Toscana

Orfanotrofi, arriva la parola fine

di Sara D’Oriano

L’associazione Cinque pani e due pesci si occupa da diversi anni a Firenze di affido di minori. Dall’esperienza dei suoi operatori, si può comprendere molto, riguardo la situazione toscana rispetto alla prossima chiusura degli istituti per minori, il 31 dicembre. «La realtà degli orfanotrofi è da tempo superata in Toscana – spiega il responsabile dell’associazione, Bruno Facchini –. Da anni la nostra regione si è impegnata per adeguarsi alle normative e oggi, salvo casi particolari, questa scadenza non coglie nessuno di sorpresa».

Anche i dati forniti dall’Istituto degli Innocenti di Firenze dimostrano che da circa due decenni i grandi istituti sono del tutto scomparsi nella nostra regione per lasciare spazio a piccole comunità d’accoglienza, affidi e adozioni. Questo, comunque, non significa che i minori senza famiglie d’origine o con problemi di varia natura siano assenti sul nostro territorio: «Con la nostra associazione abbiamo seguito in questo anno l’inserimento di 15 bambini in famiglie affidatarie, ma ne seguiamo circa 50 con problemi di varia natura che risiedono nelle famiglie d’origine».

In particolare, «Cinque pani e due pesci», che con questo nome ricorda l’evangelica povertà di mezzi in grado di soddisfare le esigenze primarie dei più deboli, si occupa di minori e giovani maggiorenni con diverse problematiche familiari o portatori di handicap attraverso varie forme di affidamento e di coinvolgimento che variano da caso a caso. «Da circa dieci anni seguiamo un progetto sperimentale nella zona del sud-est fiorentino che prevede l’affidamento di più minori ad una stessa famiglia seguendo i criteri previsti dalla legge; notiamo molto entusiasmo da parte delle famiglie e le richieste di affido di minori si estendono anche alle zone limitrofe».

Tuttavia, Bruno Facchini sottolinea come il territorio toscano sia molto variegato e siano presenti sacche ancora poco dinamiche o poco informate sul tema degli affidi, troppo spesso confusi con le adozioni. Stranamente, proprio la zona metropolitana fiorentina sembra la più carente: «Il problema è che manca una guida politica chiara, che consenta una continuità di lavoro nei servizi sociali. Il persistente ricambio di personale, che varia in alcuni casi di sei mesi in sei mesi, non consente di realizzare progetti stabili, in grado di recepire problemi e ideare soluzioni a livello locale, così si verifica un progressivo calo del numero di affidi a Firenze rispetto alle zone del circondario, che al contrario, possedendo meno mezzi, anche di natura economica, rispondono con più efficacia anche nel lungo periodo alle esigenze dei minori».

Della stessa opinione è Lucia Palazzo, coordinatrice delle case-famiglia dell’Opera della Divina Provvidenza della Madonnina del Grappa, struttura di assistenza ai minori fondata da Don Giulio Facibeni. «L’Opera con il tempo si è adeguata alle normative, mantenendo però sempre l’ideale di Don Giulio, che era quello di educare i minori come fossero in una vera e propria casa, circondati da una famiglia. L’Opera ha iniziato fornendo assistenza ai bimbi orfani di guerra, in un periodo di maggiore autonomia ma, visto l’elevato numero di bambini accolti, con meno possibilità di seguire i singoli casi. Oggi, invece, la nostra attività passa, anche giustamente, dal canale dei servizi sociali, con i quali non sempre è facile mantenere i rapporti. La labilità delle assunzioni degli assistenti sociali fa sì che in alcuni casi non sia possibile approfondire legami utili per una assistenza più mirata».

L’Opera si compone di 3 strutture residenziali in convenzione con il Comune di Firenze che accolgono nel complesso circa 20 giovani dagli 8 ai 18 anni. «Nelle nostre case la maggioranza dei minori proviene da famiglie extra-comunitarie, in alcuni casi sono minori stranieri non accompagnati, e quindi completamente soli. L’immigrazione e il fenomeno dei minori immigrati con difficoltà o soli sono dati fortemente in crescita in Toscana, per cui non c’è da stupirsi se tra i nostri piccoli ospiti gli italiani sono in numero inferiore. C’è anche qualche caso di bambini orfani. Le problematiche più grandi sono legate alle differenze culturali, che si vanno a sommare alle difficoltà psicologiche in cui questi ragazzi già si trovano. A questo si aggiunge un inasprimento della realtà sociale, che richiede maggiori attenzioni e impegno». Nelle case, in cui si privilegia uno stile di vita familiare, le camere sono al massimo doppie e i ragazzi sono seguiti da coppie di genitori, da sacerdoti sempre presenti in ogni struttura, pur garantendo la laicità delle strutture nel rispetto delle differenze di ognuno, e da personale specializzato.

Oltre alla realtà degli affidi e delle case-famiglia, che la nuova legge indica come soluzioni alla chiusura degli istituti, un’esperienza parallela è offerta dalle adozioni. «In Toscana – spiega Luigina Angioloni, del Centro adozioni e affidi di Firenze – il numero delle adozioni riguarda fasce d’età molto basse, e segue l’andamento medio nazionale: nel 2006, circa 700 famiglie toscane hanno fatto domanda di adozione anche se i tempi di attesa, legati alla burocrazia, rimangono ancorati intorno ai 3-4 anni; motivo questo che causa spesso l’abbandono della pratica da parte della famiglia».

A questo proposito, Stefano Capretti, presidente della Fondazione Nidoli che si occupa di adozioni internazionali e padre di tre bambini adottati, sostiene come «la situazione italiana, con questa nuova legge, non faccia altro che fotografare una situazione diffusa nel mondo, laddove i servizi sociali sono maggiormente sviluppati; e cioè, c’è maggiore attenzione ai principi della Convenzione dell’Aja per la tutela dei minori, e si tende a considerare la famiglia come il bene più prezioso di cui questi bambini, fin troppo derubati della loro infanzia, hanno diritto». E non ultimo, il diritto all’amore, che per quanto si possa legiferare, rimane l’unica vera richiesta che questi bambini chiedono di soddisfare.

Comunità d’accoglienza, affidi e adozioni La popolazione toscana era composta nel 2005 da 50 mila minori tra gli 0 e i 18 anni di età. A dirlo sono i dati elaborati annualmente dal Centro di elaborazione dati per l’Infanzia dell’Istituto degli Innocenti di Firenze, in collaborazione con il Tribunale dei minori, la Regione Toscana e le 34 zone socio-sanitarie in cui la nostra regione è suddivisa. Circa 1400 minori si trovavano nel 2005 ospitati presso famiglie affidatarie, e il valore dimostra come il numero degli affidi sia in crescita rispetto alle stime fatte negli anni precedenti e in particolare nel 2004, anno in cui gli affidi erano stati 1302 di cui 52 nella sola Firenze. Al contrario, si registra un calo nelle stime che riguardano i minori (da 0 a 18 anni) ospitati nei cosidetti servizi residenziali, che passano dai 698 del 2004 ai 600 del 2005, e si prevede un ulteriore calo nei dati raccolti per il 2006 al momento in elaborazione e non disponibli. Un dato d’interesse è costituito dal numero di minori stranieri accolti in famiglie affidatarie, valore che documenta una forte impennata: dai 185 del 2003 si passa ai 335 nel 2004, più della metà del numero totale dei minori in affido in quell’anno. E per il 2006, questo andamento sembra essere confermato.

Per quanto riguarda il numero di comunità di accoglienza dei minori, che vengono suddivise per tipologie in: case-famiglia, comunità educative e case d’accoglienza per madri sole, nel 2005 il numero oscillava tra 90 e 100 esperienze sparse in tutta la regione. Nello stesso tempo, lo stesso Istituto degli Innocenti tiene a precisare come da circa due decenni siano scomparsi in Toscana i vecchi orfanotrofi e istituti.

Per quanto riguarda poi il numero di adozioni, «Il numero è ancora molto basso – spiega Alessandro Salvi, dell’Istituto degli Innocenti – dovuto sostanzialmente ai lunghi tempi di attesa». Nel 2005, sono state 40 le adozioni nazionali in Toscana e circa 300 quelle internazionali, dato che attesta un lievissimo aumento nel numero delle adozioni nazionali rispetto al 2004 (38) e un aumento più sostanziale di quelle internazionali rispetto allo stesso anno (259).

La legge Basta con i vecchi contenitori per bambini Dal 31 dicembre, in base alla legge 149/2001, i minori senza famiglia d’origine – circa 20 mila attualmente in Italia – non potranno più essere accolti nei tradizionali istituti. Il provvedimento stabilisce, infatti, che tali strutture vadano superate con l’affidamento del minore a una famiglia o con l’inserimento in una comunità di tipo familiare o casa-famiglia. Scopo della legge è quello di abolire i vecchi «contenitori per bambini» e con essi la vecchia concezione assistenziale dell’accoglienza per far sì che bambini crescano all’interno di una vera e propria famiglia. Nello stesso tempo, viene predisposto il recupero delle famiglie di origine, attraverso aiuti e sostegni economici affidati alle disponibilità delle regioni e degli enti locali. Nonostante la rigidità del decreto, numerosi sono i dubbi sollevati da più parti circa la corretta interpretazione e la corretta attuazione di quanto stabilito dalla legge. «Innanzitutto – osserva il CNCA (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza) – non basta scaricare sugli operatori sociali le problematiche espresse dai bambini e dalle loro famiglie d’origine ma esiste la necessità di creare un sistema di corresponsabilità che unisca Tribunale dei minorenni, Servizi sociali pubblici, comunità, famiglie affidatarie e famiglie di origine». Per questo, non basterebbero provvedimenti di tipo economico, peraltro affidati alle variabili disponibilità delle regioni e degli enti locali, ma «occorrerebbe prevedere interventi specifici che rendano le famiglie capaci di riassumere al meglio la loro funzione genitoriale, coinvolgendole attivamente anche durante il periodo di allontanamento del figlio». La legge non terrebbe conto inoltre delle profonde eterogeneità del territorio nazionale, affidando di fatto alle regioni il compito di «convertire» gli orfanotrofi in strutture di accoglienza di dimensioni ridotte. Il mancato controllo della conversione degli istituti, legato ad una loro distribuzione disomogenea sul territorio (la maggiore concentrazione di istituti si ha nel sud e nelle isole) pone il serio rischio «che gli istituti cambino la targa per accreditarsi come case-famiglie». A denunciare questo timore è Don Oreste Benzi, fondatore della comunità «Papa Giovanni XXIII» che al momento accoglie 688 minori in 180 case-famiglia sparse in tutta Italia: «Ci sembra che le scelte di politica sociale rispetto ai minori senza famiglia stiano prendendo direzioni pericolose, quasi che il fallimento della famiglia naturale abbia fatto perdere al minore questo diritto». Secondo Don Benzi, una soluzione a questi rischi è costituita dall’associazionismo, che insieme ai servizi sociali dovrebbe essere coinvolto in tutto il lavoro di accoglienza e di inserimento del minore, magari in una famiglia appartenente all’associazione medesima. In questo modo si incrementerebbe l’informazione e la disponibilità delle famiglie all’affido e si «rimarcherebbe l’importanza della famiglia come luogo dell’accoglienza dell’infanzia, nel diritto inalienabile del minore ad avere delle figure genitoriali di riferimento, senza negargli il nucleo d’origine».