passo indietro. Che cosa sono i Pacs? La sigla sta per Pactes civils de solidarieté. Sono stati introdotti in Francia il 13 ottobre 1999. Prevedono che due persone fisiche, a prescindere dal loro sesso, possano concludere il patto «per organizzare la loro vita comune».

Stipulare un Pacs è semplice. Basta presentare una dichiarazione congiunta nella quale si afferma di voler instaurare una vita comune e depositarla presso la cancelleria del Tribunal d’Instance di residenza. È essenzialmente un contratto patrimoniale, non prevede né la fedeltà né l’obbligo di soccorso e assistenza ed è sempre modificabile. Facilissimo è anche chiudere un Pacs. Basta notificare la decisione – congiunta o unilaterale – allo stesso tribunale. Il Pacs, naturalmente, cessa di esistere anche se un partner muore o si sposa. Ciò che soprattutto accende la discussione è che a stipulare un Pacs possa essere una coppia dello stesso sesso.

Noi diciamo Pacs alla francese. Ma il primo paese europeo a riconoscere le unioni omosessuali è stata la Danimarca nel 1989. I Pacs poi non vanno confusi con il diritto in sé degli omosessuali di sposarsi, esattamente come gli eterosessuali, come è stato deciso in Spagna undici mesi fa e come è previsto in Olanda dal 2001, in Germania dal 2002, e così via. Sono cose diverse, ma l’orizzonte culturale è il medesimo. Perché non è un segreto che le proposte di legge italiane, che parlino esplicitamente di Pacs o più prudentemente di unioni civili, per il movimento gay e i loro sostenitori sono soltanto un primo passo per giungere al matrimonio gay e all’adozione dei figli, ossia alla piena parità con le coppie composte da uomo e donna.

Ma perché la dichiarazione di Rosy Bindi ha suscitato tanta agitazione, scatenando gli applausi di radicali, verdi, comunisti e diessini, e il mal di pancia di molti colleghi della Margherita e dell’Udeur, per non dire delle grida dall’allarme del centrodestra? Tutto ruota attorno a quei due aggettivi: privato, pubblico. Nessuno in realtà vuole negare alle unioni di fatto, etero o gay, i diritti fondamentali – in realtà pochi – a cui non possono ancora accedere. Ma, affermano gli oppositori dei Pacs, è sufficiente ricorrere al diritto privato, senza rendere pubblico – davanti a un pubblico ufficiale – quello che diventerebbe un matrimonio light, leggero, solubile, gravido di diritti e sgombro di doveri, accanto al matrimonio heavy, pesante, l’unico oggi possibile.

È la posizione assunta dalla Cei per bocca del cardinale Camillo Ruini. È la posizione del leader della Margherita, Francesco Rutelli. È la posizione che sembrava uscita vincente quando era stato stilato il programma dell’Unione. Una posizione non nuova. L’avevano presa già nel 1998 gli stessi vescovi francesi: «Il diritto offre sufficienti possibilità per regolare i problemi sociali ed economici che incontrano certe persone che non possono o non vogliono sposarsi. Non è dunque necessario scrivere in una legge un nuovo statuto relazionale che rischia di destrutturate soprattutto il significato della coppia e della famiglia».

Di Pacs sentiremo parlare sempre di più, dunque. E sarà importante capire bene tutto, cominciando dagli aggettivi. Se poi siano davvero i Pacs l’emergenza prima e assoluta per le coppie italiane, i dubbi sono legittimi. E le famiglie che non arrivano a fine mese? E le madri che dopo la gravidanza non sono agevolate a reinserirsi nel mondo del lavoro? E gli asili nido insufficienti? E le tante coppie con una lavoro precario che non possono sposarsi? In realtà, stando alla stima insospettabile del demografo Livi Bacci, sostenitore dei Pacs, le coppie italiane che lo stipulerebbero il primo anno non sarebbero più di 10-15 mila. L’Arcigay parla di tre milioni di potenziali pacsisti discriminati. C’è ancora da fare molta chiarezza, oltre l’ideologia e la demagogia.

La schedaIl programma dell’UnioneNel voluminoso programma elettorale presentato da Romano Prodi e sottoscritto dai partiti dell’Unione, non si parla mai di riconoscimento dei «Pacs», come del resto non si parla neanche mai di «famiglia». Il tema delle «Unioni civili» compare all’interno del capitolo dedicato alla «giustizia», in un apposito paragrafo. Ecco cosa dice: «L’Unione proporrà il riconoscimento giuridico di diritti, prerogative e facoltà alle persone che fanno parte delle unioni di fatto. Al fine di definire natura e qualità di un’unione di fatto, non è derimente il genere dei conviventi né il loro orientamento sessuale. Va considerato piuttosto, quale criterio qualificante, il sistema di relazioni (sentimentali, assistenziali e di solidarietà), la loro stabilità e volontarietà». L’intervista della Bindi al «Corriere»Domenica 21 maggio il «Corriere della Sera» pubblica un’intervista al ministro per la famiglia, richiamata con evidenza in prima pagina sotto il titolo dedicato a «L’offensiva del Papa: no ai Pacs». «Rosy Bindi – scrive nel catenaccio il “Corriere” – rilancia sulle coppie di fatto: diritti anche pubblici». La lunga intervista, a firma di Aldo Cazzullo, occupa l’intera pagina 3 e ha per titolo: «Diritti alle coppie di fatto, anche pubblici». In realtà la titolazione forza un po’ le risposte del ministro (e la Bindi se ne lamenterà con il «Corriere» il giorno dopo). «E sui Pacs, contro cui è tornato a esprimersi Benedetto XVI?», chiede Cazzullo. «Nel programma dell’Unione – risponde la Bindi – questa parola non c’è. Si parla di unioni civili, e di diritti da garantire». «Diritti delle persone, da regolare nella sfera del diritto privato, come sostiene ad esempio Rutelli? O le unioni civili potranno avere un riconoscimento pubblico?», incalza il giornalista. E la Bindi precisa: «A me pare che non sia possibile né giusto separare rigidamente le due sfere, quando si parla di diritti delle persone. Dov’è il confine tra privato e pubblico? Se c’è una norma che si applica a due persone, anche i terzi sono tenuti a rispettarla. Vedremo. Ne discuteremo. Dovremo evitare uno scontro ideologico». I commenti del fronte laicista sono entusiasti. Al neo ministro arriva l’apprezzamento di Emma Bonino («brava e coraggiosa»), i complimenti di Daniele Capezzone («positivo passo in avanti»), l’entusiasmo di Barbara Pollastrini, ministro diessino per le Pari Opportunità, che dice di voler proporre entro sei mesi «oltre alle quote rosa, un progetto di legge sulle unioni di fatto», l’incoraggiamento di Franco Grillini, («bene quel riferimento ai diritti pubblicistici»), la difesa di Marco Rizzo («da destra solo attacchi strumentali»), la soddisfazione di Vladimir Luxuria e Titti De Simone («per la prima volta il riconoscimento pubblico delle unioni civili non sembra più uno scoglio insormontabile»). La stroncatura dell’«Osservatore»Qui Pacs, il ministro «cerca di difendere posizioni indifendibili, almeno dal punto di vista cattolico», scrive il giorno dopo l’«Osservatore Romano», senza mai citare per nome la Bindi. Il quotidiano della Santa Sede dichiara di non meravigliarsi tanto per «l’ennesima evoluzione acrobatica sul tema delle “coppie di fatto”» ma semmai nel constatare «che a fronte di tanti problemi che nel Paese ci sono da affrontare, e in special modo quelli riguardanti le famiglie, ci si affretti con grande zelo a occuparsi di questioni che evidentemente invece stanno molto a cuore a chi si occupa della cosa pubblica». Sul merito aggiunge: «Due considerazioni vanno comunque riproposte: è necessario, nel dibattito, distinguere fra coppie eterosessuali e omosessuali. È una distinzione importante perché la convivenza fra persone eterosessuali è già regolata nel diritto civile attraverso il matrimonio (…) e non si spiega perché lo Stato debba intervenire sulla sfera privata per dare tutela pubblica a chi invece si è già rifiutato di averla». A meno che, prosegue l’articolo, non si voglia «elaborare una sorta di “matrimonio light” che francamente finisce per contraddire le stesse sventolate esigenze dei conviventi». Da qui il sospetto, per l’«Osservatore» che «le convivenze eterosessuali» vengano usate «come “grimaldello”, perché più diffuse e maggiormente in grado di far convergere comprensione e benevolenza». In realtà il vero obiettivo sarebbe un altro: «La convivenza fra coppie omosessuali, alle quali un riconoscimento pubblico darebbe un’arma formidabile al fine di accreditare l’esistenza di una forma alternativa di famiglia. E dove c’è famiglia, inevitabilmente ci sono anche i figli. E i loro diritti». Un libro per saperne di piùUmberto Folena, 50 anni, editorialista di «Avvenire» e di «Toscanaoggi», autore dell’articolo pubblicato in questa pagina, ha scritto un piccolo manuale esplicativo sui Pacs, che è da pochi giorni nelle librerie. Il volume, dal titolo «I Pacs della discordia. Spunti per un dibattito» (ed. Ancora Editrice 2006, pagine 112, e 10), fa il punto sui termini della questione inquadrandone i vari aspetti sociali, legislativi ed etici, fornendo al lettore, con chiarezza, le ragioni dei pro e dei contro. Per informazioni: www.ancoralibri.it; tel. 02-345608.66.

Politiche, confronto sui programmi

Famiglie e unioni di fatto, troppe ambiguità

L’intervista del Corriere al ministro Rosy Bindi