Toscana

Saddam, un’esecuzione che non rende giustizia a nessuno

di Umberto Santarelli

Se vero è (ed è verissimo) che la «giustizia» fatta dai vincitori sui vinti è semplicemente una vendetta (resa ancor più tragicamente banale dalla vittoria conseguita prima), non è difficile valutare l’impiccagione di Saddam Hussein: oggi a Bagdad come mezzo secolo fa a Norimberga il medesimo vincitore ha preteso di festeggiare la sua vittoria con un macabro brindisi. Naturalmente questo non fa certo di Saddam Hussein (come non fece degl’imputati di Norimberga) un innocente ingiustamente perseguitato.

Ma resta vero che queste morti hanno solamente aggiunto violenza a violenza, senza render giustizia a nessuno: né ai vivi né ai morti. Appena la sentenza della corte d’appello di Bagdad fu pronunciata e la condanna di Saddam Hussein divenne così definitiva, il Corriere della Sera affidò il commento della notizia alla matita dell’avvocato Giannelli, vignettista inarrivabile. Il quale disegnò due vecchini seduti sulla panchina d’un giardino pubblico; il primo, dopo aver letto (sul Corriere, naturalmente) la notizia, diceva «Sarà eseguita la condanna a morte di Saddam».

E l’altro commentava: «Finalmente esportato in Iraq il modello americano». Sarebbe stato davvero difficile dir tutta la verità meglio e più alla svelta di così. Nella stessa pagina del Corriere, però, cominciava anche un lungo articolo di Tony Blair a cui era stato dato un titolo piuttosto sonoro: «I Valori Universali dell’Occidente». In questo scritto a un certo punto il Primo Ministro britannico affermava solennemente: «Sapevamo che non si può sconfiggere un’ideologia fanatica imprigionando o uccidendo i suoi leader: bisogna sconfiggere le idee».

A questo punto diventava davvero difficile capire quale fosse l’interpretazione che l’autorevole giornale milanese proponeva ai suoi lettori: quella della (sua) vignetta – che coglieva nel segno, dicendo che l’unico «modello americano» finora «esportato» in Iraq è quello (non civilissimo) della pena capitale – o quella di Blair, che aveva (incautamente) proclamato che le ideologie fanatiche si vincono non imprigionando e uccidendo i loro altrettanto fanatici autori ma sconfiggendo civilmente le loro opinioni, e ora si trovava clamorosamente smentito da una sentenza che era l’opposto diametrale del suo ineccepibile programma.

Ma, a parte questi modesti infortuni giornalistici (che posson sempre succedere), resta e si fa sempre più tragico il dramma dell’Iraq: dove la violenza, malgrado un’occupazione tanto dura, non diminuisce affatto, mentre le prospettive di soluzioni reali si fanno di giorno in giorno più lontane e nebbiose. È di poco fa la notizia che il numero dei caduti americani in questa disgraziatissima impresa ha superato quello (che parve enorme ed è stato trasformato in simbolo) delle vittime dell’attacco terroristico alle Torri Gemelle.

Sarebbe banale, e non servirebbe a risparmiare una sola vita umana, limitarsi a riconoscere che ha irrimediabilmente torto chi predica bene e razzola male, e che la pace non si difende moltiplicando all’infinito la violenza. Resta anche vero, però, che non si può seguitare ancora per molto a gabellare per soluzioni vere e praticabili gli slogan altisonanti.

Saddam giustiziato all’alba