Toscana

Palio, non bastavano gli animalisti…

DI MARCO LAPIHa tenuto e sta ancora tenendo banco a Siena, in particolare sulle pagine dell’edizione diocesana di Toscanaoggi, la polemica scatenatasi in seguito all’omelia pronunciata dall’arcivescovo Antonio Buoncristiani in occasione della «Messa del Fantino» dello scorso 16 agosto. Ne parliamo anche in questo spazio perché in certe prese di posizione ci è parso di intravedere un attacco al cuore stesso del Palio, o forse, per meglio dire, alla sua anima più vera.

Mons. Buoncristiani, nella circostanza, aveva semplicemente richiamato a non banalizzare e a non ridurre a folclore o scaramanzia i riti religiosi legati alla festa senese. Ne aveva, anzi, spiegato il profondo significato religioso, rivendicando per sé e per i sacerdoti «Correttori» delle Contrade il ruolo proprio di uomini di Chiesa e non di «comparse» o «monturati» inseriti per tradizione nella coreografia paliesca. Parole chiare e sincere, che però non a tutti sono piaciute. Tant’è che sul «Corriere di Siena», nei giorni seguenti, Luigi Oliveto ha replicato che mons. Buoncristiani aveva nella circostanza «sbagliato cacciavite», pretendendo di agire con un attezzo «a taglio» su una vite della testa «a stella». La «sacralità» del Palio, aveva sostenuto l’articolista, non è da ricercare nei riti religiosi che lo accompagnano ma può essere colta correttamente solo attraverso un’analisi antropologica della festa che ne sappia cogliere e mettere in evidenza una sua «struttura mitica e rituale, che è retta da leggi autonome le quali possono arrivare pure a confliggere con quelle civili e religiose». Ogni insistenza per restituire, ad esempio, alla benedizione del cavallo o alla «Messa del Fantino» il senso proprio di qualsiasi altra benedizione o Messa, magari attraverso appropriati interventi catechetici, sarebbe fuori luogo, quasi «blasfema», par di capire, nei confronti della «fede» paliesca.

Dopo gli «animalisti», dunque, il Palio sembra finire nel mirino degli… «antropologisti». Che, a nostro modestissimo avviso, non sono meno pericolosi. Ciò che ci ha sempre affascinato della festa senese è infatti soprattutto il suo legame con la vita: la vita intera – dalla nascita alla sepoltura, e magari fin oltre – e la vita vera. Per questo è così diversa da tutte le altre manifestazioni del genere, semplicemente «rievocative» ma incapaci di coinvolgere così tante persone – anzi, un intero popolo – durante tutto l’anno. E se nessuno nega che il Palio sia carico di significati antropologici – come, ad esempio, la vittoria vista e vissuta come «rinascita» – è anche vero che la vita umana, di cui è allegoria ma da cui è al tempo stesso generato, non può essere incasellata in categorie «scientifiche» o accademiche che pretendano non solo di «leggerla» o di «analizzarla» quanto, sotto sotto, di indirizzarla e dirigerla magari secondo canoni laicisti che di scientifico hanno ben poco, ma non poco di ideologico.

Fortuna che non mancano laici di ben altra statura, come l’ex sindaco senese ed ex vicepresidente del Parlamento Europeo Roberto Barzanti, che ha preso carta e penna per difendere l’intervento di mons. Buoncristiani, mettendo al tempo stesso i senesi in guardia dagli altri rischi di «inquinamento» della loro festa. Che non avrebbe davvero senso senza le sue radici cristiane, dato che le due carriere del 2 luglio e del 16 agosto sono entrambe in onore della Madonna, che la Contrada vincente si reca a cantare il Te Deum di ringraziamento in Provenzano o nel Duomo, che al di fuori del Palio ognuna delle 17 ha un proprio oratorio e fa festa per il proprio patrono, che l’inizio dell’anno contradaiolo coincide con la festa del patrono senese Sant’Ansano, che per l’8 dicembre i bambini fanno a gara ad addobbare i 17 tabernacoli di Contrada… E si potrebbe continuare, finendo per dire che senza radici cristiane non esisterebbe neppure Siena, almeno così come la conosciamo. No, caro Oliveto, le Contrade vanno ben al di là di ogni riduttiva lettura antropologica. E anche il fatto che siano tutt’oggi comunità vive e attive dove la coesione e la solidarietà sono valori primari la dice lunga sulla loro origine. Che poi oggi questa consapevolezza sia offuscata dalla crescente secolarizzazione (certo non riguardante solo i senesi) è un altro discorso. Ma allora ben vengano le parole dell’Arcivescovo e dei Correttori, chiamati così – si badi bene – non perché incaricati di «correggere» da eventuali errori ma perché destinati a «reggere» la Contrada stessa assieme al Priore e al Capitano, perpetuando così quella coesistenza di religioso e civile di cui Siena è stata ed è tuttora testimonianza mirabile.